Dagli entusiasmi emotivi (più del 60% degli italiani hanno approvato la scelta di Mattarella e il 65% vede in Draghi la grande occasione per far ripartire l’Italia) passiamo ad una analisi razionale delle complessità a cui si troverà di fronte Draghi nelle prossime ore.
Dovrà, come ha sottolineato lui stesso, fare una “Sintesi” delle varie proposte formulate dai partiti e dalle forze sociali: già, ma quale “Sintesi” per portare a casa una maggioranza parlamentare che gli possa garantire la fiducia nelle due Camere?
Come ho scritto, apparentemente, l’85% dei parlamentari è oggi favorevole all’ipotesi Draghi: una volta si sarebbe detto, una maggioranza bulgara!
Ma su quale programma?
Con quali contenuti?
L’efficace slogan della “Sintesi” è mediaticamente vincente.
Ma come potrà Draghi trovare una mediazione virtuosa tra proposte e programmi di partiti che, negli ultimi tre anni, dalle elezioni del 2018, si sono alternativamente azzuffati su tutto e sul contrario di tutto?
Sì, certo, le priorità sono due: (i) combattere la pandemia e organizzare la vaccinazione per tutti gli italiani nel più breve tempo possibile; (ii) rilanciare un sistema economico già zoppicante prima del Covid e oggi a rischio di collasso, valorizzando al meglio i fondi comunitari messi a nostra disposizione.
Per dare esecutività a queste due principali sfide, bisogna però che la futura maggioranza sia d’accordo sulle misure da adottare, proprio su quelle misure che da almeno due mesi sono state oggetto del dibattito politico e che hanno determinato il fallimento del governo Conte 2.
Provo, allora, ad enucleare i temi sui quali Draghi dovrà trovare la famosa “Sintesi” che raccolga una maggioranza consolidata negli schieramenti parlamentari.
Tra l’altro, non dimentichiamocelo, di un Parlamento “figlio” delle elezioni politiche del 2018 e che oggi non rappresenta più correttamente gli umori del Paese: aspetto questo da non sottovalutare nel giudizio di questa apparentemente strana crisi politica e partitica in atto.
Negli ultimi sondaggi la Lega è il primo partito con il 22,8%, il PD è il secondo con il 20,9%, Fratelli d’Italia il terzo con il 16,9% (12 punti in più rispetto alle politiche del 2018!).
Il Movimento 5 Stelle è intorno al 15%, Forza Italia al 7,8% (quasi 7 punti in meno rispetto al 2018); LeU, Azione, Italia Viva e +Europa ciascuno dal 2 al 3%).
Bisogna, come ha scritto Massimo Franco sul Correre della Sera, abbattere veti e posizioni di rendita.
Le divisioni tra i partiti e, soprattutto, al loro interno, non sono scomparse, anzi, in certi casi, aumentate.
Mattarella ha sparigliato il tavolo costringendo i leader delle varie formazioni a dover prendere in considerazione l’ipotesi del governo Draghi: ma al loro interno i partiti stanno soffrendo, tutti, profonde lacerazioni.
Il negoziato sarà duro.
Fino a che punto Mario Draghi, il socialista liberale, come lo ha definito Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli (“Il Premier incaricato – ha detto Spini – sostiene da sempre che ogni intervento di politica economica va soppesato in base all’impatto sulle classi più svantaggiate”) , potrà sopportare la confusione, la conflittualità, il personalismo che hanno caratterizzato il triste scenario della nostra recente attualità politica?
Quanto deciderà da solo e “a prescindere”?
E, ancora, quanti, nonostante la sua “Sintesi” che non potrà soddisfare tutti, rimarranno “a bordo” pur di non restare alla finestra?
Non possiamo dimenticare neanche, in queste ore di riflessione, la peculiarità del contesto in cui si dovrà muovere il Presidente del Consiglio incaricato: a differenza di Ciampi, Dini e Monti che dovevano far uscire l’Italia da una crisi economico-finanziaria terrificante, adottando misure ispirate all’austerità, Draghi avrà un compito completamente diverso.
Dovrà spendere “tanto e bene” l’enorme quantità di euro che Bruxelles ha deciso di dare al nostro paese, uno dei più colpiti dalla pandemia, per ristorare i danni subiti ma anche e soprattutto per fare quelle benedette riforme di cui si parla da trent’anni ma che nessuno è mai riuscito a “portare a casa”.
