Grazie al via libera dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, la Sogin, Società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, ha pubblicato sul sito www.depositonazionale.it la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) a ospitare il sito nazionale di stoccaggio del materiale radioattivo. La società ha anche pubblicato il progetto preliminare e tutti i documenti collegati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico, che permetterà di sistemare in via definitiva questi rifiuti, al centro di una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro Paese e attualmente stoccati in una ventina di siti provvisori non idonei ai fini dello smaltimento definitivo.
Un elenco che in Piemonte vede otto siti nell’elenco dei maggiormente idonei a ospitare l’impianto. Due sono in provincia di Torino (Carmagnola e Basso Canavese) e sei in provincia di Alessandria.
Ma quello del deposito nazionale è un pasticciaccio brutto all’italiana perché sempre in bilico tra l’opposizione dei territori, la tradizionale sindrome Nimby, e la fretta imposta oggi dalle pressioni di Bruxelles.
Tra le voci nel dibattito piemontese sul metodo e il merito della scelta, è entrato anche Mauro Anetrini, presidente della società Barricalla, che gestisce la principale discarica in Italia ed è situata alle porte di Torino, a Collegno, in un’area che ospitava una cava di ghiaia e che oggi si trova al nodo di congiunzione tra la tangenziale e l’ingresso ovest della città.
Il Governo ha pubblicato un elenco di possibili zone e lei ha contestato il metodo, ampliando, però, il discorso per non incorrere nella sindrome Nimby. Quindi, che cosa c’è di positivo in questo dibattito e quali sono, a suo dire, le ombre?
Se c’è un settore nel quale il difetto di comunicazione rischia di essere percepito come una coartazione inaccettabile, questo è, senza dubbio, lo smaltimento dei rifiuti. La cosiddetta sindrome Nimby, che a volte si traduce nella reiezione preconcetta anche delle proposte di per sé accettabili, è enfatizzata, prima di tutto, dalla mancanza di una informazione corretta alla quale, sul fronte opposto, corrisponde una scarsa conoscenza delle possibilità che, in termini di sicurezza e rispetto dell’ambiente, offrono le moderne tecnologie. Proviamo, invece, a partire dal fatto che, oggi, è possibile smaltire qualunque tipo di rifiuto, anche il più pericoloso, in condizioni di assoluta sicurezza ed è altrettanto possibile recuperare aree e territori impiegati per il deposito dei materiali, ovvero utilizzare le suddette aree, ad esempio, per produrre energia verde. La pubblicazione dei siti non preceduta da una completa e corretta divulgazione dei dati scientifici e da una vera e propria campagna di informazione rischia di essere fonte di pregiudizi, che io ritengo, tuttavia, superabili.
Chiarito il tema della sicurezza ed ambientale, debbono, poi, essere correttamente illustrati i criteri in base ai quali viene individuata una certa area, che non può essere – come è accaduto nelle circostanze di cui parliamo – un territorio connotato da biodiversità o da specificità che lo rendono meritevole di maggiori attenzioni. Infine, c’è il tema delle compensazioni, vale a dire dei ristori alle comunità sui territori delle quali si insedia la discarica.
Una cosa, però, dev’essere chiara: i rifiuti non scompaiono se si elude la questione. Anzi: i rifiuti, com’è ormai assodato, sono l’ultimo anello di una economia circolare che si conclude, appunto, con lo smaltimento, che, come dimostra Barricalla, può diventare addirittura una fonte di guadagno e un’occasione per recuperare aree e produrre energie.
Si parlava di metodo, ma che sembra non coinvolgere solo la scelta del deposito nazionale. Una decisione tardiva e un mancato coinvolgimento che non comportamento esclusivo della scelta per il deposito delle scorie radioattive. È d’accordo con questa affermazione?
Personalmente, come ho appena detto, avrei scelto una strada diversa. Mi spiego: affidare ai tecnici l’individuazione dei territori, implica scelte di politica ambientale (con inevitabili effetti di ricaduta sociale) che non si esauriscono nella elencazione dei siti astrattamente idonei. Questa prima fase, così come è accaduto, deve essere fatta con la necessaria discrezione. Elaborato un quadro di massima, tuttavia, il velo deve cadere: è necessario il confronto con le istituzioni locali, le comunità, le associazioni per sondare la possibilità di una scelta condivisa per quanto è possibile. A volte, anche il linguaggio usato fa la differenza: definire proposte e non scelte le soluzioni sul tavolo, può essere elemento di distensione.
