[aesop_chapter title=”Il Piano Strategico della Città” bgtype=”color” full=”on” video_autoplay=”play_scroll” bgcolor=”#888888″ revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Quando il Sindaco Castellani mi chiama, rievocando l’amicizia del Politecnico, e leggendomi in uscita delle Poste, mi presenta, per primo, a Fiorenzo Alfieri, Assessore alla Cultura e anima del piano strategico della Città.
E Alfieri mi racconta la storia del Marchese Luserna di Rorà.
Questi, Sindaco di Torino nel 1864, all’atto del passaggio della capitale a Firenze, non incoraggia i moti di piazza, ma, chiuso nel suo ufficio a Palazzo Civico, elabora una determina:
[aesop_character img=”http://www.circoloravennate.it/workO/p_r/p_r-79-bimg-b_rasponi2.jpg” name=”Il Marchese di Rorà (1815-1873)” caption=”Sindaco nel 1864″ align=”right” force_circle=”off” revealfx=”inplaceslow”]
“Il Sindaco, preso atto che la Città non ospiterà più offici, ritiene utile che essa divenga Città di opifici: a tal fine
– Ogni bene ecclesiastico o demaniale atto ad ospitare opifici viene a ciò destinato;
– Il salario medio dell’operaio torinese viene fissato al 20% in meno di quello dell’operaio biellese o milanese”
Il Sindaco aveva fatto il “patto d’area”, anticipando Prodi di 130 anni, e aveva tracciato il piano strategico di Torino, che sarebbe stato, per oltre 100 anni, un grande successo.
Nel 1970 la Torino industriale superava il milione di abitanti e occupava, con l’area metropolitana, più di 500.000 metalmeccanici.
[aesop_video src=”youtube” id=”_oD7O5hpNTo” align=”center” disable_for_mobile=”off” loop=”on” controls=”on” mute=”on” autoplay=”on” viewstart=”on” viewend=”off” show_subtitles=”off” revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Su quella Torino si abbatterono le lotte degli anni 80, ma solo nel 90, con l’arrivo della concorrenza asiatica ingenuamente allontanata coi dazi, il modello fordista entrò decisamente in crisi.
Dal 2005, quando si temeva il peggio, sarebbe intervenuto il genio di Marchionne, per tenere acceso il faro torinese sull’automotive mondiale, e la partita è ancora in corso.
Ma, intanto, Torino doveva cambiare pelle. Il gruppo di persone che io incontrai, con Peveraro, Alfieri, Paolo Verri, Paola Zini, elaborava il piano strategico della Città:
sola Città metropolitana dell’arco alpino, dove al mattino potevi sciare in val di Susa, al pomeriggio visitare il secondo Museo Egizio del mondo, e la sera andare al Teatro Regio; Città della bellezza barocca, della Scienza e della Tecnologia, e ancora, vivaddio, Città del design delle più belle automobili di sempre.
Il piano strategico di Torino, importante come quello di Glasgow, di Barcellona, di Berlino, è, a pieno titolo, nella storia dell’Urbanistica.
Peter Drucker, Direttore dell’Harvard Business School, ebbe a scrivere che “nessun piano strategico vale molto, se non è accompagnato da una bella botta di culo”: arrivò anche quella: nel 1999 a Seul il CIO assegnava a Torino la 20esima olimpiade invernale del 2006. E la notorietà della Città balzava, in 7 anni, dal 5% della popolazione mondiale al 95%: e le pagine di Lonely Planet, da 3 a 47.
Io ebbi la fortuna di capitare in un club di persone geniali, dove il tipo di cultura che io avevo imparato da Schimberni e da Necci (quella della ristrutturazione per la crescita, della formazione della squadra per liberarne le energie, della selezione mirata degli obiettivi strategici) era poco conosciuta: non c’era altro management che quello Fiat (cosa che aveva condannato, se lo ricordate, l’Olivetti) misurabile coi tempi di produzione.
