Pandemia significa paura, angoscia, solitudine, incertezza sul futuro, depressione.
La ricerca spasmodica di un rimedio, non solo sanitario ma psicologico, è diventata la cifra della nostra quotidianità; la sfida reale che abbiamo di fronte ai nostri occhi.
Il Covid ha fatto esplodere le disuguaglianze.
Ha fatto emergere cinicamente gli egoismi che ci circondano e spesso ci caratterizzano.
Il senso di abbandono, di ansia di essere soli in un mondo apparentemente affollato di persone, pervade molti di noi.
Qualcuno sta, però, cercando, coraggiosamente di immaginare strumenti per combattere questa tragedia, al di là, lo ripetiamo, dei vaccini o di altri prodotti farmacologici.
Dobbiamo occuparci anche dello spirito, dell’anima, del nostro “Io” scosso e atterrito da questa sensazione di catastrofe che aleggia intorno a noi e ci annienta.
Don Gianluca Attanasio, dal 2015 parroco della chiesa di Santa Giulia a Torino, situata in uno dei quartieri più “caldi”della movida torinese, è proprio uno di questi “capitani e coraggiosi”.
Fa parte, con i suoi colleghi sacerdoti, tutti over 50, della confraternita di San Carlo, caratterizzata da un Dna, e qui sta il punto cruciale di questa storia, basato sul valore dello spirito di Comunità, dello stare insieme, insomma.
Il prete non deve vivere da solo il suo spirito di servizio; non deve essere abbandonato a sé stesso a gestire il suo gregge.
Bisogna aiutarlo, integrandolo in una Comunità di esseri umani che abbiano fatto lo stesso tipo di scelta di vita, stimolandoli a costruire una vera e propria Comunità di spirito e di vita in comune con i fedeli.
Giulia di Barolo, la benefattrice che finanziò la costruzione della chiesa oggi affidata alle cure di Don Atta, come lo chiamano i suoi parrocchiani, è stata una dei grandi protagonisti della Torino dei Santi Sociali.
Quel periodo straordinario, tra il 1810 e il 1850 in cui, nel capoluogo piemontese, allora Regno di Sardegna, con Carlo Alberto sul trono, vissero il loro miracoloso e innovativo laboratorio sociale i cosiddetti “Santi Sociali”: da Don Bosco al Cottolengo, dal Cafasso al Murialdo, con nel loro Pantheon di eletti anche la marchesa di Barolo, una laica in possesso di una speciale sensibilità e modernità nell’esprimere con opere, non solo con parole, promesse o beneficenze, come si possa fare davvero “del Bene”.
Come si debba vivere la solidarietà.
Come sia possibile che in una società con dei ricchi, pochi, e dei poveri, troppi, si possa realizzare una redistribuzione virtuosa dei redditi, riducendo la forbice drammatica delle differenze di vita e rendendo meno astiosa e più pacifica e virtuosa la coesistenza tra esseri umani.
Don Atta, proprio in questi giorni, pubblica il suo ultimo saggio “Una strada nella tempesta” (Edizioni Cantagalli) con il sottotitolo “Attualità dell’esperienza di Gregorio Magno” e una prefazione di Massimo Camisasca, il Superiore della confraternita dei fratelli di San Carlo.
L’intento dell’autore è proprio quello di aiutare ciascuno di noi a gestire la tempesta che ci sta riversando addosso rilevanti problemi di sopravvivenza e coesione pacifica.
“In un mondo dove è sempre più urgente trovare una strada per la ricostruzione della persona – si legge nel volume – questo libro riscopre l’attualità di un grande padre dell’Occidente: Gregorio Magno. Vissuto in un tempo sconvolto dalla crisi dei valori e delle istituzioni, durante il crollo dell’Impero Romano. Gregorio ha saputo immergersi così profondamente nel rapporto con Dio da riaccendere la speranza nei suoi contemporanei, ponendo le fondamenta di un mondo nuovo: l’Europa cristiana. Oggi, come allora, tante certezze sono venute meno, e con esse l’autorevolezza di molti educatori, che si ritrovano il più delle volte soli nella tempesta. Insegnanti, genitori, leader o, più in generale, ci si trova in relazione con altri può beneficiare della lettura di questo testo che offre una fonte a cui abbeverarsi, uno sguardo acuto, un metodo pedagogico per vivere il presente e immaginare un futuro più luminoso. Un testo che illustra come sia possibile sostenere altri essendo sostenuti a propria volta”.
Don Atta, con il suo impareggiabile team di giovani e creativi sacerdoti, non si è limitato alla buona teoria, all’astratto insegnamento virtuoso.
In un quartiere complicato come quello di Santa Giulia, sta costruendo una vera e propria Comunità di fedeli, “Bella e Sana”.
Visitarla e conoscerla fa bene al cuore e al cervello.
Fornisce esempi concreti di esseri umani che pur faticando ogni giorno per coniugare il pranzo con la cena, non si chiudono in sé stessi, ma aprono le porte dei loro cuori agli altri.
Ai vicini di casa, ai meno fortunati, ai poveri, ai vecchi, ai disabili, costruendo ogni giorno “ponti” inclusivi e non alzando “muri” divisivi.
Il tutto con una grande e sempre più numerosa presenza attiva dei giovani, delle nuove generazioni.
Frequentarli è una ossigenazione che “ricarica le batterie” e ci fa ritornare alla drammatica attualità quotidiana, più forti, più grati, più energetici e più consapevoli sul come affrontare e gestire la “tempesta” che ci aspetta.
La lettura del libro è un vademecum per replicare il laboratorio sociale della parrocchia di Santa Giulia; un esempio dove il Bene, oggi asserragliato tra le mura della chiesa e dell’oratorio, in una specie di sacro fortilizio, inizia a contaminare positivamente il Male che imperversa fuori, lì di fronte, e lo fa regredire.
L’onda lunga dei sorrisi, degli esempi virtuosi, della bontà e della generosità della Comunità di Don Atta, sta facendo proseliti: il Male inizia a perdere colpi.
La lezione di Gregorio Magno dà i suoi frutti.
Il libro ci spiega come gestirli.
A chi può, suggeriamo, proprio in questo periodo pre-natalizio, l’opportunità di andare a vedere come funziona l’esperimento di Santa Giulia, portando con sé i propri ragazzi, i bambini.
Un’esperienza stimolante che fa meditare parecchio.
Riccardo Rossotto