- La realtà che viviamo: una società “fast”, un mondo digitale che ha ormai modificato la neuro plasticità del nostro cervello creando certamente valore, ma altrettanto disvalore.
Su quali parametri di riferimento oggi e nel prossimo futuro riusciremo a discernere il “valore” sociale e politico dal “disvalore”?
Mai come oggi, anche in considerazione degli eventi politici degli ultimi anni, si avverte un bisogno autentico di filosofia che altro non è che un bisogno di sapere, di condivisione e di critica. Critica spietata, ma costruttiva.
Emblematica in tal senso è la citazione di Hegel “Quando la potenza dell’unificazione scompare dalla vita degli uomini e le opposizioni hanno perduto il loro rapporto vivente e la loro azione reciproca e guadagnano l’indipendenza, allora sorge il bisogno della filosofia”.
La nostra società ha un bisogno autentico di filosofia per rifuggire dalla dematerializzazione e confermare i valori fondanti una società civile.
Questo clima di odio costante e persistente, inspiegabilmente innestato oggi anche dalla classe politica, certamente non potrebbe MAI essere suffragato da “pensatori”; da chi anche solo per diletto e per poco tempo si è soffermato nella vita sui testi di Platone, Aristotele, Marx, ma anche Hegel, Hobbes o Heidegger.
La filosofia contemporanea, poi, ci può regalare spesso la scoperta di nuove critiche e la costruzione di nuovi punti di vista per pensatori attivi in una campagna contro il clima di odio.
Per questo motivo vorrei invitare i lettori a conoscere Hannah Arendt (Hannover 1906 – New York 1975) pensatrice tedesca, ebrea allieva di Husserl, Heidegger e Jasper che fu costretta ad emigrare dalla Germania in Francia a causa delle persecuzioni contro gli ebrei per poi trasferirsi negli Stati Uniti e insegnare nelle più prestigiose università.
Il mio è un personale invito a esprimere un giudizio e stimolare una riflessione sull’attuale clima di odio dopo aver letto due capisaldi della filosofia di Hannah Arendt: “Le origini del totalitarismo” (1951) e “La banalità del male” (1963).
La Arendt considera i regimi totalitari come un male assoluto senza nessuna logica razionale. L’uomo che asseconda il regime e il clima di odio è l’uomo che vive nell’isolamento. Un uomo capace di intraprendere stermini di massa, perché lui è l’uomo di massa, senza un “essere” e senza nessun valore. Da questo tipo di società e umanità nasceva il regime nazista per la Arendt (“Le origini del totalitarismo”).
A conferma di ciò, poi, nella “banalità del male” la Arendt racconta il processo che si tenne a Gerusalemme contro Otto Adolf Eichmann imputato per crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista durante la seconda guerra mondiale.
Hannah Arendt assiste al processo come inviata del “New Yorker” e mostra al mondo la personalità di Eichmann: una personalità assolutamente banale e priva di un’indole malvagia, ma pericolosa in quanto totalmente priva di pensiero.
La Arendt si sofferma su un “fatto”: quando il giudice accusava Eichmann dello sterminio degli ebrei, lui sosteneva che non aveva fatto altro che obbedire agli ordini. Eichmann era carente di giudizio, ripeteva gli ordini ricevuti, obbediva al potere, era totalmente privo di una sua identità. Ad Eichmann mancava quello che la “pensatrice” considera “lo spazio pubblico”, cioè lo spazio per giudicare.
Il male assoluto a livello sociale è proprio rappresentato dall’assenza di strumenti di giudizio che storicamente sfociano in appiattimento del pensiero politico e sono presagi di degenerazioni e aberrazioni quali la massificazione “delle menti umane”.
La critica, il pensiero si contrappongono al male e all’odio. Il pensatore è capace di discernere il bene dal male e di costruirsi un proprio singolare spazio giudicante e costruttivo. L’assenza di pensiero è un allarme rosso che bisogna combattere, motivando l’attuale classe politica e tutte le generazioni che verranno, a intensificare e sviluppare un’attività che ormai sembra desueta: il pensiero.
Buona lettura.
Natalia Bagnato