Vendo il prodotto giusto al momento giusto: organizzo per Divisioni di prodotto/servizio tutta la struttura del Comune, creo il Comitato di Direzione come sede settimanale di compartecipazione degli obiettivi; assegno gli obiettivi stessi in funzione del Peg (piano esecutivo di gestione approvato dal Sindaco) e li verifico creando ,con Alessandro Bosco, il controllo di gestione; istituisco i quadri creati dal nuovo contratto (le po) dando fiato e spazio alla base più qualificata e operativa, spesso condannata a compiti esecutivi, senza visibilità e senza riconoscimento, istituisco percorsi formativi che divengono il fondamentale “ascensore sociale” dell’azienda Comune, introduco metodi manageriali per pesare le posizioni, di dirigenti e quadri, e per individuarne il potenziale…sono un capo amato, sostenuto da una squadra fedele (Quirico Sbrana Pizzala Cigliuti: e mi devo limitare a quelli gerarchicamente più importanti ).
La struttura divisionale costituisce l’anello di saldatura tra i direttori (amministratori delegati della loro azienda: dalla finanza all’urbanistica all’educazione ai servizi sociali…) e gli Assessori, che ne sono di fatto i Presidenti. Il Sindaco comanda sul sistema: attraverso la Giunta, elabora la strategia, e, attraverso il DG, ne controlla l’attuazione.
L’invenzione, di Franco Bassanini, del Direttore Generale è stata la più rivoluzionaria riforma degli Enti locali. Certo, solo i grandi Sindaci hanno avuto bravi direttori generali (Albertini/Parisi a Milano; Castellani e poi Chiamparino me; Gori, oggi, ha Michele Bertola e Sala ha Malangone … e l’elenco è lungo e non fa eccezioni).
Col Sindaco Castellani mi occupo anche di progetti di supporto alle Divisioni: avvio, con Paolo Peveraro, i lavori della metropolitana, con l’intuizione di affidarli alla stessa azienda che la avrebbe gestita; affrontando Giraudo, sblocco la questione dello stadio delle Alpi, convincendolo a comprarlo e a farvi nascere lo Stadium.
Quest’ultima vicenda mi costò un infarto, e Giraudo venne a trovarmi in ospedale.
Pensai per un minuto di essere morto, quando lo vidi, ma gliene fui molto grato: poi, per una complicazione polmonare (dovuta al mio imperdonabile fumo) mi limitai a diventare sordo, con un impianto cocleare che mi accompagna ancora.
E l’avventura torinese continuò, col successore di Castellani, Sergio Chiamparino, che gli succedeva a sorpresa, essendo morto in campagna elettorale il successore designato, il grande Domenico Carpanini.
[aesop_chapter title=”Chiamparino Sindaco” bgtype=”color” full=”on” video_autoplay=”play_scroll” bgcolor=”#888888″ revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Pochi giorni prima di morire. L’avv. Agnelli disse a Sergio Chiamparino: Lei sarà il primo Sindaco ad essere davvero “il primo cittadino di Torino”. Con un pizzico di visione, e un pizzico di ironia snob, non infrequente in lui, aveva visto giusto. La Città sabauda, che ha attraversato il fordismo, per nascere alla nuova vita, simboleggiata dalle Olimpiadi e anticipata dal Piano Strategico, ha bisogno di un leader: e Sergio Chiamparino lo è.
[aesop_character img=”https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a0/Sergio_Chiamparino_2014.JPG” name=”Sergio Chiamparino” caption=”Sindaco e presidente della Regione” align=”right” force_circle=”off” revealfx=”inplaceslow”]
Sa naturalmente quello che la gente desidera, e lo trasforma in un obiettivo chiaro a tutti e condiviso; è fulmineo delle decisioni e veloce nell’implementazione; è adorato” dalla truppa e dagli ufficiali”, come tutti i capi veri; è leale e ricambiato con lealtà; è resiliente, come la storia contadina da cui arriva, e intellettuale come gli amici che lo circondano; è leader, perché precede la squadra e la guida, ma è anche manager, perché si circonda dei migliori, li integra, li usa e li protegge (nel mio caso, in tre processi complicati); è comunista, e non rifiuta di esser chiamato “Compagno“, ma, come ebbe a dire in Giunta: “di quei compagni che sono ben contenti che nel 48 abbia vinto De Gasperi“; non comunica coi social , ma con l’ironia sferzante e mai cattiva: bolla Gianni Vattimo, amico e critico gauchista, con l’intraducibile, e indimenticabile, “fa fiuchè”; tutte le mattine corre per la Città con Carlo Bongiovanni, per tenersi in forma per la scalata della domenica, ma anche per comunicarmi, con implacabile regolarità, dove un cassonetto si è rovesciato, dove una buca fa inciampare, dove un cantiere abbandonato ingombra e non procede, dove è scoperto un incrocio critico. Io a volte sbuffo, ma obbedisco/faccio obbedire: e a Virginia Raggi dovrebbero fischiare le orecchie.
