Nell’ambito del Festival nazionale dello sviluppo sostenibile, celebrato nel mese di ottobre con il coinvolgimento di cittadini, imprese ed istituzioni con l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso la modifica dell’humus economico e culturale, la curatrice del Museo del Risparmio di Torino Giovanna Paladino ha intervistato Antonio Massarutto, economista ambientale, docente presso l’università di Udine ed autore del libro “Un mondo senza rifiuti, viaggio nell’economia circolare”.

La prima domanda posta è stata proprio quella sull’origine della denominazione di economia circolare.

Come è nato questo termine della nuova branca di economia?

Antonio Massarutto ha spiegato che il termine – meglio lo slogan – è stato coniato da un’esperta velista al termine di un lungo viaggio in mare di 80 giorni, dove ha capito che, metaforicamente, la nostra economia è come una barca in mezzo all’oceano e necessita di adeguato equilibrio per viaggiare e raggiungere le proprie mete, senza troppo e senza troppo poco bagaglio. L’economia circolare è inserita armonicamente in un tutt’uno, produce vita, senza troppi sprechi (in quanto tutto deve rientrare nell’insieme) assomigliando alla vita degli esseri viventi. Di contro, l’economia dell’usa e getta, ci ha fatto perdere il vincolo con la materia mentre l’economia circolare attira l’attenzione sull’ uso della materia. Peraltro, vi è oggi una potente arma a  favore dell’uomo – che nessun altro essere vivente possiede –  costituita dalla tecnologia, che permette all’uomo moderno di sostituire materie prime che scarseggiano con altre materie. Circolarità non è tuttavia soltanto sostenibilità, ma un qualcosa di più. Per fare un esempio concreto, non è sufficiente riciclare la carta usata, bensì, a monte, è necessario gestire le foreste con criteri di sostenibilità. Il riciclaggio del 60/70% dei rifiuti (ad eccezione della plastica che raggiunge solo il 30%) è un ottimo risultato già raggiunto, ma non ancora sufficiente. Per ridurre in maniera significativa i rifiuti è necessario intervenire a monte (con provvedimenti ex ante oltre che ex post), tramite il coinvolgimento dell’intera filiera. Ottimo l’esempio degli imballaggi, con una percentuale molto alta di riciclaggio, grazie ad un’organizzazione improntata alla prevenzione efficiente.

E per quanto riguarda la cosiddetta “frugalità”, come può la stessa essere contestualizzata nell’economia circolare?

Massarutto precisa che il concetto moderno di spreco è diverso da quello che avevano i nostri nonni, dove i beni di consumo erano preziosi in quanto rari. Rammendare i calzini e risuolare le scarpe, costituiva una scelta economica sensata, in quanto il costo della riparazione era di molto inferiore a quello di acquisto. Diversamente da quello che accade nel mondo di oggi, dove per rammendare un calzino usato sono necessarie alcune ore di una lavoratrice esperta, con un costo decisamente superiore al valore commerciale del calzino stesso. Quindi, il valore del concetto di spreco deve essere contestualizzato: si spreca gettando via il calzino bucato ovvero facendolo rammendare da una lavoratrice? Si può dire che il moderno concetto di spreco sia quello di usare le risorse non in una maniera corretta. Massarutto precisa tuttavia che anche l’eccesso di consumi ha dei lati positivi, ricordando come il boom economico del dopoguerra ha sostenuto l’economia per almeno tre decenni, trasformando la classe dei poveri in ceto medio. Per assurdo, anche l’eccesso di produzione ha effetti positivi: si può dare ai poveri ciò che i ricchi non hanno consumato (il Banco Alimentare costituisce un egregio esempio di questo concetto).  Del resto, una contrazione dei consumi non necessariamente porta ad una decrescita, anzi può portare ad una crescita orientata in maniera diversa, ad esempio verso servizi anziché cose, dirottando diversamente le proprie risorse finanziarie verso beni immateriali anziché materiali (scegliendo l’abbonamento a teatro anziché l’ultimo modello di cellulare).

Collegato alla migliore gestione dei rifiuti e degli scarti è il tema della responsabilità estesa, nuovo termine anche con possibili significati giuridici.

Massarutto paragona la nostra economia ad un’orchestra, dove, affinchè il suono prodotto sia piacevole, ognuno deve fare la propria parte (musicisti, direttore, spartito). Così nell’economia circolare ogni attore (lavoratore, datore di lavoro, tecnologia, istituzioni) deve contribuire al raggiungimento dell’obiettivo finale, con coinvolgimento dell’intera filiera e considerando non solo il proprio interesse. Da un punto di vista giuridico la responsabilità estesa può paragonarsi alla responsabilità oggettiva, dove non vi è un vero e proprio responsabile, ma si risponde per un dato oggettivo. Più concretamente, il produttore non dovrà valutare solo il proprio interesse individuale, ma tenere in considerazione anche gli interessi degli altri attori coinvolti nel processo di produzione, i quali dovranno tutti insieme farsi carico dell’obiettivo finale, socialmente sostenibile. È probabile che questo concetto di responsabilità estesa abbia notevoli sviluppi in un futuro a noi vicino.

Come domanda finale, forse la più difficile: l’economia circolare è conveniente?

Massarutto parte dalla premessa che i principi base dell’economia di mercato sono i costi e i benefici. Ma ci si dimentica così dell’esternalità, ossia dei costi e dei benefici anche sociali. Il capitale naturale ha un ruolo importantissimo, in quanto non riproducibile e che comporta pertanto un uso molto attento. Anche le tesi economiche più pessimistiche del Maltus non si sono ancora avverate, ma non è escluso che in un immediato futuro non si verifichino. La risposta alla domanda è un si, con la precisazione che i rifiuti esisteranno sempre, seppur in maniera ridotta, intervenendo anche a monte e non solo a valle della filiera. Gli impianti saranno sempre necessari così come la potente arma a nostro favore della tecnologia.

Dal pubblico virtuale, collegato on line, perviene un’ultimissima domanda: come mai gli obiettivi sono stati raggiunti già nel 2020 con percentuali di riciclo del 60% 70% dei rifiuti in generale tranne che nel settore della plastica, dove si raggiunge soltanto la percentuale del 30%?

Risposta di Massarutto: perché l’utilissima plastica è un rifiuto molto problematico da gestire in quanto eterogeneo. Proprio queste caratteristiche del prodotto creano problemi (per circa il 50%) nella gestione dei rifiuti, ora che anche la Cina non vuole più la nostra plastica usata. Tuttavia, la riduzione dell’uso della plastica, con il suo smaltimento ed il suo riciclaggio, rientra tra gli obiettivi da raggiungere tassativamente entro il 2030.

Liliana Perrone

Liliana Perrone

Consulente legale di Intesa Sanpaolo

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