Per la stragrande maggioranza della stampa mondiale è stato un grande successo.
La Merkel, Orban e Morawiecki hanno trovato, alla fine, un accordo e il Next Generation Fund è stato finalmente battezzato e ora può iniziare il suo percorso finale per l’erogazione dei fondi agli stremati stati membri come il nostro.
All’ultimo miglio della sua ultima presidenza europea, la cancelliera tedesca è riuscita, ancora una volta, a portare a casa un risultato positivo.
Una dura e faticosa mediazione che alla fine ha sbloccato lo stallo.
La domanda che rimane però aperta è: a quale prezzo?
Avevo cinicamente scritto, in un recente contributo su questa testata, che alla fine i soldi, e cioè più soldi a Ungheria e Polonia, avrebbero sbrogliato la matassa.
Altro che la difesa dei principi fondanti dello Stato di Diritto: più soldi nelle tasche di ungheresi e polacchi e la firma di Budapest e Varsavia sarebbe sicuramente arrivata.
Sono stato un ingenuo: forse un cinico ingenuo.
Infatti, da cosa si è potuto leggere in questi giorni nei resoconti da Bruxelles, la mediazione finale è stata fatta proprio sui diritti fondamentali di ogni democrazia: la difesa dello Stato di Diritto.
Per valutare cosa sia successo nelle ultime ore della mediazione finale, é importante, a mio avviso, conoscere il quadro normativo di riferimento nel quale si sono mossi i protagonisti di questa concitata trattativa.
Inizio subito con l’evidenziarvi che già nel Preambolo e nella parte iniziale del Regolamento del Next Generation Fund, approvato a luglio dai governi, dopo una lunga dissertazione su che cosa sia lo Stato di Diritto e quanto risulti importante per la sopravvivenza dell’Unione Europea medesima, si rinviava la specifica disciplina delle “condizionalità” dei fondi, all’articolo 3 del Regolamento medesimo.
Tale articolo spiega quando possono essere adottate le sanzioni nei confronti di uno stato membro.
Era già chiarissimo, fin da allora, che “le violazioni ai principi dello Stato di Diritto in uno stato membro” avrebbero potuto comportare la sospensione/revoca dei fondi già deliberati ed erogati soltanto qualora tali violazioni “danneggino, o rischino seriamente di danneggiare, la sana gestione finanziaria del bilancio UE, o la protezione degli interessi finanziari dell’Unione in modo sufficientemente diretto”.
Appariva dunque già complicata l’ipotesi che una violazione, ad esempio, delle parità di genere o della libertà di stampa, potessero avere ricadute dirette sul bilancio UE o sulla gestione finanziaria della politica europea.
Vi faccio un esempio per rendere ancora più chiara la norma: l’indipendenza della magistratura, sicuramente sotto attacco in questi mesi sia in Ungheria sia in Polonia, è una condizione essenziale dello Stato di Diritto. Ai fini, però, della previsione sanzionatoria del Regolamento del Next Generation Fund, bisognerebbe dimostrare che una magistratura asservita al potere esecutivo ha voluto o comunque vuole trascurare di tutelare gli interessi economico-finanziari dell’Unione Europea.
Se non si riuscisse a dimostrare l’esistenza di tale nesso di causalità, Bruxelles non potrebbe mai emanare delle sanzioni allo stato membro responsabile di tale limitazione alla indipendenza e autonomia della magistratura.
E’ importante capire questo passaggio per analizzare meglio l’accordo finale trovato la scorsa settimana a Bruxelles, grazie alle capacità negoziali di Angela Merkel.
Rimane ovviamente il legame formale tra i finanziamenti deliberati o erogati e l’osservanza delle regole fondanti dell’Unione Europea.
E’ stata aggiunta però una clausola che sottolinea come nella valutazione delle possibili violazioni dello Stato di Diritto bisognerà, in ogni caso, rispettare “l’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale”.
In un’altra clausola dell’accordo, si precisa che rimane viva e valida la “condizionalità” sulla tutela dei principi fondanti dello Stato di Diritto, ma che la sanzione eventuale sarà erogata esclusivamente quando la violazione di tali principi abbia leso la protezione del bilancio dell’Unione Europea, la sua sana gestione finanziaria e comunque gli interessi finanziari generali dell’Unione.
Dunque non tutte le violazioni dello Stato di Diritto daranno vita a questo tipo di sanzioni economiche ma soltanto quelle che abbiano oggettivamente un impatto diretto sugli interessi economici e finanziari dell’Unione Europea.
Se già nell’accordo di luglio la “condizionalità” aveva dei limiti, oggi, tali limiti, sono stati rafforzati.
Un’altra importante novità del nuovo accordo raggiunto a Bruxelles la scorsa settimana, è riferita alla circostanza che la “condizionalità” di cui sopra varrà soltanto per quei fondi previsti nel nuovo bilancio europeo. Non per quelli già deliberati e/o in corso di erogazione.
E’ stato poi inserito nel documento finale un articolato schema di Linee Guida emanate dalla Commissione con la procedura, a favore degli stati membri che vogliano contestare l’eventuale erogazione della sanzione, da seguire per presentare i ricorsi alla Corte di Giustizia contro le sanzioni.
Chiarito il contenuto dell’accordo finale, definito da tutti un grande successo, qualche dubbio ci dovrebbe rimanere in testa.
Certo che Polonia ed Ungheria sono soddisfatte: forse Bruxelles dovrebbe esserlo un po’ meno!
Il concetto finale che emerge oggettivamente dall’accordo che ha sbloccato lo stallo, evidenzia come i principi dello Stato di Diritto, dei nostri modelli democratici, dei diritti e delle libertà fondamentali delle nostre coesistenze pacifiche, saranno considerati valori fondanti da proteggere per l’Unione Europea soltanto se la loro violazione “confliggesse con la protezione dei suoi interessi finanziari” come ha giustamente sottolineato, con tristezza e preoccupazione, Vladimiro Zagrebelsky sulle colonne de La Stampa.
Dopo questo accordo, si chiede l’autorevole magistrato, chi può oggi continuare a credere che l’Unione e l’Europa non siano soltanto un mercato unico e una pura entità economica?