Scorrendo le annate de L’Incontro, mi sono imbattuto in articoli di accorata denuncia dell’invasione dell’Ungheria nel 1956. Che cosa avvenne?

In effetti nel 1956 si verificarono, in alcuni paesi dell’Europa dell’Est, violente dimostrazioni contro lo stalinismo ancora imperante e nell’articolo di fondo dell’ottobre 1956 scrivevo che “I popoli vogliono costruire il socialismo nella libertà e nella democrazia e non nell’asservimento agli interessi sovietici. Questa è la lezione storica degli eventi di Budapest”.

Era infatti avvenuto che talune timide aperture del governo ungherese, verso una maggior democrazia, avevano immediatamente scatenato una restaurazione reazionaria con l’intervento, a sostegno dell’ortodossia stalinista, di un esercito di invasione da parte dell’URSS.

Gravissimi scontri si verificarono in particolare a Budapest, con buona parte dell’esercito ungherese schierato a fianco dei rivoltosi: la repressione fu durissima e sanguinosa, con numerosissime vittime, profughi e danni enormi alla città di Budapest bombardata dal cielo ed attaccata con i carri armati.

Concludevo il mio articolo affermando:

“L’opposizione agli stalinisti, i quali interpretavano il socialismo come una imposizione del capitalismo di Stato contro il popolo, anziché una conquista del popolo per la sua liberazione dallo sfruttamento capitalistico si è in breve trasformata in una sollevazione generale di tutto il popolo ungherese contro l’Unione Sovietica, il Partito comunista e la polizia politica“.

Quali furono le reazioni in Italia e nel mondo a questa spietata repressione?

In tutto il mondo furono molte le voci che si levarono contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell’URSS, ma con scarsi risultati, in quanto il clima di guerra fredda e dei due blocchi contrapposti non consentiva agli USA o agli stati occidentali null’altro che ampie recriminazioni, senza esito.

In Italia, invece, le conseguenze furono più gravi e determinarono il primo rilevante distacco del Partito Comunista Italiano dalla politica dell’URSS.

Molti iscritti al Partito ed in particolare parecchi intellettuali non potevano più riconoscersi nella dottrina allora dominante, per cui tutti i Partiti comunisti dovevano assoluta obbedienza alle regole dettate da Mosca.

Di conseguenza l’URSS perse, in un sol colpo, l’autorità morale, il credito (spesso fideistico) e la fiducia che gli iscritti ai partiti comunisti di tutta Europa riponevano in essa.

Si dimisero dal P.C.I. Antonio Giolitti, Italo Calvino, Elio Vittorini, Natalino Sapegno e tutto il gruppo di intellettuali e scrittori che gravitavano intorno all’Einaudi; a sua volta fu nettissimo e definitivo il distacco tra il P.C.I. ed il Partito Socialista che ruppe definitivamente i residui rapporti con Mosca.

Pietro Nenni restituì il “Premio Lenin” che Mosca gli aveva conferito.

Uscirono dal Partito anche alcuni deputati e senatori, dando vita a ragguppamenti che poi confluirono nel Partito Socialista Italiano o nel Partito Repubblicano.

Fu la fine del regime stalinista, con ripercussioni all’interno dell’URSS, in quanto il nuovo leader Nikita Kruscev fu indotto a denunciare, in uno storico discorso, gli errori e i crimini di Stalin.

Il mito dell’Unione Sovietica quale paese a cui guardare come modello subì un colpo durissimo, che poi giunse al suo culmine anni dopo, con il crollo dei regimi dell’Est e, materialmente, del muro di Berlino nel 1989.

Restando ancora nell’ambito di politica estera, esaminiamo cosa avvenne, in quegli anni, nei Paesi dell’Europa occidentale. Furono anni decisivi per la costituzione di una Europa unita?

Sin dalla fine della seconda guerra mondiale erano emersi fermenti per ottenere una Europa unita e più forte, rispetto ai singoli stati nazionali che la componevano, anche per superare i blocchi imperialisti contrapposti di Usa ed URSS.

I primi a disegnare un’Europa unita, democratica e federata, furono gli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, quando si trovavano confinati a Ventotene, che scrissero, nel 1941, il noto “Manifesto di Ventotene”.

I loro ideali furono ripresi nel dopoguerra da personalità quali Alcide De Gasperi in Italia, Jean Monnet in Francia, Konrad Adenauer in Germania.

Si iniziò prospettando la costituzione di un esercito europeo, che sostituisse i singoli eserciti nazionali, per evitare le gravissime guerre combattute nei decenni precedenti.

Il progetto del CED (Comunità Europea di Difesa) si arenò presto per l’opposizione della Francia che, con De Gaulle, riteneva di non poter rinunciare ad un esercito nazionale.

Si optò quindi su una unione che avesse obiettivi più produttivi e commerciali, in particolare sulle materie prime che, all’epoca, erano ritenute strategiche, vale a dire il carbone e l’acciaio, con la costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio).

Ad essa si aggiunse anche l’EURATOM, per sviluppare la ricerca su applicazioni di carattere civile e non più militare dell’atomo.

Su queste basi, dopo laboriosi negoziati intrapresi sin dal giugno 1955, i vari governi convennero sulla opportunità di procedere ad una maggiore integrazione europea e proprio a Roma, il 25 marzo del 1957, vennero firmati i due trattati istitutivi del Mercato Comune e dell’Euratom, con la partecipazione di sei Stati: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Olanda.

Pur apprezzando tali notevolissimi sforzi, non potevo non considerare un grave ostacolo all’unità continentale, la mancata istituzione di un potere politico sovranazionale. Sarà questo un obiettivo che verrà raggiunto in seguito.

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