Questo il nodo cruciale di questi giorni di consultazioni: è proprio sul programma delle “cose da fare” che dovrà venire fuori tutta la competenza, l’esperienza, la pazienza di tessitore di Mario Draghi.
Qui, su questo punto, si giocherà la sfida epocale per il Paese.
Vediamo i titoli dei principali temi da affrontare … SUBITO!
Recovery plan: lo metto al primo posto perché c’è l’urgenza di definire la governance e il suo contenuto. Abbiamo sprecato 20 mesi in chiacchiere e ora il tempo davanti a noi è molto ristretto.
Le polemiche degli ultimi mesi si sono concentrate nel contenuto del piano ritenuto giustamente nelle sue prime bozze assolutamente inadeguato, come ha rilevato anche il nostro Andrea Bairati in un precedente contributo.
Il problema vero, oggi, anche sulla base delle linee guida di Bruxelles, non è soltanto il contenuto del Piano, ma la sua governance.
L’Unione Europea pretende giustamente che la gestione di queste risorse venga affidata ad una struttura dotata di competenze ed efficienza. Nell’ultima bozza mandata in Parlamento si parla soltanto … e male… di come si vorrebbero spendere i 220 milioni di euro assegnati ma non si dice nulla della governance, di chi gestirà questo enorme pacchetto di risorse.
Bisognerebbe leggere bene le direttive di Bruxelles e applicarle. Si richiede specificatamente l’esistenza di un coordinatore che diventi il referente europeo del Piano e dei singoli progetti e riforme, con deleghe e poteri chiari di gestione rispetto a tutte le amministrazioni coinvolte, centrali e locali.
Il coordinatore diventerà proprio il primo responsabile dell’implementazione di ogni singolo obiettivo indicato nel Piano. Il problema italiano, sul quale Draghi dovrà lavorare parecchio nei prossimi giorni, è che nell’attuale documento non ci sono obiettivi quantitativi finali ed intermedi per ciascuna delle 6 missioni né tanto meno per ciascuna delle 47 bisettrici sotto le quali vanno i progetti.
L’assenza di indicatori di performance rischia di svuotare una delle condizioni essenziali poste dalla Commissione per la verifica temporale di efficacia delle risorse assegnate allo stato membro.
In altre parole, la Commissione indica la necessità di avere alla guida del team un uomo capace per competenza, esperienza e autorevolezza e che può svolgere tale ruolo in maniera adeguata rispetto agli obiettivi posti da Bruxelles.
Draghi deve dunque scegliere se istituire un ministero tecnico ad hoc per il Piano oppure, ad esempio, delegare la sua gestione al CIPESS (l’ex CIPE, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica).
Il cuore del problema è individuare la governance giusta per gestire un Piano che prevede un ammontare doppio di fondi rispetto al Piano Marshall!
Cosa hanno fatto gli altri paesi membri?
In Spagna il ruolo di coordinatore è rivestito dal Premier che agisce attraverso una commissione interministeriale; in Francia è il ministero dell’economia a gestire il Next Generation UE, coadiuvato da un commissario generale all’uopo nominato; in Germania si è scelta la formula di un coordinamento congiunto tra la Merkel e il ministro delle finanze; in Portogallo il coordinamento politico è assicurato da un comitato di ministri e da tecnici presieduto dal Primo Ministro.
A mio avviso, Draghi vorrà sovraintendere a tutta l’operazione facendosi supportare dal nuovo ministro dell’economia e dal suo staff, che il Presidente incaricato conosce molto bene ed apprezza.
Non c’è tempo per istituire nuove unità di missione o task force eterogenee.
Credo che Draghi si affiderà, coordinandole, alle strutture esistenti.
Le imprese e il lavoro: quale membro del Gruppo dei 30, nel documento pubblicato nel dicembre scorso, Draghi ha detto a chiare lettere che le risorse pubbliche sono scarse e che non è possibile procedere con aiuti indiscriminati alle aziende “zombie”, sul punto di fallire.
Perché “C’è il pericolo di salvare proprietari e manager che si erano presi i propri rischi”.
Draghi ha coniato, in quella sede, l’invito a fare solo “debito buono”, quindi “sostenibile se utilizzato a fini produttivi: nel capitale umano, nelle infrastrutture, nella ricerca”,
Per Draghi la ricetta per uscire da questa grave crisi è crescere, l’unico farmaco anche per far diminuire l’ingente debito accumulato.
