Dopo il riformismo, un po’ scialacquatore, degli anni 80, gli anni 90 si aprono con l’unica rivoluzione antisistema nelle democrazie europee del dopoguerra.
Mentre il muro di Berlino crolla sul partito comunista, tutto il fronte storico del centrosinistra è travolto dalla crociata di Tangentopoli.
I due fronti che avevano lottato (non senza lunghe e consapevoli tregue) fino al 1990, escono malconci dal rivolgimento, col crollo di una generazione di dirigenti, ma, soprattutto, con un irrimediabile vulnus di immagine, che si traduce nel primo sgretolamento delle percentuali di voto.
Due grandi dirigenti, uno figlio della nuova imprenditoria delle comunicazioni, l’altro della gloriosa storia dell’industria di Stato, tentano di supplire al vuoto di potere, e si inventano, con ideologie lontane, il bipolarismo italiano, che ha consenso e successo nei due ottimi governi che si susseguono: Prodi (e successori) dal 96 al 2001, Berlusconi dal 2001 al 2006.
Nessuno dei due ascolta le voci, fuori dal coro, di Necci che chiede un Governo di riforma istituzionale, e di Schimberni, che aveva proposto un nuovo modello di capitalismo; come nessuno aveva ascoltato, negli anni 80, quelle dei riformatori del sistema formativo. Il Paese attraversa senza accorgersene opportunità senza pari di modernizzazione condivisa e arriva alla crisi del 2008 senza le politiche sociali per ammortizzarla e senza le politiche industriali per invertire la tendenza. Arriva, però, con due progressi reali:
La riforma (Bassanini) della pubblica Amministrazione
Il consolidamento (sotto Sindaci di entrambi i colori) della fase nuova delle Città.
Noi riformisti irriducibili muoviamo verso questo fronte, dove si intuisce il solo cambiamento possibile e duraturo, e vediamo il nuovo millennio all’ombra dei nostri campanili.
Cesare Vaciago
Leggi le prime due puntate degli Anni 90 di Cesare Vaciago: