Avevamo organizzato, in occasione della festa dei 100 dell’avvocato e giornalista Bruno Segre una serata alla Fondazione Fulvio Croce. Un momento di narrazione e dibattito della intensa vita vissuta dal nostro fondatore, passata in mezzo a tutte le tragedie del secolo breve, il ‘900.
Non avevo mai conosciuto personalmente Bruno Segre. Avevo letto un suo libro. Sentito i racconti di mio padre e di mio zio su questo nostro collega coraggioso e spesso contro corrente, sempre in prima fila nelle battaglie sulle conquiste o sulle difese dei diritti civili dei cittadini italiani.
Non c’erano mai state occasioni di incontri diretti.
Quella sera Segre arrivò puntualissimo a Palazzo Capris, aiutandosi, in modo quasi infastidito, con il suo bastone che lasciò, quasi subito, appoggiato al muro, appena arrivato al suo posto.
La collega Michela Malerba, allora Presidente dell’Ordine degli Avvocati, Mario Napoli, il suo predecessore e un giovane archivista che si stava occupando di mettere ordine nell’immenso patrimonio letterario prodotto dal nostro festeggiato, componevano l’autorevole tavola rotonda incentrata sulla sua storia.
Come Presidente della Fondazione, mi toccò il primo intervento, concentrato sulla modernità del pensiero di questo “centenario”, sia come giornalista sia come avvocato.
Mi ero preparato con cura, rileggendo i libri che si erano occupati di lui, nonché molti articoli che avevano raccontato le sue gesta di avvocato difensore di molti dei protagonisti delle battaglie sull’obiezione di coscienza, l’aborto, il divorzio, ecc., ecc.
Al termine del suo intervento, si alzò in piedi, senza bastone, e con voce ferma, emozionata e coinvolgente scatenò ripetuti applausi tra i presenti.
Non si limitò a ringraziare gli organizzatori in modo formale, ma precisò che, pur non amando le ricorrenze tipo i compleanni con annessi discorsi complimentosi, piuttosto banali e poco sentiti verso il festeggiato, quella sera aveva sentito una narrazione della sua vita stimolante e non agiografica. Vera, senza troppi fronzoli né aggettivi enfatici. Era rimasto contento e, una volta tanto, voleva socializzare la sua emozione provata grazie alle testimonianze di affetto e stima che aveva ascoltato.
Fu così che iniziammo un dialogo che non si interruppe più. Non sempre facile e in discesa, ma sempre mirato a condividere dei progetti o delle iniziative che si dovevano fare a tutti i costi, con impegno, coraggio e determinazione: le cifre della sua vita.
Bruno Segre, che aveva deciso di chiudere la rivista proprio nel dicembre 2018, quando gli presentammo il progetto del nuovo Incontro, si commosse. Fu l’unica volta in quest’anno di frequentazione intensa che lo vidi davvero contento, soddisfatto, poichè il suo “pupillo” poteva continuare a vivere e informare i suoi lettori.
Ebbe, fin da subito, parecchi dubbi sulla riconversione della rivista dal formato cartaceo a digitale. Manifestò, come sempre, con rude franchezza, le sue forti perplessità.
Ma con la stessa trasparenza e sincerità si convinse dell’efficacia della nuova formula pochi mesi dopo, in occasione dell’inaugurazione di una stanza a lui dedicata in una parte del Museo della Resistenza torinese.
Mi chiamò di prima mattina dicendomi “Mi piacerebbe che su L’Incontro venisse pubblicata la notizia di questo evento, con l’auspicio che i giovani possano andare a visitare questa pagina della storia della nostra città”. Non risposi nulla di preciso, salvo che, con l’approvazione del direttore, avremmo pubblicato la notizia appena possibile. Con Beniamino Bonardi concordammo di diffondere subito le “venti righe” sulla presentazione e inaugurazione dell’evento e, a metà mattina, quel pezzo era già nella home page dell’Incontro.news.
Mandai subito ad Elena, l’insostituibile assistente di Bruno, il link dell’articolo, pregandola di stampare il testo e di farlo vedere all’avvocato.
Non erano passati 10 minuti, che il mio cellulare suonò, con sul display il nome e il cognome del nostro fondatore: “Che sorpresa Riccardo! Grazie, ma grazie soprattutto per avermi fatto capire che cosa significhi la rivoluzione digitale. Ragionavo ancora in termini obsoleti: pensavo ad una pubblicazione sul prossimo numero cartaceo della rivista. E invece, mi sono ritrovato a leggere immediatamente quella che era una notizia che il nuovo formato dell’Incontro permetteva di poter pubblicare “in diretta” a vantaggio di tutti i lettori. Forse … avevate proprio ragione voi. Questo è il futuro del giornalismo”.
Un anno intenso è passato.
Abbiamo davanti a noi praterie di miglioramento. Quello che sono certo che non tradiremo mai sarà l’impegno, nei limiti delle nostre possibilità, di portare avanti l’esperienza di un magazine indipendente, realizzato anche e soprattutto “per” e “con” i giovani, con l’obiettivo primario di diffondere pensieri ragionati, opinioni articolate con una cifra e un Dna diversi e distanti dal presentismo, dalla propaganda e dagli slogan dell’attuale “spirito del paese”.
Auguri fondatore per fare ancora insieme un lungo percorso virtuoso.
Riccardo Rossotto