Uno dei temi sul tavolo del governo ma, lasciatemelo dire, delle nostre vite future è quello legato al non sprecare i fondi che, prima o poi, arriveranno nelle casse del nostro zoppicante e dissestato Paese.
I soldi, anche in assenza di vincoli esterni di spesa e di bilancio, non basta però averli, bisogna, come ho già detto, saperli spendere. Saperli spendere significa saperli valorizzare, in un piano di investimenti che non si limiti a tappare i buchi, gestire l’ordinaria amministrazione, soddisfare le clientele partitiche, ma si occupi anche e soprattutto del futuro, degli investimenti in conto capitale per trasformare, una buona volta, il nostro amato Paese.
Sono circa trent’anni che parliamo di Riforme (la lettera maiuscola è voluta!) senza riuscire a portarne in porto neanche una!
Ho provato, in uno degli ultimi contributi apparsi su questa rivista, a immaginare una lista di priorità di spesa.
Ribadisco, ancora una volta, che ridefinita in modo equo e sopportabile una disuguaglianza ormai inaccettabile e prodromica di violenze di piazza, la seconda, fondamentale priorità italiana è la Scuola.
La formazione del capitale umano, più importante, convinciamocene una buona volta, del capitale economico-finanziario.
Adesso, alla vigilia dell’erogazione di fondi più rilevante dai tempi del Piano Marshall nell’immediato dopoguerra (“piccola” differenza non marginale: questi soldi nella maggior parte, dovremo poi restituirli, quelli di settant’anni fa no!) concentriamoci su questo tema e usciamo da un paradosso masochistico come quello contenuto nel Decreto Riancio: appena 1.5 miliardi di euro su 55 miliardi totali, allocato per la scuola.
Neanche il 3% del totale!
Come affrontare questo delicatissimo e spinoso problema oggetto di numerosissime riforme lanciate dalla politica e rimaste tutte sulla carta o, peggio, dimostratesi peggiori della situazione precedente?
Per esempio, non distraendoci su un tema importante ma non fondamentale: come sarà il modello di scuola post Covid?
Il dibattito pubblico verte, con ampie e clamorose polemiche, su tematiche del tipo lezioni all’aperto o al chiuso, lavori di gruppo, ingressi scaglionati soltanto alle superiori, ecc. ecc.
Tutti aspetti importanti, per carità, ma non decisivi.
L’ho scritto di recente riprendendo una riflessione di Asor Rosa: la classe è il centro vitale dell’insegnamento, punto di incontro fisico di relazioni, interazioni, umanità varie che costituiscono il “sale” del corso di formazione di ciascun studente.
Detto ciò, abbiamo visto e capito che la tecnologia ci può aiutare a non interrompere il ciclo scolastico fisico anche in presenza di emergenze sanitarie, grazie a delle soluzioni in remoto che permettono di continuare a tenere aperto, seppur con modalità diverse, l’apprendimento dei ragazzi, il loro rapporto con i maestri, con i compagni e soprattutto con la conoscenza.
Perché insisto sul non distrarci su questi argomenti importanti ma non essenziali alla soluzione del problema strategico?
Perché sono convinto che il tema centrale della riforma della Scuola sia diverso. Investe le risorse professionali degli insegnanti, la sicurezza degli edifici, una infrastruttura tecnologica in grado di connettere tutti e non solo i ricchi o i fortunati che abitano in certe zone del paese, una modernizzazione del contenuto dei programmi formativi.
Da dove dovremmo iniziare la ricostruzione di un Paese se non proprio dalla scuola?
Troppo pochi pensano davvero che la Scuola sia il luogo dal quale fare ripartire l’Italia con uno slancio rinnovato.
Ancora troppo pochi di noi pensano davvero che l’emergenza Scuola investa in modo decisivo il nostro futuro.
Per questo motivo ritengo che la riapertura della Scuola, a settembre, non abbia soltanto un significato di sostegno per le famiglie italiane e per l’apprendimento dei nostri figli e nipoti ma dovrebbe diventare l’icona di una nuova volontà di trasformare questa tremenda emergenza sanitaria e sociale in una grande occasione per una rivoluzione culturale di tutto il nostro modello scolastico.
Non immaginare più, in altre parole, alla Scuola come ad un grande asilo sociale dove “parcheggiamo” i nostri ragazzi quasi delegando poi al mercato la successiva ed essenziale selezione naturale.
Dobbiamo pensare invece alla Scuola come ad uno spazio culturalmente ed eticamente decisivo dove la vita dei nostri figli e nipoti prende forma, viene educata alla cultura dell’integrazione, dello scambio e della ricerca.
Massimo Recalcati ne ha tratteggiato le caratteristiche in un suo recente intervento su La Repubblica e io ne condivido personalmente sia l’approccio sia gli obiettivi.
Senza una buona Scuola, un paese è morto – ha scritto Recalcati – non dovrebbe essere così difficile da capire!
Se ci fosse tale consapevolezza tutte le energie economiche ed umane più significative dovrebbero essere concentrate in questo settore.
La Scuola non è soltanto una più o meno stimolante trasmissione di saperi, ma è il trasferimento della cultura della cittadinanza, del pensiero critico, del desiderio di sapere. Un luogo e un tempo dove ciascuno di noi acquisisce gli anticorpi intellettuali e quindi culturali per affrontare la vita: non solo quella legata al lavoro ma anche alla interazione umana e sociale.
Come vedete stiamo parlando di un istituto nel quale ciascuno di noi ha l’opportunità di passare dall’età della giovinezza all’età della maturità: il luogo dove ciascuno di noi deve avere l’occasione di acquisire gli attrezzi per il proprio zainetto, compagno di tutta la vita futura.
Per questo motivo ritengo che sia riduttivo concentrarci soltanto sulle giuste misure tecniche per garantire una riapertura della Scuola in sicurezza.
Viviamo un momento storico che ci offre la straordinaria opportunità di fare: “uno sforzo profondo di pensiero e di volontà politica per collocare la Scuola al centro della nostra ricostruzione. Si tratta di inaugurare una nuova stagione culturale”
Recalcati si è spinto oltre a tale affermazione: ha lanciato una vera e propria proposta al Ministro della Pubblica Istruzione scrivendo: “Perché la Ministra non convoca degli Stati Generali della Scuola composti dai docenti, dai dirigenti scolastici, dalle associazioni degli insegnanti, dai Sindacati della Scuola e dagli intellettuali che hanno a cuore il suo destino?
Per mobilitare e radure le migliori energie del nostro Paese a spendersi per il suo futuro? Senza cultura, formazione, ricerca un Paese è privo di avvenire. Non è anche questa una delle tante tremendissime lezioni che questo virus ci ha impartito?”
Al di là del richiamo ormai generalizzato nella nostra politica attuale alla convocazione di Stati Generali di storica e non beneaugurante memoria, condivido il pensiero e la provocazione di Massimo Recalcati.
Se non ora … quando?
Riccardo Rossotto