Ancora un incontro (rigorosamente on line), il decimo per la precisione, in materia di denaro e di emozioni, presso il Museo del Risparmio di Torino. Paolo Legrenzi, esperto di finanza comportamentale, docente di Psicologia cognitiva presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nonché coordinatore del laboratorio di economia sperimentale, ha presentato il suo ultimo libro “L’alfabeto dei soldi” e ha risposto alla domande della curatrice del Museo Giovanna Paladino.
Il denaro è una misura universale che dà il valore dei nostri desideri e dei nostri bisogni, ma riveste nel contempo una connotazione del tutto personale in quanto ognuno di noi ha una percezione soggettiva del denaro, diverso pertanto dai centimetri o dai decibel, unità di misure oggettive. La gestione del denaro, connaturata al fattore tempo, comporta pazienza, costanza, volontà, tutti comportamenti non spontanei e frutto di impegno.
Il primo punto è il rapporto tra le emozioni ed il valore del denaro. Già il Keynes, parlava di “spiriti animali” che agitavano le dinamiche economiche. Legrenzi sostiene che le emozioni dei proprietari del denaro sono importanti, ma in senso negativo, poiché esse sono il maggior ostacolo alla prosperità dei risparmi. Non vi è simmetria tra la gioia di un guadagno e il dolore di una perdita, nel senso che quest’ultima è emotivamente superiore alla prima: perdere qualche risparmio fa soffrire di più rispetto alla gioia di un eventuale guadagno. Questo sta a significare che il risparmiatore italiano medio – non di giovane età e in particolare di sesso femminile – ha un’avversione al rischio, non compensata da una possibile opportunità. Per dare qualche dato numerico in Italia vi sono circa 10mila miliardi di euro di risparmi (purtroppo solo meno di un quinto gestito in maniera professionale) di cui 1700 miliardi di euro sui conti correnti, 3mila miliardi in titoli vari, ben 5mila miliardi investiti in immobili e il rimanente, meno di un miliardo, in azioni. L’immobile è l’investimento per eccellenza, in quanto fa “soffrire” meno: considerato il lungo termine (talvolta di generazioni) il guadagno è quasi sempre certo e anche se vi sono oscillazioni di valore nel breve periodo, non preoccupano più di tanto, non essendo in previsione l’immediato smobilizzo. Diversamente per le azioni, che con la loro caratteristica di “volatilità” nel breve, fanno soffrire il proprietario che controlla spesso il loro valore, nonostante sia provato che nel lungo periodo il rendimento sia maggiore di altri investimenti – circa il 4% in più del reddito fisso – proprio quale “remunerazione” del maggior rischio. Legrenzi osserva inoltre che in Italia non si conoscono a sufficienza le assicurazioni, quale investimento di prevenzione calcolata dei rischi. Si stima che con soli 250 miliardi si riuscirebbe a coprire il 90% dei rischi primari dei risparmiatori, legati ai beni di proprietà e al capitale umano, principalmente il bene salute. Tuttavia, i risparmiatori con età più elevata, preferiscono destinare una parte della loro liquidità generata dai risparmi nel tempo all’eventuale copertura di tali rischi, per sé e per la famiglia, anziché ricorrere all’assicurazione.
Si deve anche tener presente che il risparmiatore italiano è uno dei più “paurosi” tra i Paesi europei (più dei tedeschi e dei francesi che hanno una percentuale di risparmio leggermente più alta), con caratteristiche del tutto diverse dal risparmiatore statunitense. Quale è la ragione di ciò? In questo caso il motivo non è psicologico bensì storico, essendo il risparmiatore italiano “più giovane” (penultima generazione, per intenderci) rispetto ai colleghi europei o di oltre oceano, dove la rivoluzione industriale è avvenuta prima. Basti pensare che durante la pandemia sono di molto aumentati i depositi bancari (che rendono nulla o quasi), mentre, con un minimo di lungimiranza, se si avesse puntato il dito sul listino delle azioni tecnologiche – considerato che la pandemia ha accelerato il cambiamento del nostro stile di vita – il guadagno sarebbe stato certo. Si deve ricordare che spesso i media, vista la grande concorrenza tra loro, per attirare l’attenzione, danno maggior rilievo alle notizie negative (perdite di borsa, default di banche e di aziende) rispetto a quelle positive e questo ingenera ansie finanziarie.
Il risparmiatore italiano medio, osserva Legrenzi, ha un tenore di vita che può definirsi “frugale” con consumi minori rispetto al proprio reddito, ma i nobili sentimenti del risparmio finalizzato al benessere della famiglia (per lo più con l’acquisto della prima e della seconda casa per sé e per i figli) nonché alla copertura di eventuali rischi, talvolta non si traducono in investimenti ottimali.
Cosa si può ancora dire in tema di connessione tra sostenibilità e risparmio? La sostenibilità ambientale, nelle sue varie declinazioni, è il futuro e non si può prescindere da ciò anche sotto l’aspetto degli investimenti, creando una stretta connessione tra sostenibilità ambientale e sostenibilità dei portafogli. Del resto, gli investimenti migliori ora si focalizzano sui beni immateriali, essendo l’intangibilità una caratteristica del moderno concetto di benessere, enfatizzata dalla pandemia, ma già presente prima, da circa un decennio.
Una considerazione finale sul fattore tempo e pazienza, concetti di primaria importanza per un corretto e consapevole comportamento finanziario: così come se in un cerchio, spiega Legrenzi, si traccia il punto centrale con il proprio io e poi tanti centri concentrici con i punti affettivi (non legati al denaro) più importanti, il tempo, insieme alla pazienza, è un fattore essenziale. Così come i nostri tempi legati agli affetti (figli, famiglia, felicità) non sono di breve, cosi devono essere i tempi dei comportamenti finanziari, essendo gli investimenti solo un “mezzo” per raggiungere i nobili fini legati alla sfera affettiva.
Liliana Perrone