Al Regio, nella cerimonia inaugurale di Italia 150, Giorgio Napolitano dichiara:
“Dopo 70 anni di politica, mi sento di definirla come “l’arte dell’ascolto e dell’umiltà”: e oggi rendo omaggio a Sergio Chiamparino, uomo dell’ascolto e dell’umiltà.” Dalla platea gli mando un sms:” dopo questo, uno può anche morire”, e lui mi risponde a stretto giro: “tiè!”.
Che cosa fa, nel primo quinquennio, la Giunta Chiamparino?
- Apre ai torinesi la linea 1 della metropolitana, appariscente e sostanziale “promozione in serie A della Città”, e simbolica uscita dal modello fordista;
-
Affianca, alla metro, la linea 4, velocizzando e aumentando la frequenza lungo la traccia nord sud, perpendicolare a quella est ovest della metropolitana;
-
Regala ai torinesi le piazze, sgombrandole dalle auto e restituendole alla loro gloriosa storia barocca; torinesi e turisti, aumentati da 1 a 100 già prima delle Olimpiadi, scoprono per la prima volta Piazza Vittorio, Piazza Castello e Piazza San Carlo, ma anche piazza Solferino e piazza Carignano, Piazza Carlina e Piazza Carlo Alberto, Piazza Statuto.
-
Pedonalizza le vie commerciali: via Carlo Alberto e via Lagrange che si affiancano a via Garibaldi, per ricreare un centro commerciale di moderna bellezza;
-
Ridisegna la Città con la visione urbanistica di Mario Viano e del suo direttore Paola Virano: intorno alla rinnovata Porta Susa, fulcro dell’Alta Velocità e del Passante Ferroviario, fioriscono le componenti del Nuovo Centro, dalle OGR richiamate a nuova vita al grattacielo di Renzo Piano per Intesa San Paolo, alla rinnovata GAM e al futuro Centro Congressi;
-
Crea Iren dopo la quotazione in borsa di ATM, dando una spina dorsale industriale al sistema Torino;
-
Guida e favorisce la costruzione dello Stadio della Juve, e la dedica al Torino dello storico “Comunale”
-
E, soprattutto, prepara il gran botto delle Olimpiadi, che saranno il moltiplicatore mediatico e relazionale del Progetto Torino.
Si dimette perfino, quando una modesta bega tra funzionari, sfuggita a me e ai preposti diretti, fa scoppiare il piccolo “scandalo dei cimiteri” nel 2004: una squadra di personale della ditta appaltante, impreparato e mal guidato, canta durante le esumazioni al Cimitero Monumentale, disperde le ossa della fossa comune, e un implacabile cronista della Stampa sbatte il tutto in prima cittadina.
Carlo Bongiovanni mi telefona e mi suggerisce: “O ti dimetti tu, o si dimette Sergio”.
Mi dimetto io, e Sergio respinge le mie dimissioni, e mi mette a capo dell’inchiesta per ricostruire i fatti, e l’immagine di quel servizio cittadino.
Due lezioni di vita fondamentali, per me e per molti;
- L’offesa alla sensibilità della gente si paga subito, non si attendono inchieste né perdono;
-
Il ruolo del n. 2, pagato meglio del n. 1, è quello di pagare lui per tutti i sottoposti.
Forse nasce da questa storia la scelta di Sergio di propormi a capo del Comitato Organizzatore nella crisi delle Olimpiadi, nel 2005, forse assai più che dal mio curriculum. Non ne abbiamo mai parlato.
[aesop_chapter title=”Le Olimpiadi del 2006″ bgtype=”color” full=”on” video_autoplay=”play_scroll” bgcolor=”#888888″ revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Le Olimpiadi del 2006 vanno in crisi, come quasi tutti i grandi eventi, un anno prima della cerimonia inaugurale: in quel momento va in scena (come a SALT Lake City, o all’Expo di Milano 3 anni prima, …) un intreccio mediatico tra due “sensazioni” dell’opinione pubblica: “son finiti i soldi” e “le opere sono in ritardo”.
