La necessità di un cambio di paradigma.
Ho introdotto recentemente questo tema di fronte sia alle incertezze manifestate dagli Stati membri dell’Unione Europea sia alla confusione e miopia della nostra leadership politica nazionale.
Dobbiamo ripartire da una pagina bianca per rilanciare Democrazia, Crescita, Coesione pacifica, Speranza nel futuro.
I segnali non sono confortanti.
Si continua a traccheggiare con “meline uruguaiane a centro campo” per dirla con una nota metafora calcistica.
Forse soltanto Mario Draghi ha provato, proprio due mesi fa sul Financial Times, a rilanciare un grande progetto di rifondazione europea proprio in coincidenza della tragedia del Covid-19.
Dopo i rituali applausi e dopo i tradizionali “Draghi Presidente subito”… il silenzio!
Siamo tornati tutti ai nostri piccoli orticelli egoistici e ciechi.
Lampante appare il caso dei quattro paesi nordisti (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria: i Frugal Four) che si oppongono alla istituzione del Recovery Fund da 500 miliardi di euro a fondo perduto immaginato e proposto da Emmanuel Macron e Angela Merkel proprio la scorsa settimana.
Si continua, insomma, la vecchia e stantia polemica della non volontà di socializzare i debiti con le cicale del Club Med (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia).
Non sarà facile per la Commissione Europea trovare un compromesso che permetta, a breve, la nascita di questo ulteriore strumento di supporto per i paesi “piegati” dall’emergenza sanitaria prima ed economica poi.
Anche i più ottimisti sono ormai convinti che il progetto difficilmente otterrà il via libera dai 27 governi dell’Unione Europea.
Ancora una volta il totem dell’unanimità scatenerà settimane di trattative, forse addirittura mesi, quando i sistemi economici di alcuni paesi membri sono a grave rischio di default.
Perché dovremmo socializzare i debiti con degli scialacquatori ciechi e sprovveduti mentre noi rappresentiamo una “virtuosa formichina”?
Questo è il vecchio adagio dei Frugal Four nei confronti del Club Med.
Proprio nell’ottica di far fare un salto di qualità a questo triste e poco edificante dibattito, il Ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, in una intervista pubblicata dal Die Zeit, ha richiamato un importante precedente storico e politico accaduto ben 230 anni fa negli allora appena nati Stati Uniti d’America.
Nel 1790, infatti, il giovanissimo Ministro del Tesoro Alexander Hamilton convinse i singoli Stati americani a mutualizzare i loro debiti di guerra trasferendoli al nuovo governo federale.
Quello straordinario accordo è ancora considerato oggi in America come l’atto fondativo della potenza americana.
Vi voglio raccontare quindi quell’episodio di oltre due secoli fa affinché la sua conoscenza ci possa servire da stimolo per capire meglio come sarebbe possibile far fare un salto di qualità al nostro sogno europeo. Come sarebbe realizzabile, conoscendo la storia, la replica di quell’evento, uscendo dai miopi egoismi nazionali e valorizzando una visione più collettiva e solidale del progetto europeo.
A soli 30 anni, Alexander Hamilton si inventò con pazienza, competenza, visione e spirito inclusivo, una soluzione economico-giuridica che permise ai singoli stati americani confederati, appena usciti vincitori dalla lotta contro la Gran Bretagna per l’indipendenza, di diventare una federazione, superando lo stallo di una drammatica crisi economica e affrontando il futuro con determinazione e speranza, creando i presupposti per quella che sarebbe diventata la grande America degli ultimi due secoli.
Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna del 1783, gli Stati vincitori si rifiutavano di socializzare i debiti accumulati a causa della guerra di Indipendenza.
Alcuni non erano in grado di ripagarli, altri non erano disposti a farlo.
Nella sostanza il neonato paese confederato funzionava come funziona oggi l’Unione Europea, senza una vera autorità politica centrale e senza un governo dell’economia e quindi del debito, unico.
Questa situazione creò una crisi pluriennale che portò il giovane paese sull’orlo della bancarotta.
George Washington, l’eroe della guerra contro gli inglesi, dovette abbandonare il suo “pre-pensionamento volontario” per tornare alla guida del paese e convocare la convenzione di Philadelphia nel 1787, destinata a mettere le basi per una nuova visione e governance degli Stati Uniti.
