All’inizio fu Valentino Bruio, un avvocato sui generis, sulla falsariga degli antieroi letterari, che segnò l’esordio nel noir di Giancarlo De Cataldo con il romanzo “Nero come il cuore”. Poi la grande stagione di “Romanzo criminale”, un capolavoro del genere, che suggerì alcuni avvincenti sequel, accanto a opere di impianto storico, come può essere inteso, in qualche modo, anche il penultimo romanzo dell’autore pugliese, ormai romano di adozione, “L’agente del caos”. Ma la quadratura del cerchio arriva adesso con un nuovo personaggio seriale, il sostituto procuratore della Repubblica Manrico Spinori, protagonista dell’ultimo noir di Giancarlo De Cataldo “Io sono il castigo”, edito da Einaudi. Un romanzo più che convincente, con un personaggio che ci auguriamo sia qui alla sua prima avventura di una serie che metta a frutto la lunga carriera ed esperienza di magistrato dell’autore.
Manrico Spinori è un magistrato dal pedigree nobiliare, conte, per la precisione, divorziato, con un figlio che aspira a diventare musicista. Lo stesso Spinori è un appassionato di musica, anzi del teatro dell’opera che frequenta assiduamente e del cui repertorio ha una vasta conoscenza, tanto da offrirgli quasi i sottotitoli alla sua vita quotidiana e professionale. Per i sentimenti e le situazioni estreme che spesso questi generano e che le opere, con i loro drammi esistenziali, esprimono, sono serviti a Manrico più volte a risolvere casi giudiziari apparentemente irrisolvibili (e accadrà anche in questo).
Attualmente il magistrato vive con la madre, bella donna elegante con un debole per il gioco, tanto d’aver svenduto l’intero patrimonio, compreso l’antico palazzo dove i due, serviti dal fedele maggiordomo Camillo, vivono, per concessione della Fondazione che ormai ne ha la nuda proprietà. Nonostante le origini, Manrico Spinori ha un passato giovanile barricadiero, del quale gli è rimasta una visione politica, che diremmo radical chic, le cui idee contrastano molto con lo stile di vita raffinato che, nel romanzo emerge soprattutto nel confronto con un altro personaggio azzeccato nella galleria degli interpreti come quello dell’ispettrice di polizia, sua stretta collaboratrice, Deborah Cianchetti, che ha preso il posto del maresciallo Scognamiglio, recentemente scomparso e quanto mai rimpianto da Manrico soprattutto di fronte a questo nuovo arrivo. La fresca collaboratrice infatti è una giovane dai capelli corti, tatuata, il fisico da runner, sanguigna, dai modi e dal linguaggio piuttosto rudi e popolani, proveniente da una delle tante borgate romane che le hanno forgiato l’educazione, e che, proprio in virtù delle mancate sottigliezze dell’ambiente dove il male e il bene convivono in assenza di zone grigie, della giustizia ha un’immagine manichea, da risolvere ex abrupto e che il garantista Manrico le tiene costantemente a bada, dando vita comunque, tra loro, a un teatrino divertente che alleggerisce la tensione mentre trasmette, nello stesso tempo, indirettamente, anche al lettore la complessità della legge in punta di diritto e l’importanza del rispetto di questo, non sempre osservato dalla magistratura, come appare anche nel romanzo stesso di De Cataldo, dove, nel caso, ai più alti gradi, prevale la voglia di trovare un colpevole qualsiasi pur di far tacere le critiche per gli scarsi risultati delle indagini presso l’opinione pubblica, che spesso anticipa notizie e fonti che la magistratura ha ignorato. Tanto che, al primo vertice operativo per il caso “si percepiva quella sana furia che afferra ogni inquirente degno di tal nome quando si vede scavalcato dalla stampa”.
E qui la stampa, una trasmissione televisiva per la precisione, si era scatenata nell’attaccare la magistratura, quasi già indicando una pista per arrivare all’assassino, visto che le indagini riguardano un omicidio, in un primissimo momento considerato un tragico incidente stradale, di un noto personaggio dello spettacolo, Mario Brans, nome d’arte di Stefano Diotallevi, già cantante poi produttore discografico e nume tutelare di molti interpreti, alla cui auto sono stati manomessi i freni, causandogli la morte e il tentativo della stessa del suo autista, Gilberto Mangili.
I moventi dell’omicidio, così come i sospettati, non sono pochi, e vanno dall’ex moglie e dal figlio alla attuale moglie e figlia, dal fidanzato di una giovanissima cantante con la quale il Brans, ormai anziano, era andato a letto promettendole di sposarla, a un rapper coatto a cui il Brans aveva rubato una canzone e così via, tutti rientrando, sembrerebbe, in quegli interessi relativi, come vengono espressi nella migliore tradizione romanesca, “der priffe e der pelo”, dai versi del Belli addirittura, a cui sembrano appartenere un po’ tutti i sospettati, con i quali l’ispettrice Cianchetti ha una buona famigliarità, ma della quale anche il sostituto procuratore, conte Manrico Spinori della Rocca, non appare così estraneo, per lunga esperienza professionale, a dispetto anche dell’ambiente, sia quello dell’opera, sia quello della madre, che gli capita di frequentare. Ambiente dove il nostro “signor contino”, come il maggiordomo Camillo chiama Manrico, farà un incontro amoroso con una bella donna, anch’essa appassionata di opera, che prelude a una relazione che accompagnerà certamente la serie che vedrà protagonista il sostituto procuratore, per molti versi autobiografico, se non per le origini famigliari ed altri aspetti della sua vita privata (De Cataldo è felicemente sposato, anche se come Manrico, ha un figlio musicista) ma certamente per la sua visione della giustizia, mai sommaria (come si troverà nell’opporsi ad essa non solo con la simpaticissima ispettrice Cianchetti, ma anche con il procuratore capo della Repubblica), anche per la sua abitudine mentale, come afferma a un certo momento, di “pensare come un avvocato” o, più ancora, anzi “meglio cento delinquenti in libertà che un innocente in galera. “Atto di fede che a volte gli faceva dubitare di aver sbagliato mestiere”. La giustizia giusta, quindi, prima di tutto. Come confermerà anche la conclusione del romanzo, senza esitazione uno tra i migliori gialli della stagione. Non a caso Giancarlo De Cataldo ha affermato: “Ho cercato a lungo un personaggio che potesse tenermi compagnia per molti libri. Ora l’ho trovato.” Credo che, con lui, lo abbiamo trovato anche noi lettori.
Diego Zandel
Giancarlo De Cataldo, Io sono il castigo, Einaudi, pag.231, €. 18,00