L’Olivetti
Forse, tra qualche anno (e sarà un gran male) le nuove generazioni non riconosceranno neppure un mito, nella Olivetti.
Per me, che ebbi la fortuna di lavorarci nell’ultimo squarcio di governo della Famiglia (non più di Adriano, ma del fratello Roberto con Bruno Jarach) essa segnò, con la mia assunzione nel marzo del 70, il passaggio “culturale” alla vita adulta. Gli operai non erano più l’avanguardia del popolo, con cui costruire il socialismo, ma delle persone serie e produttive, pronte a rivendicare equità del salario e dell’orario, ma anche pronte a rivendicare crescita professionale e cultura, per migliorare il proprio ruolo nella struttura organizzativa della fabbrica.
Adriano Olivetti lo aveva capito subito, e aveva creato a Ivrea il servizio di formazione dei lavoratori più articolato e profondo d’Italia, e forse d’Europa:
Formazione degli operai specializzati,
Formazione dei quadri commerciali,
Perfezionamento dei quadri tecnici (annuale!)
Scuola di Management (biennale):
perché non serviva lamentarsi della scuola che non dava le competenze necessarie: bisognava costruirle in casa, reclutando per la docenza le menti migliori del Politecnico, e affidando il coordinamento della didattica a David Klaus, il più grande esperto mondiale, a quel tempo, delle nuove tecnologie educative.
Il mio capo e maestro fu, in quel laboratorio di formazione, l’ing. Gabriele Panizzi, reclutato dall’Olivetti nella squadra della biblioteca di Comunità di Terracina, fondata da Adriano 10 anni prima.
La progettazione formativa
Con Gabriele creammo una procedura di definizione dei percorsi di formazione per tutti i ruoli professionali, che chiamammo “progettazione formativa”. Scomponevamo i ruoli professionali in mansioni (job). Assegnavamo ad ogni mansione le competenze che essa richiedeva (skill). Ne nasceva una struttura matriciale (matrice job/skill), per ciascun ruolo, che consentiva di dedurre il percorso formativo per fornire, al titolare del ruolo stesso, le competenze necessarie (obiettivi della formazione): era l’invenzione di un “training by objectives “, senza durate precostituite o programmi ministeriali rivolti a tutti (e cristallizzati nel tempo), ma tarato sulle persone, e rinnovabile con flessibilità in funzione della loro crescita professionale. Intorno alla progettazione formativa costruimmo uno schema interpretativo delle dinamiche sociali della fabbrica e, in generale, di ogni organizzazione di persone con competenze.
Il colpo d’ariete
I ruoli professionali hanno, a monte, le dinamiche tecnologiche e organizzative che presiedono alla nascita della fabbrica (dalla tecnologia al mercato). Queste dinamiche creano l’organizzazione del lavoro, che si articola nei ruoli professionali. Dai ruoli professionali nasce il conflitto, naturalmente mirato al “job enlargement” e al “job enrichment”: dai ruoli, arricchiti e cambiati dal conflitto, sorgono i bisogni di competenze, e gli interventi formativi, progettati con la metodologia prima descritta. Attenzione, però: la formazione non lascia mai chi la affronta semplicemente arricchito di sapere e di saper fare. Come sanno gli idraulici, ogni ostacolo frapposto al flusso della corrente genera un “colpo d’ariete”: un’onda d’urto che risale lungo la condotta. La formazione crea i ruoli, ma contestualmente li modifica (come il conflitto), e impatta sull’organizzazione del lavoro, giungendo a influenzare la dinamica tecnologica e organizzativa di partenza, con un effetto sul contesto industriale almeno pari a quello del conflitto sindacale.
La Fiom
Ero diventato adulto, ma ancora un po’ scemo. A un picchetto per il rinnovo contrattuale del 72 danneggiai la 500 di un collega “crumiro”, e fui sospeso dalla Olivetti. Trovai rifugio alla Fiom di Torino, dove il mio capo Cesare Damiano mi indirizzò a occuparmi della nuova invenzione di Bruno Trentin e di Paola Piva: le 150 ore di istruzione per i lavoratori metalmeccanici.
