Il Presidente è stato preciso anche senza fare riferimenti.
Puntuale e non equivoco, senza fare nomi.
Sferzante e stufo, senza prendersela con nessuno in particolare.
Di fronte a una platea televisiva da record (oltre 15 milioni di ascoltatori, il massimo raggiunto da quando, nel 1986, entrò in funzione l’Auditel) Sergio Mattarella ha individuato una parola magica inserendola in un bisogno del Paese: “Adesso è il tempo dei costruttori”!
Abbiamo bisogno di una classe politica che smetta non solo di litigare per le poltrone, ma anche di limitare la sua azione a una continua manutenzione ordinaria senza slanci concreti verso il futuro, senza una visione per il domani, ma basata sulla continua ed estenuante ricerca di mediazioni al ribasso.
Questo è il nocciolo del discorso di fine anno del Presidente, l’ultimo del suo settennato, non necessariamente l’ultimo di Sergio Mattarella.
Dietro le parole auliche e piene di speranza e gratitudine per il futuro e per tutto il personale sanitario che ha arginato in qualche modo la tragedia del Covid in questi lunghi mesi del 2020, c’era un grido di allarme, di preoccupazione, di stanchezza per un partitismo che non produce più idee, non ha progetti concreti per il domani, non sa come affrontare un anno chiave per la rinascita , o il declino assicurato, del nostro Paese.
Si limita a vivacchiare, senza decidere nulla, pur di sopravvivere.
Con un Parlamento che, stando ai sondaggi, non rappresenta più il Paese ma che resiste a oltranza e a prescindere, con dei parlamentari che, pur di non rischiare di andare a casa (da dove non tornerebbe mai più a Roma) votano qualsiasi cosa!
Ebbene quei partiti li, oggetto implicito del monito presidenziale, come hanno reagito? Come la gommapiuma: “Sante parole Presidente: un giusto richiamo alla realtà!”. Hanno commentato in coro.
Da rimanere sbigottiti!
D’altronde bastava ascoltare la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per avere conferma di cosa stia succedendo: una sequela di affermazioni e risposte vuote, formalmente forse anche ineccepibili, ma prive di alcuna visione per il futuro, legate a una misera e miope gestione della ordinaria amministrazione di un Paese che avrebbe invece bisogno di una straordinaria operazione di riformismo vero, pragmatico e proiettato sul futuro e sulle grandi sfide che ci attendono.
Un vuoto imbarazzante condito da una retorica forse anche per qualcuno accattivante ma basata sul nulla!
Mi si dirà a questo punto: ma Conte è in risalita, nei sondaggi riguadagna consensi.
Gli italiani gli accreditano serietà e gli confermano la fiducia.
Già, stando ai sondaggi, la fotografia sembra proprio quella.
E allora come sbrogliare questa matassa?
Da una parte c’è un Presidente della Repubblica che, nel suo stile basato sul rigoroso rispetto istituzionale, non critica nessuno, tantomeno i partiti e il governo, ma che dice a chiare lettere: adesso basta chiacchere e baruffe da comari. Occupatevi sul serio di ricostruire questo Paese che ha un urgente bisogno di spendere bene le rilevanti risorse finanziarie che stanno per arrivare, facendo, per dirla alla Draghi, un “debito buono” e iniziando un percorso di riforme vere e virtuose.
Dall’altra il capo del governo e i segretari dei partiti di maggioranza e di opposizione che continuano un confronto virtuale tra sordi, ripetendosi fino alla noia slogan obsoleti e privi di contenuto e di pensiero.
Un contesto di marziani che sembrano assolutamente sconnessi con i bisogni del Paese e della gente comune e sono concentrati sul come gestire e dividersi le risorse a favore delle proprie conventicole provinciali.
I riformisti, bisogna ammetterlo, hanno sempre trovato in Italia una strada lunga e difficile da affrontare e percorrere.
Abbiamo avuto nella nostra recente storia patria, alcuni momenti di scarto riformista virtuoso ma per il resto hanno sempre prevalso, mandando infatti in stallo la crescita del Paese, i conservatori, quelli preoccupati dal fatto che ogni eventuale cambiamento potesse mettere in crisi la loro posizione, il loro ruolo, il loro business.
L’Italia così si è fermata.
Da oltre vent’anni non cresce!
Ha perso diversi treni per il futuro e si è messa nella condizione spregevole di non offrire un futuro ai nostri giovani, talenti o anche normali, che infatti sono costretti ad andarsene all’estero.
In una bella intervista, pubblicata su Repubblica in questi giorni, il fondatore Eugenio Scalfari, alla vigilia della quarantacinquesima candelina del suo giornale, traccia una breve storia del riformismo italiano con le sue vittorie, poche, e le sue sconfitte, tante.
Adesso, all’inizio di un anno chiave per lo sviluppo del Paese, di fronte ad un bivio drammatico, ripresa con riforme vere o declino irreversibile, l’auspicio di Mattarella è che il timone passi nelle mani di un comandante e di una squadra di “costruttori” .
Basta mediatori, basta manutentori!
Abbiamo bisogno di professionisti, cioè, dotati di competenza, determinazione, esperienza internazionale e pragmatismo visionario (non è un ossimoro ma un metodo di lavoro che guarda ad obbiettivi strategici, anche di medio-lungo periodo, ma tenendo conto sempre delle possibilità reali del Paese per evitare velleitarismi disastrosi), in grado di progettare davvero un “Piano nazionale di ripresa e resilienza” ben diverso da quello raffazzonato e con le priorità scritte “con i dadi” presentato da Conte e che ha scatenato la reazione di Renzi e poi di tutto il Parlamento.
Forse il grande consenso che Conte sta ottenendo nei sondaggi segnala invece e purtroppo un trend diverso: che la maggior parte degli italiani, in fondo in fondo, piuttosto che accettare una sfida piena di sacrifici e di necessarie modifiche comportamentali (una per tutta, il pagare tutti tutte le imposte come dovute!) preferisca continuare il tran tran odierno, caratterizzato da grandi retoriche del “vogliamoci bene” e da un sistema partitico sostanzialmente dedicato alla spartizione clientelare delle risorse esistenti, senza grandi salti riformisti in avanti, considerati sempre rischiosi e comunque modificativi dello status quo.
Nessun riformismo insomma.
Costruttori? Ma anche no!
Questo è l’incubo che mi assale quando incrocio, in queste ore, il grido di dolore e di speranza di Mattarella, la curva dei consensi di Conte che migliora, il confronto politico tra i partiti che si minacciano, a turno, alternativamente rimpasti, crisi di governo o elezioni anticipate come vivessero in un acquario di pesci rossi, isolati dal mondo reale e ciechi di fronte ai pericoli che stiamo correndo. Anche istituzionali e di tenuta del sistema democratico.
Un incubo che non riesco a scacciare e che, nonostante le parole rassicuranti di Mattarella, aumenta invece di diminuire.