Una delle parole più gettonate di questo periodo è: Riforma.
Siamo tutti in attesa che il governo Draghi metta mano alle riforme che permettano al Paese di uscire dalla crisi socio-economico-sanitaria provocata dalla pandemia.
Sembrerebbe che basti fare l’elenco delle riforme necessarie per avviare a soluzione i problemi del Paese.
Riforma della giustizia, riforma della pubblica amministrazione, riforma sanitaria, riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della scuola, più tutti gli interventi che riguardano le infrastrutture, l’ambiente, la digitalizzazione del Paese.
Di questo si scrive, si dibatte, sui giornale, in TV, nei social, nei luoghi della politica. In tutto questo scrivere e dibattere nessuno si azzarda a spiegare come queste riforme dovrebbero essere realizzate. Per esempio la riforma della P.A. deve prevedere che: il personale in esubero venga dimesso, il personale venga alfabetizzato per le tecnologie 4.0, l’introduzione del merito preveda percorsi di carriera diversi da quelli esistenti, preveda anche il licenziamento, si introdurranno criteri di produttività, il bosco farraginoso delle leggi amministrative che oggi ingolfa le procedure della P.A. verrà disboscato.
Ad oggi non è dato sapere, si parla solo di riforma della P.A.
Riforma è una parola neutra, assume significato solo valutando gli effetti che produce.
È come un coltello che di per sé è innocuo, assume un significato in base all’uso che se ne fa.
È sbagliato pensare che le riforme siano solo progressiste.
Le Corporazioni furono una riforma del regime fascista che non proteggeva gli interessi dei lavoratori, cancellando l’esistenza e il potere dei sindacati, bensì proteggeva gli interessi della controparte.
Ciò che rende problematica ogni riforma e ogni riformismo è non solo la direzione politica della riforma ma il suo gradualismo. E’ su questo concetto, gradualismo, che si divisero i riformisti e i rivoluzionari.
Il gradualismo è un concetto vago: quanto graduale deve essere una riforma?
Quanto graduale nel tempo? Quanto graduale nel soddisfare i bisogni di quelli coinvolti?
Quanti sono quelli che possono rientrare in una riforma graduale? quanti sono quelli che ne restano fuori? E perché?
Quanto devono aspettare per essere raggiunti dalla riforma?
Il pensiero riformista a queste domande ha risposte deboli e non del tutto soddisfacenti per quelli che restano fuori. Fu sul gradualismo che si divisero i socialisti, fu al gradualismo che si contrappose la rivoluzione.
È chiaro che gradualismo è la dichiarazione di un mettersi in cammino verso un mondo migliore possibile. In questa dichiarazione non è dichiarato cosa succede a chi, per i più svariati motivi, resta fuori. A costoro non resta che la protesta a volte anche violenta.
Chi è il riformista? Uno che vede il rivoluzionario come il fumo negli occhi, perché dice: costui per voler cambiare e ottenere ogni cosa con la violenza, danneggia tutto. Vede dunque il rivoluzionario come un nemico.
Ma viene ricambiato con la stessa moneta.
Il riformismo apre le porte al miglioramento e chiude le porte alla rivoluzione. Ma per tenere chiuse le porte della rivoluzione il riformismo deve occuparsi anche degli ultimi, dei più deboli, di quelli che rimangono in coda. Nel XXI secolo i rivoluzionari del XIX e XX secolo non ci sono più, i riformisti sembra che abbiano vinto.
Sembra, perché la Storia presenta curve non previste. Di questi tempi i riformisti delle democrazie social-liberali, dopo aver sconfitto i rivoluzionari comunisti di varia coloritura, devono affrontare una rivoluzione che viene da destra: sovranismi, populismi, nazionalismi.
Tutti fantasmi creati dalle politiche socio-economiche degli ultimi 30 anni. I riformisti si adombrano se qualcuno mette in risalto questa realtà.
Mi limito a sottolineare il linciaggio verbale che ha subito Fabrizio Barca per aver detto (sintetizzo) che: Trump gli sciamani, i patrioti, i capi con le corna, ecc… li aveva coccolati, aizzati alla conquista di Capitol Hill, ma erano lì da prima, lui li aveva trovati non li aveva creati. Questo sembra essere il nervo scoperto dei riformisti che inneggiarono alla globalizzazione e che oggi sono costretti a una disperata marcia indietro affidandosi a una nuova stagione di riforme per cercare di porre rimedio ai danni procurati.
Venendo all’Italia tutti parliamo di riforme perché è l’Europa che le chiede. Le riforme che ci vengono chieste, forse imposte, senza un governo forte, autonomo, che sia in grado di affrontare l’impopolarità e le pressioni che arriveranno dalle varie lobby corporative del nostro Paese, non sarà possibile realizzarle e il futuro diventerà scuro.
Il Governo si è appena presentato alle Camere e pezzi importanti della maggioranza protestano per la chiusura del turismo sulla neve, per gli sbarchi dei poveracci che arrivano da ogni dove, si preparano agguati sulla prescrizione, qualcuno dichiara di voler comprare in autonomia i vaccini per la propria regione.
Nulla di nuovo, i rappresentanti in parlamento sono sempre gli stessi del Conte 1 e del Conte 2 e sono divisi tra loro e al loro interno oggi come lo furono nei precedenti governi. Tutti abbiamo decretato che la politica dei partiti è fallita, nessuno ha avuto il coraggio di affermare che è il corpo elettorale che è fallito.
Sono le scelte legittime di noi votanti che nel 2018 decretarono la palude nella quale ci troviamo. E quelli più consapevoli sapevano che il risultato non poteva essere che una maionese impazzita. Già il 2013 aveva dato segnali chiari.
Aveva ragione Bertolt Brecht quando affermava: bisognerebbe sciogliere il popolo e eleggerne un altro.
Altro che vox populi vox Dei.
Il governo Draghi le riforme le farà. Come? Lo vedremo e vedremo anche gli effetti che produrranno.
Mi auguro che siano riforme che ridiano vita e speranza alla vastissima classe media (non piace classe perché richiama Marx), al ceto medio perché senza il ceto medio non c’è democrazia e oggi la democrazia non gode ottima salute un pò ovunque.
Quest’ultimo richiamo vuole essere un monito ai ricchi e ai super ricchi. Avete bisogno del ceto medio.
Fidelio Perchinelli