Mi trovai coinvolto, col mio recente patrimonio di studio e di esperienza sulla progettazione formativa, in un “think tank” (c’erano anche Tonino Lettieri, Paola Fiorentini, Marco Liberatori), che, al tavolo del contratto, dove sedeva per le aziende il capo del personale di Olivetti, Umberto Chapperon, disegnò il nuovo istituto contrattuale. A quasi 50 anni di distanza sono ancora convinto che quell’istituto, costituisca uno dei più significativi esempi di democrazia in fabbrica, interamente conquistato da un sindacato consapevole e da industriali illuminati: intorno a quel tavolo ci fu un vero “patto sui valori”, che avrebbe avuto il suo peso anche sulla scuola.
Il Censis
Il vicePresidente della Olivetti, Gino Martinoli (figura eroica della cultura sociale e industriale italiana) propone, ai primi del 73, a me e all’Olivetti, di distaccarmi al Censis, dove avrei potuto portare la mia cultura formativa senza più danneggiare 500.
A capo del Censis, e tuttora suo leader e imprenditore, è Giuseppe De Rita, il più straordinario e vitale interprete della realtà sociale che il nostro Paese abbia avuto: mentre scrivo compirà a breve 87 anni, e stiamo ancora lavorando insieme, come abbiamo continuato a fare per 50 anni, sul destino dei corpi intermedi nel sistema Italia: naturalmente, come è suo costume, con un Committente preciso e con idee nuove e sorprendenti.
Nel 73 il tema è la scoperta della formazione come agente di cambiamenti nei distretti produttivi: con lui, Giuseppe Medusa, dg del tempo, e Raffaella Araldi, lavoro su Prato e Murano, scoprendo i sistemi locali dell’artigianato, e dando un contributo specifico a quel “saper fare” italiano.
L’Isfol
Ai primi del 74 il ministro del lavoro protempore, Carlo Donat Cattin, delibera la creazione dell’Isfol, ente da lui vigilato per lo sviluppo della formazione professionale, e il coordinamento della imminente regionalizzazione del settore. Il Ministro chiede a De Rita di poter reclutare qualche elemento qualificato sulla materia: con Medusa, divenuto dg dell’Isfol, passa Panizzi direttamente dall’Olivetti, con me e Raffaella: tra i primi assunti Daniela Pescarollo, bella persona e bella testa.
Nella primavera del 74 il Ministero della Pubblica Istruzione chiede all’Isfol, per il tramite di De Rita, di farsi carico della formazione degli insegnanti che saranno impegnati, nell’anno scolastico 74/75, sulle 150 ore dei metalmeccanici.
Si tratta, per me, di un ricongiungimento della mia parabola professionale; in 5, per tutta l’estate, insegniamo la progettazione formativa a 1500 insegnanti italiani, molti a Roma per la prima volta, con un successo, immodestamente, straordinario per la scuola media e per il nostro gruppetto. La progettazione formativa entra a far parte della coinè pedagogica nazionale. L’anno successivo la diffondiamo in tutte le 21 Regioni e Province autonome italiane, dove diviene una leva importante per i progetti regionali del Fondo Sociale Europeo, per il quale l’Isfol diventa il punto di riferimento per l’Italia.
Lo stesso Isfol, nel ruolo di supporto al Ministero del Lavoro, diviene, nel 78, il polo di elaborazione della legge quadro sulla formazione professionale e di quella sul collocamento. Nello stesso anno Medusa è capo del personale dell’Alfa Romeo, Panizzi è presidente della Regione Lazio, ed io divento direttore generale dell’Isfol, lontano dai picchetti, non dai valori che, come tecnico della formazione, avevo contribuito a costruire. Negli ultimi anni 70 mi specializzo nella progettazione formativa destinata ai lavoratori disoccupati o alla ricerca di nuova occupazione.
In questo ruolo incontro Matilde Bernabei, che avrà un ruolo significativo nelle mie scelte future. (continua)
Cesare Vaciago