La decisione dell’ASL TO 4 di posizionare i crocifissi all’interno delle camere di degenza nell’ospedale di Chivasso ha riaperto una ormai vecchia polemica.
In uno Stato a regime laico il problema non si porrebbe: tutti i locali pubblici dovrebbero essere esclusi da un’esibizione religiosa che va riservata ai luoghi di culto. Gli ospedali sono luoghi pubblici, che dovrebbero rispettare “in primis” la laicità delle Istituzioni. Infatti essi ospitano, oltre ai cattolici, i protestanti, gli islamici, gli ebrei, i buddisti, gli induisti, gli anticlericali, ecc. insomma tutti coloro – credenti, agnostici, atei – che chiedono di essere curati, visto che le preghiere rivolte al proprio Dio sono risultate vane.
Stante la pluralità delle confessioni religiose, se si ammette il crocifisso, si dovrebbero aggiungere i simboli delle principali religioni coprendo una mezza parete di sconosciuti richiami, fra cui, purtroppo ben nota, la svastica che rappresenta un antico simbolo religioso dell’India e della Cina.
Il crocifisso deve essere rimosso dalle aule giudiziarie, ove sovrasta il motto “La legge è uguale per tutti” (in realtà non è affatto uguale, ma è soltanto unica per tutti), rimosso dalle aule dei Consigli Regionali e Comunali, dagli uffici amministrativi, ecc. Sinora è stato escluso, dopo accese polemiche, dalle aule ove sono installate le cabine elettorali affinché il crocifisso non influisse sui votanti.
L’attuale reintroduzione del crocifisso all’interno di un ospedale – ove la scienza medica prescinde dall’osservanza dei culti religiosi – è un campanello d’allarme in un momento storico che mira a restaurare il passato fascista, quel Concordato fra Stato e Chiesa che Ernesto Rossi definì “l’alleanza fra il manganello e l’aspersorio”. Contemporaneamente un Ministro della Repubblica italiana partecipa ai comizi con il rosario in mano, strumentalizzando la religione a scopi elettorali. Cicerone in un famoso discorso al Senato di Roma esclamò: “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” (fino a quando Catilina, abuserai della nostra pazienza?).
Bruno Segre