Fu proprio durante quell’evento che Alexander Hamilton, primo segretario del Tesoro, a soli 30 anni, risolse la crisi con uno dei passaggi fondamentali nella costruzione della nazione americana.
Hamilton trasformò il disastro finanziario degli anni precedenti in crescita e coerenza politica federalista.
George Washington aveva addirittura dichiarato pubblicamente che l’America non era un “Paese rispettabile”: i debiti pubblici e privati non venivano pagati; gli egoismi dei singoli Stati prevalevano su una visione unitaria.
Per questo motivo il protagonista della guerra dell’Indipendenza dagli inglesi riprese il suo posto di comando e immaginò, aiutato dalle migliori teste pensanti della neonata nazione, una nuova costituzione.
Una Magna Carta dei diritti fondamentali che avrebbe creato un nuovo governo nazionale in grado di coniare una moneta stabile, contrarre prestiti e ripagare i debiti, tra cui quelli degli Stati divenuti insolventi dopo le ingenti spese sostenute durante la guerra di Indipendenza.
Con la ratifica della Costituzione del 1789, Washington divenne Presidente e nominò appunto Hamilton alla direzione del Tesoro.
I due statisti americani, che avevano combattuto insieme lo “straniero”, avevano le stesse idee sul futuro della nazione: soltanto un paese fiscalmente forte poteva permettersi una capacità militare adeguata per difendersi dalle potenze europee che, in allora, si temeva potessero ritornare in forze sul suolo americano.
Trovare le risorse finanziarie per ripagare il debito accumulato non fu però un’impresa facile.
Hamilton sapeva che, se avesse sbagliato la tipologia delle imposte da imporre agli americani per pagare il debito, avrebbe indebolito ancora di più un’economia già molto fragile e reduce da anni di grave crisi.
Concentrò pertanto la tassazione sulle importazioni e sui generi non di prima necessità come il whisky.
Il vero problema però era convincere il Congresso americano ad approvare una legge che deliberasse l’assunzione dei debiti dei singoli Stati da parte del governo federale.
Questa fu la sfida che Hamilton affrontò e vinse.
Come?
La Virginia e alcuni stati del Sud che avevano pochi debiti o che comunque li avevano già ripagati (come oggi i Frugal Four), votarono contro la prima proposta di legge di Hamilton sull’assunzione di tutti i debiti degli Stati e bloccarono il progetto.
I capi del partito che si opponeva all’assunzione dei debiti dei vari Stati membri dell’allora Confederazione erano due altri padri fondatori della neonata nazione degli Stati Uniti d’America, Madison e Jefferson.
Quando lo stallo tra le due fazioni sembrò ormai irrisolvibile, Washington suggerì ai tre leader politici di organizzare un incontro privato e riservato per cercare una soluzione al problema apparentemente irrisolvibile.
Hamilton, Madison e Jefferson si incontrarono a cena e dopo ore di discussione e di confronti anche accesi, trovarono un accordo che sbloccò definitivamente la crisi.
Madison e Jefferson non volevano che la capitale del nuovo Stato finisse al Nord ed Hamilton immaginò il trasferimento della capitale da Philadelphia ad una zona nuova, appositamente individuata tra la Virginia e il Maryland. Un territorio che avrebbe assunto la denominazione di District of Columbia, tutta intorno alla città di Washington che sarebbe diventata la nuova capitale degli Stati Uniti d’America.
In cambio, Madison e Jefferson si impegnarono a trovare i voti nel Congresso affinché il governo federale potesse deliberare l’assunzione di tutti i debiti degli Stati membri, impegnandosi a ripagarli nel tempo.
Malgrado l’enorme costo dell’operazione, l’economia decollò ed entrò in una fase di crescita sostenuta e permanente.
Questa crescita permise di ripagare i debiti contratti in soli 3 anni!
Oggi, 230 anni dopo quell’evento, bisognerebbe che le nostre classi dirigenti politiche europee ne studiassero il contenuto e le modalità negoziali che permisero di arrivare ad un accordo che si rivelò poi fondamentale per la nascita della grande America degli ultimi due secoli.
Certo ci vorrebbero dei leader, degli statisti con l’autorità, la volontà e la visione per replicare in versione moderna l’esempio di capacità di negoziazione dimostrato da Hamilton, Madison e Jefferson in quell’ultima decade del 1700.
Riccardo Rossotto
Nella foto, Alexander Hamilton ritratto sulla banconota da 10 dollari