William Colby, direttore della CIA dal 1973 al 1975, ebbe a scrivere nelle sue memorie “L’Italia è stato il più grande laboratorio di manipolazione clandestina”. In che modo, chi ne sono i protagonisti, i fatti e le prove, ce lo raccontano Mario José Cereghino, ricercatore di professione, e il giornalista Giovanni Fasanella in “Le menti del doppio stato”, edito da Chiarelettere, con una prefazione di Giuseppe Vacca, storico delle dottrine politiche e già direttore della Fondazione Istituto Gramsci, che raccoglie l’archivio segreto del PCI, rovistato puntigliosamente dagli autori insieme agli archivi italiani e angloamericani, almeno, ovviamente, nei documenti desecretati, tutti comunque confermanti l’affermazione di Colby.
Nel libro si arriverà, naturalmente, a parlare degli anni di piombo, caratterizzati da quelli che venivano chiamati gli opposti estremismi, per cui i gruppi estremisti rossi, da una parte, e neri dall’altra, venivano abilmente manipolati per creare il caos che giustificasse eventuali interventi autoritari o, almeno, relative sospensioni o limitazioni delle libertà costituzionali; così come il libro parlerà delle stragi, quelle di Bologna, di piazza Fontana, di Brescia, di Ustica, quelle mafiose dei primi anni Novanta, e altre fallite perché scoperte o “interrotte”, così come sono stati scoperti o, più facilmente, interrotti alcuni tentativi di colpi di stato, da quello del generale De Lorenzo a quello cosiddetto dell’Immacolata tentato da Junio Valerio Borghese nel 1970.
Ma, in realtà, gli autori si concentrano per la loro ricerca sul periodo che va dal 1944 ai primi anni Cinquanta, quando l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra con gli alleati, si vede divisa in due, con il sud già liberato dagli angloamericani, mentre nel nord, in mano alla Repubblica Sociale e occupato dai tedeschi, le forze della Resistenza, con l’aiuto degli alleati, ingaggiavano battaglie per la liberazione anche di quei territori. Sono gli anni in cui il Deep State italiano, cioè lo Stato profondo o doppio Stato, si forma all’interno delle strutture istituzionali prima monarchiche poi repubblicane sotto la guida di alcune intelligence, con la complicità di gruppi di potere e agenti italiani, che condizioneranno la vita politica del nostro Paese. E, forse, la condizionano ancora.
Il libro, è la premessa degli autori, “non è un trattato di storia ma un’inchiesta giornalistica”, ed usa fonti che gli stessi storici non hanno mai o assai poco frequentato, preferendo una narrazione indolore, quando non retorica, della storia del nostro fine e dopo guerra, piuttosto che la verità di un Paese che in tutti i modi si è cercato di smembrare, con pretese di controllo territoriale, alcune in gran parte riuscite, come quelle jugoslave sul confine orientale (seppur Tito, nella sua mania di grandezza, voleva tutto il nordest e al sud dei Balcani anche la Grecia fino a Salonicco), altre, come quelle francesi, sul confine occidentale, ottenute soltanto in piccola parte con la cessione dei paesi di Briga e Tenda, altre ancora, come il sud e le isole, ambite da inglesi e americani, con i due in un primo momento divisi da interessi diversi. Dai documenti emerge infatti che esisteva in un primo momento una linea di accordo tra russi e inglesi, o meglio tra Churchill e Stalin, della quale gli americani erano rimasti fuori (ma Yalta rimetterà le cose a posto) che si erano messi d’accordo per assegnare l’Italia nord orientale tutta alla Jugoslavia (allora ancora legata ai russi), quella occidentale alla Francia, il sud continentale agli americani e le isole, Sicilia e Sardegna, agli inglesi, ai quali ultimi interessava mantenere il controllo del mediterraneo già avviato con l’occupazione di Cipro e di Malta. Il rapporto esclusivo tra Churchill e Stalin passava attraverso l’intelligence: Stalin il Gru, e Churchill, anche il suo, quasi personale, quella parte del MI6 legato ai comunisti del cosiddetto Gruppo di Cambridge: Guy Burgess, Kim Philbi, Anthony Blunt, quest’ultimo addirittura imparentato con la casa reale. Fu già tra il 1939 e il 1940 “che Burgess cominciò ad agire da instancabile go between, ossia da ‘messaggero’ tra Churchill e il potente ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Majskij, a sua volta in contatto permanente con Stalin” si legge nel libro. E naturalmente, per quanto riguarda l’Italia, anche qui vigevano i necessari collegamenti. Il primo e più importante fu Giuseppe Cambareri “uno dei personaggi più sottovalutati e meno conosciuti fra i tanti che giocarono un ruolo nelle vicende oscure e sanguinose che caratterizzarono la scena italiana almeno a partire dal 1944 e di sicuro fino al 1948”. Massone, fu, per volontà della Massoneria inglese, il protagonista della ricomposizione di quella italiana, divisa negli anni del fascismo. Messo sotto osservazione dell’Ovra, tacciato come agente degli inglesi, cercò di accreditarsi più tardi come consigliere economico di Mussolini, aiutato anche dalla seconda moglie Jole Fabbri Vallicelli, nota anche come “Dama Azzurra” considerata una medium dai poteri eccezionali, da tempo affiliata alla setta della Fratellanza bianca universale dell’Arcangelo Michele, che agiva all’interno della Società teosofica, ma che più che al servizio “dello spirito si rivelò essere ai disegni geopolitici, d’influenza e di intelligence”.
