Sicuramente il caso italiano di questo gennaio appena terminato è stato Sanpa, il documentario spettacolare messo in onda da Netflix. Sanpa racconta la comunità di San Patrignano che fu oggetto di grandi discussioni una trentina di anni fa. L’ho visto senza avere un’idea molto precisa, per fortuna il mondo dell’eroina non mi ha toccato personalmente nè ha lambito persone molto vicine a me. Forse qualche pensiero sulla comunità creata da Muccioli però ce l’avevo. Di solito non mi piacciono troppo i personaggi ayatollah, quelli che propongono un pensiero fortissimo e chiedono a chi li segue un’adorazione assoluta. Mi è stato obiettato che per uscire dall’eroina ci vogliono stimoli fortissimi, e li mi sono sempre taciuto. Del personaggio Muccioli poi non mi piacevano le frequentazioni politiche, che spaziavano da Giorgio Almirante a Bettino Craxi: non erano(e non sono) esattamente le mie. Ma, come dicevo, non avevo comunque un’idea molto precisa di che cosa sia stata San Patrignano.
Adesso che ho visto il film non ho parimenti un’idea precisa. Però ho capito che Sanpa è davvero il prodotto piu importante di questa stagione. E’ riuscito a spettacolarizzare un fatto lontano, ha proposto una storia senza che il ruolo principale sia toccato agli “esperti”. Un signore che conoscevo bene diceva che la sociologia è l’arte che con grande difficoltà spiega quello che è già chiaro a tutti fin dall’inizio. Ecco, per fortuna in questo film i sociologi non sono in bella vista, e con loro i tuttologi, i pensatori, gli opinionisti da talk show. Sanpa segna una linea di demarcazione tra lo speciale televisivo (quello fatto in fretta e furia: un po’ di footage di archivio, un po’ di talking heads) e un film. La differenza sta nei tempi di narrazione e soprattutto nell’importanza che si conferisce alla narrazione stessa. Non mi stupisce che Red Ronnie non abbia amato il film. Forse è molto lontano dalle sue opinioni su Muccioli, sicuramente è l’opposto delle costruzioni televisive che lui ha praticato negli anni.
Può un documentario non prendere chiaramente posizione? Può fermarsi prima di dire che Muccioli era un santo oppure un boia. Può, per fortuna. E’ quello che è avvenuto con questo film. Ci sono tanti film nei quali si parla di eroina, dal film omonimo italiano di Pirri a Radio freccia, dove la siringa perfora il braccio di Stefano Accorsi; da i ragazzi dello zoo di Berlino a Trainspotting fino a Requiem For a Dream (che ebbe la prima italiana quando io dirigevo il festival di Torino). Anche in quel caso non c’erano tesi preesistenti, ma si trattava di (bei) film di finzione. qui invece siamo di fronte a un documentario, che nella vulgata significa raccontare un punto di vista sulla realtà. Beh, qui il punto di vista non c’è, né sull’eroina e neppure su come se ne esce. Non si dice neanche che l’eroina non è caduta dal cielo, ma era il calmante che la Bayer (proprio quella dell’aspirina) aveva inventato per i soldati feriti nelle trincee della prima guerra mondiale. Però si pensa, si apprende. Dopo mi sono sentito meglio, non so voi.
Stefano Della Casa