L’ex Presidente della BCE immagina dunque aiuti selettivi a imprese e lavoratori con la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti non generalizzati ma mirati.
Inoltre, non pensa di abolire il reddito di cittadinanza, che tra l’altro l’Europa ci chiede di mantenere, ma ne imporrà una rivisitazione anche alla luce degli scarsi risultati certificati dall’INPS.
Dovrà poi provvedere alla contestuale riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive per riqualificare in tempi brevi quanti hanno perso o perderanno il posto.
Su queste basi, anche ascoltando l’intervento di Landini della CGIL, potrà ottenere il consenso e la collaborazione dei sindacati.
Draghi ha ripetutamente sottolineato in questi mesi di “riposo attivo” l’importanza fondamentale di destinare un massiccio investimento di intelligenza e risorse finanziarie ai giovani e alle donne, le due categorie più penalizzate dalla pandemia.
Mi permetto di aggiungere a queste due priorità che si sommano ad una maggiore efficienza nella redazione di un piano nazionale per la vaccinazione di tutti gli italiani, quattro titoli di interventi che, più prima che poi, qualcuno, o personalmente spero Draghi, dovrà realizzare.
- La riduzione delle disuguaglianze e l’approfondimento di misure mirate all’eguaglianza dei punti di partenza: di tutti le pari opportunità forse abbiamo dimenticato proprio questa.
- La riforma fiscale che deve puntare ad una semplificazione burocratica ma nello stesso tempo ad una rigorosa lotta contro l’evasione. Ormai non ci sono più alibi, l’informatica e la tecnologia permettono di controllare tutti i cittadini, anche quelli che vorrebbero eludere o evadere le imposte.
- Come accrescere la concorrenza e frenare le rendite di posizione. Si dovrebbero individuare molti nodi su cui intervenire per eliminare vere e proprie “imposte occulte” che mercati poco concorrenziali o regolamentazioni pubbliche a protezione dei concessionari fanno gravare sui consumatori e sugli utenti di servizi pubblici.
- Last but not least, la scuola. Mario Draghi nelle sue ultime considerazioni finali, da Governatore della Banca d’Italia, lette il 31 maggio del 2011 … quasi 10 anni fa … scriveva “Occorre proseguire nella riforma del nostro sistema di istruzione, già in parte avviata con l’obiettivo di innalzare i livelli di apprendimento che sono tra i più bassi del mondo occidentale anche a parità di spesa per studente. Troppo ampi restano i divari interni al paese: tra sud e nord, tra scuole della stessa area, anche nella scuola dell’obbligo. Nell’università è desiderabile una maggior concorrenza tra atenei che porti a poli di eccellenza in grado di competere nel mondo; è ancora basso nel confronto internazionale il numero complessivo di laureati”.
Dieci anni dopo siamo ancora agli ultimi posti in Europa per livello di istruzione.
Il nuovo governo, tra le priorità programmatiche, deve inserire la tutela del capitale umano, in particolare per i giovani e per le donne.
Questo, in sintesi, il quadro delle problematiche che il Presidente del Consiglio incaricato deve affrontare cercando una Sintesi virtuosa tra le diverse posizioni dei partiti.
Teniamo conto, infine, che proprio come ha scritto il Financial Times nei giorni scorsi, l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi avrà conseguenze positive anche per l’Unione Europea affiancando alla Merkel e a Macron un terzo leader capace di contribuire a indirizzare la costruzione dell’Europa.
Lo stesso Presidente americano Biden conosce e apprezza il nostro Draghi avendo lavorato con lui sulla definizione di politiche di crescita nel quadro dei programmi del G7 e del G20.
Siamo dunque in un momento cruciale della nostra storia: in una congiunzione astrale favorevole con di fronte problemi che nessuno negli ultimi trent’anni è riuscito a sbrogliare.
La responsabilità del nostro sistema partitico, come ho già scritto, è quello di sacrificare i propri obiettivi di parte nell’ottica della salvaguardia degli interessi collettivi dell’Italia.
Sì, proprio le stesse parole che De Gasperi e Togliatti, a dicembre del 1945, usarono per avviare una collaborazione governativa che avrebbe permesso, fino al maggio del ’47, di far uscire insieme il nostro Paese dalle rovine della Seconda guerra mondiale.
Riccardo Rossotto