Le cose poi cambiarono, anche perché gli americani non erano così sprovveduti da lasciarsi fregare da inglesi e russi, con i francesi che facevano un po’ di testa loro, come, ad esempio, seminare di agenti della loro intelligence in Val d’Aosta e parte della Liguria e del Piemonte con piani di annessione anche militari “un obiettivo che il generale transalpino (De Gaulle, n.d.r) inseguiva da qualche anno”. Questo spinse il controspionaggio americano ad agire, segnalando “subito la nascita in Val Susa di un ‘nuovo gruppo separatista’, il Groupe anciens dauphinois (GAD) ovvero i nostalgici dell’antico Delfinato, la regione subito al di là delle Alpi occidentali”. Ma più avanti emerse un quadro molto più ampio sul lavorìo sotterraneo della Francia, che puntava per la Liguria alla provincia di Imperia e Savona, e per il Piemonte fino alla inclusione della provincia di Cuneo.
Dalla parte opposta giocavano Tito e i comunisti, in particolare quelli dell’area militare, guidati da Secchia e Longo. In questo quadro, Tito attivò in Italia la sua polizia politica segreta, l’Ozna, diffondendo in tutti i gruppi partigiani comunisti le cosiddette troike, ovvero tre agenti per ogni gruppo, puntando alla sollevazione armata del PCI. “Erano formazioni ‘terroristiche’ alle quali il regime di Tito aveva impartito l’ordine di prepararsi a compiere ‘azioni violente’ contro gli organi del Governo militare alleato e le sue forze di polizia, in vista della conclusione della Conferenza di Parigi. Una volta addestrati, i terroristi italiani della scuola di Lubiana e numerosi agenti di Tito furono inviati ‘in missione segreta in Italia’ con passaporti rilasciati a Milano dai consolati della Cecoslovacchia e dell’Unione Sovietica. Grazie agli uomini venuti dall’Est, se già prima della Liberazione ‘un gran numero di slavi di sinistra era al comando’ di diversi Gap, ora ‘gli elementi slavi’ avevano il pieno controllo dell’intera rete insurrezionale”.
Ebbene, soltanto le doti diplomatiche e politiche di Togliatti riuscirono a limitare il danno che avrebbe portato l’Italia sul baratro di una guerra civile, puntando, viceversa, al disarmo e alla pacificazione, considerato per questo dai suoi un traditore, al punto di essere vittima di diversi attentati (l’unico riuscito quello di Pallante). Una condizione che, a un certo momento, spinse “il Migliore” a farsi un proprio servizio di intelligence che prevedesse le mosse di Secchia, Longo, Tito, Stalin e lo stesso Churchill che sosteneva la rivolta armata dei comunisti per intervenire militarmente in funzione anticomunista, mettendo l’Italia in una condizione simile a quella della Grecia.
In tutto questo gli americani non stavano a guardare. In seguito al fallito attentato al governo Bonomi, riunito il 20 ottobre del 1944 al Viminale (60 chili di tritolo piazzati in un armadio), gli angloamericani svolsero un’indagine dalla quale emersero diversi possibili esecutori, sia appartenenti all’estrema destra e monarchica sia all’ala armata del PCI che era molto forte a Roma, ma anche i comunisti togliattiani “sui quali pesava il forte sospetto che stessero preparando un colpo di mano per impadronirsi del potere”. Sta di fatto che gli americani, dopo quell’attentato, mandano a Roma un giovane, brillantissimo capitano dell’intelligence di nome James Jesus Angleton, un uomo che nel libro di Cereghino e Fasanella vedremo spesso dietro le quinte di molte vicende italiane, visto che è lui l’edificatore principe del Deep State italiano con l’istituzione di strutture, più o meno, clandestine e utilizzando personaggi i più diversi, appartenenti a ogni settore politico, di destra e di sinistra, giocando sul tavolo degli opposti estremismi. “Tra la fine del 1944 e l’inizio del 1946, riciclarono nei propri apparati la rete dell’Ovra fascista, impossessandosi del poderoso archivio allestito durante il Ventennio. Un colpo sensazionale per gli effetti che avrebbe provocato nei decenni successivi sulle vicende interne del nostro paese. Perché sarebbe stato non solo fonte di un lungo gioco di ricatti e di intossicazione della vita pubblica”. È interessante sapere che a molte di queste persone implicate con il fascismo furono cancellati tutti i riferimenti che li riguardavano per dare loro la “patente” di partigiani. “Insieme a spezzoni del vecchio Battaglione 808 dei carabinieri, infatti, quel colpo avrebbe partorito una sorta di cabina di regìa della strategia della tensione, tra la fine degli anni Sessanta e buona parte dei Settanta del Novecento: il famigerato Ufficio affari riservati del ministero degli interni, diretto per lungo tempo da Federico Umberto D’Amato” all’epoca già alle dirette dipendenze di Angleton.
Una interessante postfazione al libro entra poi nel merito degli archivi visitati e tocca i punti salienti emersi nel corso delle ricerche relative ai tanti personaggi incontrati nel libro, che sono poi i titoli di coda di una storia che relega l’Italia, in virtù del Trattato di pace di Parigi del 1947, allo status di nazione sconfitta e, quindi, a sovranità limitata. Una condizione che pone molte domande anche su quanto assistiamo oggi.
Diego Zandel
Mario Jose Cereghino, Giovanni Fasanella “Le menti del doppio stato”, Chiarelettere, pag.347, €. 19,00