Anche i millennials hanno i loro “papers”. Le carte segrete sulla guerra arrivano al mondo ancora una volta dal Washington Post. Non si tratta del Vietnam come nel 1971, ma dell’Afghanistan.
Il WaPo ha pubblicato ieri un approfondimento digitale dal titolo sintetico, ma esaustivo: Afghanistan Papers.
I numeri dell’inchiesta
Diciotto anni di guerra in duemila pagine di documenti mai pubblicati. Oltre quattrocento interviste per una missione che ha visto su campo 775 mila truppe inviate da tre presidenti: George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump. Una campagna che già nel 2002 proprio Bush aveva definito un “errore”. E gli effetti collaterali a oggi contano 2400 americani morti sul campo.
Il governo degli Stati Uniti non ha effettuato una stima completa di quanto abbia speso per la guerra in Afghanistan, ma i costi sono sconcertanti.
Dal 2001, il Dipartimento della Difesa, il Dipartimento di Stato e l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale hanno speso o stanziato tra 934 e 978 miliardi di dollari, secondo una stima parametrata all’inflazione calcolata da Neta Crawford, professore di scienze politiche alla Brown University.
Esiste una introduzione con la panoramica completa di tutto il materiale raccolto e una serie di percorsi di lettura e approfondimento per il lettore, dividendo l’inchiesta in sei parti dal titolo significativo:
PARTE 1 In guerra con la verità. I funzionari USA hanno costantemente affermato che stavano facendo progressi. Non era così e lo sapevano.
PARTE 2 Impantanati senza una strategia. Bush e Obama avevano piani polari opposti per vincere la guerra. Entrambi erano destinati a fallire.
PARTE 3 Destinato a fallire. Nonostante i proclami che gli Stati Uniti non si sarebbero persi nella “costruzione della nazione”, hanno sprecato miliardi facendo proprio questo.
PARTE 4 Consumato dalla corruzione. Gli Stati Uniti hanno inondato il paese di denaro, poi hanno chiuso un occhio sul malcostume alimentato dai loro soldi.
PARTE 5 Nazione non custodita. Le forze di sicurezza afghane, nonostante anni di addestramento, sono dominate dall’incompetenza e dalla corruzione.
PARTE 6 Sopraffatto dall’oppio. La guerra degli Stati Uniti contro la droga in Afghanistan è fallita in quasi ogni angolo del Paese.
Poi c’è l’elenco completo dei documenti disponibili per la consultazione integrale, una timeline che riassume date e immagini significative della campagna afghana.
Un lavoro giornalistico promosso anche dai concorrenti del New York Times attraverso un tweet, perché “è il giornalismo, bellezza”. Soprattutto negli Stati Uniti. E soprattutto nel 2019 quando il clima e il digitale promuovono più la collaborazione della concorrenza.
Documents detailing the war in Afghanistan obtained by The Washington Post paint a stark picture of missteps and failures in the American effort to pacify and rebuild the country. “We didn’t know what we were doing,” a retired Army general said. https://t.co/dTSPY09oSW
— The New York Times (@nytimes) December 9, 2019
La forma
Ci sono voluti tre anni di guerra legale perché i giornalisti del WaPo potessero arrivare al report di “Lessons Learned”, le trascrizioni delle indagini condotte dall’Ufficio dell’Ispettore Speciale per l’Afghanistan Reconstruction (SIGAR). Un lavoro che ammette come non ci fosse e non ci sia un accordo sugli obiettivi della campagna dell’esercito e tantomeno una exit strategy da quel territorio.
In una sezione dell’inchiesta si racconta anche passo passo quali siano stati i passaggi per ottenere i documenti. “La battaglia per ottenere le interviste sull’Afghanistan non ha stabilito alcun precedente legale, a differenza dei Pentagon Papers, il caso emblematico del 1971 in cui la Corte Suprema sostenne il diritto della stampa di pubblicare il report segreto del governo sul coinvolgimento degli Stati Uniti in Vietnam. Ma i due casi condividono un tema comune: una sfida ai tentativi del governo di nascondere la verità sui fallimenti strategici in una guerra lontana”.
Il Post ha ottenuto anche centinaia di appunti dell’ex segretario di Stato Donald Rumsfeld attraverso il National Security Archive, un istituto di ricerca no-profit, che erano conosciuti come “fiocchi di neve”. I memo sono brevi istruzioni o commenti che il leader del Pentagono ha dettato mentre la guerra era in atto. Il Post nel testo dell’introduzione alla sua inchiesta scrive: “Insieme, le interviste e i memo di Rumsfeld rivelano una storia segreta e non artefatta del conflitto e offrono nuove intuizioni su come tre amministrazioni presidenziali hanno fallito per quasi due decenni a mantenere le promesse di porre fine alla guerra”.
Come accade al di fuori dei confini definiti della carta e delle pagine chiuse, il digitale consente nuovi sviluppi dell’inchiesta grazie alla richiesta di informazione dalla redazione nei confronti dei lettori. La prima “puntata” degli Afghanistan Paper, infatti, si chiudono con un appello:
“Se hai informazioni da condividere su The Afghanistan Papers, contatta The Post all’indirizzo afghanpapers@washpost.com.
Tu o uno dei tuoi familiari siete stati coinvolti nella guerra in Afghanistan? Raccontaci delle tue esperienze”. E si apre un modulo per inviare informazioni alla redazione.