Alla fine di un romanzo giallo si sa sempre chi è il colpevole dei delitti, più efferati o meno che siano, ma di quelli che la burocrazia italiana commette a piè sospinto, nessun Poirot è mai riuscito a trovarlo o a trovarli, se, come sembra siano più di uno. Non lo sapremo neppure alla fine del libro dall’eloquente titolo “L’Italia immobile”, edito da Chiarelettere, che Michele Corradino, attuale presidente di sezione del Consiglio di Stato, con un passato di commissario dell’Autorità nazionale anticorruzione e capo di gabinetto di diversi ministeri, quindi uomo con le mani in pasta, quindi tra i sospettabili, ha scritto in merito al più annoso dei problemi che affliggono il nostro Paese, la sua economia, la sua sempre più drammatica decrescita infelice, in ritardo su tutto: infrastrutture, giustizia, servizi, ma non sul piano della corruzione dove siamo tra i primi in Europa.
Corradino parte dal tema degli appalti che rappresentano uno dei motori principali dell’economia del Paese, in continua crescita, con un volume complessivo di lavori passato, per restare agli ultimi anni, dai 111 miliardi di euro del 2016 ai 170 del 2019, cifra che nell’anno appena trascorso risulterà in flessione solo a causa della Pandemia di Covid 19. Un mercato quindi altamente significativo che riguarda sia le opere, con apertura dei cantieri su tutto il territorio italiano, sia le forniture dei servizi pubblici, amministrazione, istruzione, sanità. Eppure, eppure… buona parte di queste restano vergognosamente incompiute o caratterizzate da ignominiosi ritardi, con conseguenze disastrose per le aziende coinvolte costrette a chiudere per fallimento, con tutte le conseguenze in termini di occupazione, miseria, disperazione, suicidi, mentre nei vari ministeri ed enti preposti, dirigenti, funzionari, impiegati, addetti vari, e soprattutto i politici, continuano imperterriti a stare tranquilli incassando mensilmente i loro stipendi del tutto indifferenti a quanto accade fuori dalle loro stanze (stipendi che, non bisogna dimenticarlo, sono frutto del lavoro dei contribuenti, identificabili soprattutto nei privati, imprenditori e loro dipendenti, commercianti, professionisti, partite Iva, le cui tasse finiscono in gran parte in quelle casse dalle quali lo Stato trae il necessario per pagare i propri dipendenti, sedi, consumi).
Di chi la responsabilità? Perché basta leggere i giornali, seguendo le dichiarazioni di questo o quel politico, a qualsiasi area o partito o governo stesso appartenga, non ce n’è uno che non abbia sollevato il problema della burocrazia, delle troppe norme spesso contraddittore, più frequentemente ancora volutamente ambigue o incomprensibili. Norme, tra l’altro, che, nella pretesa di porre asticelle sempre più alte di sicurezza nelle gare di appalto in chiave di trasparenza, finiscono in realtà con l’elevare il grado di corruzione, favorendo – nello stretto rapporto, là dove c’è, tra corruttori e corrotti – un affinamento delle armi necessario a passare le maglie dei sempre maggiori ostacoli e vincoli. Il risultato è che ad approfittarne sono le imprese, i politici e i funzionari dello Stato con sempre più minori scrupoli, mentre ad essere penalizzate sono le aziende virtuose e, di conseguenza, l’intero Paese, in quanto la stragrande maggioranza onesta degli amministratori pubblici per evitare il rischio di incorrere in uno dei tanti elementi posti dal legislatore a prevenzione della corruzione con tutte le conseguenze del caso, preferisce non fare nulla, come anche lo stesso Corradino, nel suo libro afferma: “Tra il fare e il non fare l’amministratore pubblico ritiene più cauto e meno foriero di pericoli il non fare”.
Corradino affronta con molta chiarezza, a riguardo, le incongruenze dei vari provvedimenti legislativi anche alla luce sia del Codice degli appalti che dell’ultimo Decreto Sblocca cantieri e della legge cosiddetta (nel senso che lo è solo nominalmente) delle Semplificazione, tutti caratterizzati da un caos in grado di mettere gli operatori nell’impossibilità di agire a causa di “un mosaico di fonti” che “volta per volta devono ricostruire in un dedalo di norme sparse in leggi diverse, una che sospende l’alta, una che deroga a un’altra, ma solo per i casi previsti da una norma ancora: luoghi giuridici in cui è difficile orientarsi e che offrono opportunità straordinarie a chi vuole bloccare una gara d’appalto per paura di firmare o per altri interessi personali e, soprattutto, a chi voglia contestare per via giudiziaria i risultati delle gare.”
