Entriamo dunque nel contenuto di possibili misure per sviluppare davvero una strategia efficace nel mondo delle politiche attive del lavoro.
a) I cinque punti di Bentivogli, Ichino e Valente
Partiamo dalla proposta Bentivogli-Ichino-Valente che mira ad individuare possibili azioni differenziate tra di loro che intervengano nella fase in cui i lavoratori sono in Cassa Integrazione oppure “protetti” dall’attuale blocco dei licenziamenti, contestato anche dall’Unione Europea.
Azioni che, lo ripetiamo, avrebbero dovuto essere assunte fin dall’inizio della crisi pandemica non soltanto oggi, alla auspicata ripartenza economica del Paese.
In ogni caso, ecco una sintesi delle proposte formulate dal trio Bentivogli, Ichino e Valente.
1. Le aziende zombie
Nel caso di aziende senza speranze di ristrutturazione e, quindi, quando ci si trova di fronte alla certezza che il lavoro non riprenderà, come affrontare il tema dei lavoratori senza alcuna prospettiva di continuità del loro posto di lavoro?
Nella proposta si precisa che sarebbe auspicabile la cessazione dei rapporti di lavoro con la contestuale riattivazione degli assegni di ricollocazione con l’aumento dell’ammontare e delle durata del trattamento di disoccupazione.
Si ipotizzano l’alzamento dei tetti della Naspi e della Dis-Coll e l’allungamento della loro durata.
Servono in ogni caso moduli di formazione obbligatori per la riqualificazione di questi lavoratori che hanno perduto il datore di lavoro per fallimento o chiusura.
L’importante è che tali percorsi siano incentrati sulle competenze richieste dal mercato del lavoro locale e debbano comunque essere certificati.
Deve diventare operativo il progetto di un curriculum digitale certificato, così come studiato e proposto dal Cnel che consente una mappatura aggiornata della situazione con la verifica delle competenze “sulla base di una tassonomia coerente con gli standard UE”.
2. Le aziende in momentanea difficoltà
A queste aziende, a cui la crisi pandemica ha creato dei nuovi problemi o ha aumentato le criticità già esistenti, devono essere assicurati sostegni che consentano il superamento della fase emergenziale.
Nella proposta formulata, si immagina la proroga del blocco dei licenziamenti e una Cassa Integrazione Covid, concessa dopo una concertazione tra l’impresa, il sindacato e l’autorità pubblica competente.
Si immagina altresì di costruire un fondo a capitale pubblico e privato per intervenire nelle aziende in crisi temporanea: l’imprenditore per poter richiedere tale tipo di intervento deve mettere a disposizione in una Data Room digitale e sicura, tutti i dati di bilancio e gestionali della propria impresa in modo tale da consentire una verifica che cerchi di limitare il rischio di abusi.
Si auspica anche l’avvio di un metodo di lavoro basato sul Data Driven Policy nel quale gli interventi siano basati su dati disaggregati e aggiornati.
E’ fondamentale, per evitare interventi a pioggia o comunque non utili, che venga valorizzato l’utilizzo di tutte le tecniche dell’Intelligenza Artificiale e dei Big Data per consentire analisi e decisioni in linea con le singole crisi aziendali.
3. Una nuova collaborazione Inps-Anpal
Attualmente i due enti non si parlano, si occupano degli stessi problemi ma ciascuno con il proprio perimetro di intervento più o meno fatto in modo efficiente ed efficace.
L’Inps gestisce gli ammortizzatori sociali, l’Anpal “dovrebbe promuovere le politiche attive del lavoro”.
Obbligare i due enti a lavorare in stretta collaborazione tra di loro consentirebbe di attivare gli incentivi giusti per ottenere la massima efficacia delle politiche attive anche con un controllo adeguato sulla partecipazione delle persone interessate e un conseguente risparmio della spesa.
4. I Centri per l’impiego
Oggi la situazione è disastrosa: soltanto il 3% dei lavoratori iscritti riesce a trovare un impiego
I Centri devono essere liberati da un eccesso di burocrazia attraverso la digitalizzazione delle loro modalità di lavoro, permettendo ai responsabili di concentrarsi sui servizi di orientamento, informazione e assistenza all’incontro tra domanda e offerta, che dovrebbe rappresentare il loro core business.
L’Anpal deve svolgere il ruolo di regista e coordinatore di tutti i Centri distaccati sul territorio, con un microfono aperto permanente con quanto di volta in volta concordato in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Bisogna infine integrare i sistemi informativi dei Centri per l’impiego con quelli dell’Inps e di Infocamere in modo tale da poter monitorare efficacemente i requisiti soggettivi e i percorsi di ogni persona in cerca di lavoro.
5. Il “decreto dignità” deve essere rivisitato
La pandemia ha comportato una drastica limitazione della possibilità di assunzioni a termine e/o in somministrazione.
L’auspicato ritorno al quadro normativo precedente, almeno fino al superamento della crisi, aiuterebbe a rinforzare la domanda di lavoro regolare, soprattutto se accompagnato da misure che rendano effettivo il diritto di tutti, anche dei lavoratori autonomi, alla formazione mirata agli sbocchi occupazionali esistenti con il controllo dei suoi esiti.