A Torino c’è una base di verità, in queste voci:
- La morte dell’avv. Agnelli, intervenuta nel 2003, ha privato i Giochi di 200 mln di sponsorizzazioni garantite dal carisma dell’Avvocato;
[aesop_character img=”https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f6/Gianni_Agnelli_02.jpg” name=”Gianni Agnelli” caption=”Imprenditore e Senatore a vita” align=”right” force_circle=”off” revealfx=”inplaceslow”]
- Il fallimento della gestione Cimminelli del Torino calcio interrompe i lavori allo stadio destinato a ospitare le cerimonie, creando un vuoto decisionale che occorre riempire.
Il Governo affida la supervisione dei Giochi al Sottosegretario allo Sport Mario Pescante, membro del CIO e icona dello sport italiano, e Pescante chiede a Chiamparino due nomi per il CEO: Chiamparino propone il mio e quello di Paolo Cantarella ex AD di Fiat dopo l’uscita di Romiti.
A Roma i tifosi della Lazio sono in netta minoranza. Tre di loro, però, si incontrano in tribuna, nella domenica chiesta da Pescante per riflettere: sono Pescante, DeRita e Francesco Rutelli (per il quale ero stato Presidente dell’ATA): questa “giuria”, senza demeriti di Cantarella, vota per me (come, penso, sperava anche Chiamparino, per accentrare le cariche di DG della Città e del Toroc, nel momento in cui servivano le massime sinergie tra le due strutture).
Le Olimpiadi sono un successo, e il Toroc chiude i conti con 8 milioni di avanzo di gestione che tornano al Comune di Torino unico azionista (42 ritornano dall’Agenzia Torino 2006, l’Ente pubblico creato per realizzare le opere).
Mi aiutano a conseguire questo successo:
- il governo Berlusconi che finanzia i Giochi paralimpici, che io avevo scorporato dalle Olimpiadi per consentire al relativo Comitato, diretto da Beppe Ferrari, di ricevere aiuti di Stato proibiti al Toroc;
-
la Giunta regionale Bresso, che finanzia il trasporto degli spettatori;
-
Giambattista Quirico, mio vice e ingegnere capo del Comune, che con estrema competenza e determinazione, ristruttura in tempo utile lo stadio Comunale, poi divenuto “olimpico” e oggi “grande Torino”;
-
Valentino Castellani, che presiede il Toroc, e assicura la continuità fra i 2 direttori generali, fino a inaugurare i Giochi insieme al Presidente Ciampi;
-
infine, e soprattutto, il Sindaco Chiamparino, regista e garante della Città,
Che mette a disposizione del successo dei Giochi, e di Torino, il gusto di Anna Martina che cura il “look of the City”, la forza entusiasta di Elda Tessore, che crea la “medal Plaza”, divenuta parte integrante di tutte le Olimpiadi successive, la cultura di Fiorenzo Alfieri, che crea uno straordinario programma delle Olimpiadi della Cultura, mobilitando per l’occasione Luca Ronconi, Paolo Peveraro, consigliere di tutte le azioni di accompagnamento finanziario.
Se Torino ha avuto le Olimpiadi, lo deve, in buona parte, all’Avv. Agnelli; Se queste sono state un grande successo lo deve a Sergio Chiamparino.
[aesop_video src=”youtube” id=”axHa6dUeeFI” align=”center” disable_for_mobile=”off” loop=”on” controls=”on” mute=”on” autoplay=”on” viewstart=”on” viewend=”off” show_subtitles=”off” revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Io delego al mio direttore operativo Paolo Bellino, insieme al vicedirettore Luciano Barra, la gestione degli eventi sportivi; poi dovunque serve, mobilito e incoraggio le persone, medio i conflitti, corro rischi, negozio con tutti i soggetti, a partire dal CIO, preoccupatissimo, fino agli albergatori, agli autisti degli autobus, agli Enti, alle indispensabili Fondazioni Bancarie, all’estro (e alle bizze) di Marco Balich, anima e creatore delle cerimonie: quando mi insedio, organizzo una serata di ballo di tutti i dipendenti, spaventati e demotivati, alla Reggia di Venaria e una gara per riprodurre i modelli dei siti di gara in plastilina, con un trattore nella notte prima delle gare abbatto pubblicità abusiva sulle strade olimpiche e taglio (da 600 euro a 50) il prezzo dei biglietti della cerimonia di apertura. Insomma, pratico l’umiltà e la velocità che mi avevano insegnato DeRita, Schimberni, Necci e… Chiamparino.