La conseguenza è che l’operatore – imprenditore e amministratore pubblico – virtuoso si trova a dover affrontare difficoltà che, viceversa, costituiscono la selva oscura in cui i peggiori di essi prosperano.
La domanda che si pone il cittadino attonito è se tutto ciò sia opera di dementi o sadici, oppure, ancora di gente incompetente, priva di quelle basi necessarie nell’amministrazione di un Paese o, più probabilmente, in malafede, atta a lasciare varchi, pertugi, interstizi, a operazioni illecite di arricchimento e potere? Il sospetto è che quello che Corradino chiama “formalismo paralizzante”, conseguenza di un ordinamento che “non si è mai fidato troppo dei suoi funzionari” chiudendoli “in una gabbia normativa che potesse limitarne la libertà in ogni decisione” con l’intento di limitarne la discrezionalità “tradizionalmente vista come fonte di arbitrio o peggio di corruzione” si riduca ad essere solo fumo agli occhi che poche e chiare leggi basterebbero a fugare. In questo senso, piuttosto che farne altre, di leggi, queste andrebbero drasticamente e coraggiosamente tagliate fino a ridurle all’osso essenziale. Viceversa, paradossalmente, si fanno leggi su leggi con l’intento di rendere più trasparente il mercato degli appalti, in realtà col fine (quanto intenzionale?) di renderlo più opaco, così, inevitabilmente, favorendo il malaffare. Il quale, come annota Corradino “è molto più fantasioso del legislatore e così la pratica quotidiana mostra mezzi assai insidiosi impiegati per aggirare tutte le precauzioni individuate dalle legge. Per ottenere un lavoro pubblico, un servizio o una fornitura non è necessario alterare la gara rischiando di essere individuati. Si possono rispettare tutte le regole, pure la più complicate, e ottenere ugualmente il medesimo risultato”.
Il colmo si ha, in questo contesto, quando a lasciare le penne sono spesso persone innocenti. Gli esempi di imprenditori, politici e funzionari passati per questo tipo di trattamento non mancano (si pensi solo, facendo riferimento a un caso recente, al calvario subìto da Ottaviano Del Turco).
Non è un caso, pertanto, che “di fronte alla complessità la burocrazia si ferma, teme la responsabilità, teme di essere incolpata di errori e danni e di doverne rispondere patrimonialmente o addirittura penalmente (…) cosa che accade sempre più spesso agli amministratori pubblici, anche se all’accusa formulata in sede istruttoria segue l’archiviazione o l’assoluzione.” Le statistiche a riguardo dicono che ben il 92 per cento delle incriminazioni sono state archiviate senza andare a processo, anche se non senza conseguenze per il malcapitato, il più delle volte massacrato da una stampa giustizialista che trasforma la semplice informazione di garanzia in condanna anticipata con titoli, a seconda del soggetto, magari di prima pagina, trattamento che però la stessa stampa si guarda bene dal replicare in caso di archiviazione o assoluzione.
In questo quadro criminoso, perché tale è, chi imputare del delitto dell’Italia immobile, se a redigere l’istruttoria con questo interessantissimo libro ricco di informazioni e dati, non è un giornalista d’inchiesta, bensì un uomo appartenente a quella stessa burocrazia che egli stesso mette, insieme a tutto il resto, così lucidamente sul banco degli imputati? La domanda vera è: dove nasce il male? Ricordo un convegno de “La Marianna” nel corso del quale l’on. Mario Baldassarri, raccontando di quand’era viceministro dell’economia e delle finanze, si trovò a scoprire che per sostituire una lampadina fulminata del suo ufficio al Ministero ci volevano intere settimane di iter burocratico, per altro con aggravio di costi per i contribuenti rispetto al valore stesso della lampadina, che, impotente, a un certo momento preferì comprarsene una lui spendendo i pochi euro che costano e, facendosi portare la scala, provvedere egli stesso a cambiarla. Forse il colpevole, in realtà, è il sistema, le troppe leggi, di fronte alle quali – come un consigliere di Stato e un viceministro confermano – il singolo soggetto è impotente. In questo caso il colpevole è la politica, dal governo al parlamento tutto, che si guardano bene dall’intervenire sulla materia azzerando tutte le leggi inutili, contraddittorie, assurde, idiote, che bloccano da troppo tempo ormai questo Paese. Ma farlo costerebbe sul piano del consenso e la politica si guarda bene, come solo i grandi sanno fare, dallo sfidare l’impopolarità mettendo al primo posto gli interessi del Paese.
Diego Zandel
Michele Corradino, L’Italia immobile, Chiarelettere, pag. 216, €. 16,00