Questi sono i cinque punti fondamentali della proposta anticrisi sulla protezione del Lavoro.
b) I tre punti di Tito Boeri
Anche Tito Boeri, l’ex Presidente dell’Inps, si è occupato di approfondire alcune misure oggi necessarie per gestire il nuovo mercato del lavoro.
“L’eredità lasciateci da un anno con il Coronavirus – ha scritto Boeri – è molto pesante. Coinvolge molte persone che sfuggono alle maglie della nostra protezione sociale e che non vedono ancora la fine della pandemia data la lentezza con cui procede la campagna di vaccinazione… Le donne sono state le principali vittime della chiusura delle scuole e degli asili nido che hanno finito spesso per caricare interamente sulle loro spalle la cura dei figli. L’altra faccia della medaglia degli studenti senza scuole sono state le mamme senza lavoro. Anche per questo la distruzione di lavoro è andata di pari passo con l’aumento dell’inattività, questa volta avvenuta di più nelle età centrali e tra chi è vicino all’età di pensionamento, piuttosto che della disoccupazione”.
Tre sono le priorità di intervento secondo Boeri.
- La contrattazione decentrata rappresenta l’unica modalità per garantire, oggi, più lavoro in sicurezza e, domani, disciplinare il lavoro in remoto. Soltanto la conoscenza diretta e controllabile dei lavoratori e delle loro esigenze specifiche può aiutare l’individuazione di soluzioni che li aiutino nello svolgimento delle loro mansioni a casa o in fabbrica. “Questo non può essere fatto con la contrattazione centralizzata”.
- Bisogna concentrarsi sulla ricollocazione del lavoro dalle aziende in crisi a quelle in espansione: qui deve intervenire un servizio pubblico dell’impiego funzionante e un capo dell’Anpal che “non lavori nel remoto più estremo”.
- Bisogna affrontare infine il problema del dualismo contrattuale esistente. “Il Jobs Act ha dimostrato di saper ridurre tale dualismo stimolando soprattutto la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, grazie a incentivi fiscali poderosi. Il “decreto dignità” ha, invece, agito sul dualismo soprattutto riducendo le assunzioni con contratti a tempo determinato”. Per Boeri è preferibile la prima soluzione e quindi il ripristino degli incentivi previsti dal Jobs Act.
c) Il caso del Montana
Per concludere questa inchiesta sulla priorità “dimenticata” del Lavoro, vi raccontiamo una esperienza concreta di politiche sul Lavoro, con i suoi pregi e i suoi difetti, accaduta negli Stati Uniti, proprio in questi ultimi mesi di pandemia.
Siamo in Montana, uno stato americano grande 1/3 dell’Italia ma con soltanto un milione di abitanti.
Il Governatore repubblicano, di origini italiani, Greg Gianforte, ha deciso di sospendere l’erogazione ai disoccupati del sussidio supplementare di 300 dollari al mese introdotto dall’amministrazione Biden.
Gianforte ha spiegato il razionale di tale decisione: “I nostri imprenditori non riescono a coprire i posti vacanti per carenza di manodopera”.
Lo stato del Montana introdurrà invece un bonus di 1.200 dollari per i disoccupati che accettino un lavoro e lo mantengano per almeno 4 mesi.
Siamo di fronte ad un mismatch come quello italiano, derivante anche dalla cultura diseducativa del Reddito di Cittadinanza?
Per certi versi si potrebbe rispondere di sì.
Da un lato grazie ai rilevantissimi incentivi deliberati dall’amministrazione Biden, la ripresa appare in America spedita, robusta e incoraggiante.
Dall’altro lato crea però degli squilibri: il tasso di disoccupazione resta elevato (il 6%, rispetto al 3,5% pre-pandemia) e le imprese, nel contempo, come detto, denunciano una carenza di manodopera legata alla eccessiva generosità dei contributi pubblici che porterebbero molti disoccupati a preferire i sussidi piuttosto che tornare a lavorare.
Il fenomeno – ha registrato Arturo Zampaglione – è particolarmente visibile nel settore della ristorazione, uno dei più colpiti dall’emergenza pandemica.
Nonostante l’alta percentuale di vaccinati, le grandi catene di fast food lamentano una difficoltà a reperire personale.
Alcuni marchi famosi si sono spinti ad offrire ai nuovi assunti perfino il pagamento delle spese universitarie in caso di mantenimento del posto oltre i 4 mesi.
Il problema è che i sussidi di disoccupazione superano spesso i 12 dollari del salario medio orario nel settore del fast food americano.
Il sindacato ha infatti sottolineato come “non si trovano lavoratori perché le imprese non vogliono pagare il giusto e aumentare la paga” – ha scritto William Spriggs, responsabile economico del potentissimo sindacato americano della Afl-Cio.
Insomma, tutto il mondo è paese, anzi … tutti gli imprenditori sono all’incirca analoghi.