Naturalmente, non si può tergiversare in eterno e ad una conclusione bisogna pur addivenire, tenendo conto, altresì, che sarebbe comunque preferibile evitare di gravare particolarmente su certe aree, come, ad esempio, è avvenuto per l’alessandrino.
In Piemonte, secondo fonti di Legambiente, è stoccato l’80% dei rifiuti radioattivi. A qualcuno potrebbe venire la tentazione di replicare “abbiamo già dato”, quando, in realtà, vi sono territori i cui rappresentanti sarebbero ben lieti di accogliere, con le dovute compensazioni e a condizioni di sicurezza assoluta, le scorie.
Secondo lei, dopo anni di discussioni e soldi spesi nella Sogin, la società che doveva avere come obiettivo la realizzazione del sito nazionale di scorie nucleari, come vede questa conclusione? O meglio questo stato dell’arte?
Non vorrei esprimere giudizi del tutto inopportuni. Mi limito, invece, a prendere atto delle reazioni.
Intanto, siamo, come sempre, in ritardo nella gestione di un problema che non nasce oggi. Il ritardo ha comportato una accelerazione che, ora, comprime i tempi della discussione e potrebbe compromettere soluzioni raggiungibili con l’indispensabile equilibrio e anche con un poco di pazienza, altrettanto indispensabile.
Sogin ha senz’altro fatto un buon lavoro, non lo metto in dubbio. Le reazioni che sono scaturite alla divulgazione dell’elenco dei siti – e, mi consenta, le emozioni derivate dal fatto che gli stessi sembravamo “calati dall’alto” – non incidono sulla qualità scientifica delle valutazioni effettuate, ma offuscano il giudizio sui criteri utilizzati, che passano in secondo piano. La materia, invece, è estremamente complessa e richiede, oltre all’analisi del territorio, una valutazione prospettica della evoluzione delle aree, tenendo conto anche dei profili logistici (vicinanza dei siti a grandi reti di comunicazione, ad esempio).
D’altra parte, non possiamo trascurare il fatto che stiamo parlando di scorie nucleari: sebbene si tratti di materiale a bassa radioattività e di quantitativi non allarmanti, la parola induce istintivamente apprensione.
Infine, lei da presidente di una società che gestisce un impianto di smaltimento rifiuti suggerisce di superare l’opposizione preconcetta a ogni tipo di impianti, ma quindi, come dovrebbe agire la comunità che invece dovrà accettare sul proprio territorio il deposito? Quali sono stati i vostri approcci per rendere compatibile con il vostro territorio la presenza del vostro impianto?
Come ho appena detto, occorre superare i pregiudizi e aprire un dialogo con le istituzioni, le comunità e con le associazioni ambientaliste. È necessario spiegare che i rischi possono essere superati, che la salute delle persone non è messa in discussione, che non si consumerà territorio e che dall’operazione potranno derivare vantaggi, anche in termini economici. Noi, in Barricalla, ci regoliamo in questo modo, con assoluta trasparenza, giovandoci anche e soprattutto della qualità del lavoro svolto in trent’anni di attività e della stima conseguita presso le istituzioni, gli organi di controllo e le associazioni ambientaliste. Abbiamo organizzato giornate a porte aperte, consentendo a chi lo desiderava di vedere con i propri occhi che una discarica di rifiuti pericolosi può essere gestita in piena sicurezza, producendo addirittura energia verde. Insomma, siamo parte di un sistema complesso, al quale, con gli utili realizzati, cerchiamo di contribuire.
In definitiva, penso che, con la cautela del caso e alle condizioni indicate, la stessa cosa possa essere fatta anche nel caso delle scorie nucleari. In questa prospettiva, la nostra Regione può giocare un ruolo importante e trarre vantaggi significativi.
Alessandro Cappai