Anche un po’ di fortuna aiuta: non aveva nevicato mai a Torino (ma al momento giusto in val di Susa): la sera in cui la staffetta azzurra vince dopo 50 anni la marcia olimpica a squadre, con quarantamila persone in piazza Castello che applaudono gli atleti, dopo aver applaudito Bruce Springsteen, comincia a fioccare la neve, stopposa e incredibile come in un presepio: e tutti sentono, con un po’ di retorica, che Dio è con noi; proprio come lo sentono nelle notti bianche che popolano la Città, sede di uno straordinario e fanciullesco divertimento, in cui si consolida, al di là del consueto brontolio torinese, lo spirito di fratellanza e amicizia che costituisce, al fondo, l’anima della Città.
Ho il mio successo anch’io, nella sfida non più difficile, ma certo più visibile della mia vita: Ciampi e Berlusconi mi nominano Grande Ufficiale, come i vincitori dell’oro olimpico; JC Killy, nel 2008, mi nomina membro della Commissione Olimpica di controllo delle Olimpiadi di Sochi (di cui era Presidente, come già era stato a Torino); nel 2016 Christophe Duby (direttore generale dei Giochi Olimpici) mi nomina nel Comitato di riforma del regolamento delle Olimpiadi invernali, che adottato a Rio 2018, ha recentemente consentito l’assegnazione a Milano e Cortina dei Giochi del 2026.
Sono “member of the Olympic family” e, con tute le riserve che si possono avere sul CIO (e sulla Chiesa Cattolica), ne sono orgoglioso, perché, proprio come la Chiesa, è un’organizzazione con valori diffusi, tra i quali la pace è al primo posto.
[aesop_chapter title=”Finisce l’era ‘Chiampa’” bgtype=”color” full=”on” video_autoplay=”play_scroll” bgcolor=”#888888″ revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
Il secondo quinquennio di Chiamparino non manca di “glamour” come il precedente (è, anzi, culminato con le grandi celebrazioni di Italia 150, e con la straordinaria manifestazione degli Alpini nel 2011), ma risente pesantemente della crisi che si abbatte sul mondo nel 2008, con drammatiche conseguenze sulla finanza locale.
Con intelligente tempismo, e senza proclami velleitari, Chiamparino capisce e decide che, se mancano i soldi, per coprire l’ingente indebitamento della Città (tutto “debito buono”, generato soprattutto dalla realizzazione della linea 1 della Metropolitana) occorre mettere mano ai gioielli di famiglia, valorizzando al meglio l’esistente, e creando nuovo valore con intelligenti politiche urbanistiche.
Da questa sua intuizione nasce l’esigenza di una nuova sede di elaborazione e riflessione:
- Non può essere la Giunta, dove le decisioni sono essenzialmente politiche, per deliberare le azioni, non per farle maturare;
-
Non può essere il Codir, che ha carattere esclusivamente operativo, nell’ambito delle decisioni della Giunta;
-
Serve un organo di elaborazione strategica e di preparazione tecnica delle decisioni, nel quale far incontrare “il potere” della Giunta con “le competenze” del Codir.
-
Nasce così il Comitato di Coordinamento strategico, di cui Chiamparino è Presidente ed io sono Segretario, e in cui siedono gli Assessori alla Finanza e al Patrimonio (Passoni), all’Urbanistica e ai lavori pubblici (Viano), il Direttore finanziario (Pizzala), quello del Patrimonio (Golzio), quella dell’Urbanistica (Paola Virano), quello delle Partecipate (Mora), la mia assistente Villari e il controller Bosco.
-
Questo Comitato programma e porta a delibera la cessione di 700 mln di patrimonio edilizio, cui seguiranno 300 mln di patrimonio industriale (poi finalizzati dalla successiva Giunta Fassino) mettendo in sicurezza i conti comunali;
-
Soprattutto esso costituisce, a mio avviso, la migliore sintesi che io abbia conosciuto, in Italia, tra la decisione e l’elaborazione, tra la politica e la competenza, tra i desideri della gente e la capacità di programmarli nel tempo, realizzandoli con comunicazione e controllo.
-
Per questo tipo di valenza generale il pensiero e l’opera di Chiamparino e della sua squadra non dovrebbero essere “inchiodati nel ricordo di un passato”, anche se importante, ma riproposti come metodologia, di fronte ai cultori degli algoritmi e alle vittime del “piaciometro” dei like.
[aesop_chapter title=”Un po’ di Fassino” bgtype=”color” full=”on” video_autoplay=”play_scroll” bgcolor=”#888888″ revealfx=”inplaceslow” overlay_revealfx=”off”]
L’anno e mezzo di Giunta Fassino che precede la mia uscita per limiti d’età (2013), consente di completare l’opera di riassetto e di parziale privatizzazione di Iren e quella dell’aeroporto. Per lui gestisco ancora, con Ferrari Benintendi e Chiavola, i “world masters games” del 2013 che realizzano un bel successo.
Si perde, per la crisi economica sempre incombente, un po’ dell’energia vitale della Giunta Chiamparino.
[aesop_character img=”https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/5a/Piero_Fassino_-_Trento_2013.JPG/213px-Piero_Fassino_-_Trento_2013.JPG” name=”Piero Fassino” caption=”Sindaco di Torino” align=”right” force_circle=”off” revealfx=”inplaceslow”]
Si perde l’occasione, proposta da Viano e Virano, a chiusura della precedente Amministrazione (la variante 200, col rilancio del quartiere Aurora, il via alla linea 2 della metro, e il trasferimento di Palazzo Nuovo alla manifattura tabacchi): a mio avviso la vera causa della sconfitta di Fassino nel 2016.
Si subisce, per una bizzarra sentenza del Consiglio di Stato, l’annullamento del concorso alla dirigenza del 2010 (il secondo della mia gestione dopo quello del 2003) che avrebbe alimentato, con la forza di 21 dirigenti nuovi e brillanti, la continuità della dirigenza torinese, per mancanza della voglia di ripeterlo, come io avevo proposto, e organizzato, in coerenza con la sentenza del Consiglio di Stato. Il giudice penale, che dopo 3 anni mi assolve con formula piena dall’accusa di aver gestito il concorso senza il titolo per farlo (accusa implicita nell’annullamento da parte del Consiglio di Stato) non fa che ribadire, purtroppo tardivamente (essendo ormai scattato il blocco delle assunzioni nella PA), quanto io avessi ragione, e quanto sarebbe stato utile e opportuno il rifacimento del concorso.
Si abbandona, per un certo centralismo accentratore del super assessore Passoni (finanza e personale!), la dialettica costruttiva fra poteri e competenze che le Giunte Chiamparino avevano instaurato col Comitato di Direzione. E torna purtroppo, il craxiano “politique d’abord!”: un campo dove la gioventù nuova e aggressiva era destinata a prevalere.
I risultati non brillanti della nuova Giunta eletta nel 2016 derivano anche, in tutta evidenza, dalla scelta di non adottare la figura di un DG professionale, adeguato, per somma di esperienze e di culture, alla complessità del compito.
L’illusione dell’autosufficienza della politica provoca, paradossalmente, un ripiegamento della politica su se stessa, alla ricerca di “invenzioni”, cui sarebbe preferibile, di gran lunga, l’azione dei tecnici, per istruire le decisioni e per attuarle poi con efficienza.
La creazione di una classe dirigente di governo, con esperienze nel privato e nel mondo, con una formazione universitaria integrata, giuridica, economica e, sempre di più, informatica, con capacità di muoversi in diversi contesti amministrativi (dal Comune alla Regione al Governo…) è, a mio avviso, lo snodo fondamentale di un Paese a cui non mancano la bellezza, la creatività e la fantasia per eccellere negli anni che ci aspettano. Personalmente sto cercando di dare un contributo con queste pagine, aperte al contributo critico di tutti i lettori, e con il progetto di Master per la PA, che sto portando avanti a Milano Bicocca, ma che mi piacerebbe vedere imitato e migliorato da altri atenei, a partire da quelli torinesi.
Ne parlerò più diffusamente nell’ultimo articolo di questa raccolta (Il Padiglione Italia, Il master e una bozza di conclusioni).
Cesare Vaciago