Nel periodo forse più nero della sua storia recente, la magistratura italiana dà ugualmente segnali di indipendenza, professionalità, autonomia di giudizio rispetto alla politica.
Nonostante quanto ci tocca leggere ogni giorno, da più giorni, sulle trame e sulle bande esistite o esistenti all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di controllo del terzo potere dello Stato, quello fondamentale per garantire la Giustizia ai cittadini, non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio.
Non dobbiamo cadere nella tentazione di delegittimare un organo fondante per il mantenimento della nostra democrazia.
A fronte di alcuni episodi vergognosi e comunque tutti da accertare, ci sono però fior di magistrati, anche in territori di confine, complessi socialmente e contaminati dalla delinquenza organizzata, che svolgono il loro difficile compito senza apparire mediaticamente, senza compiere atti di acquiescenza bovina nei confronti dell’esecutivo, difendendo il diritto e la sua applicazione, con coraggio e perizia.
L’ultimo caso emblematico ci arriva proprio da Trapani, Sicilia, zona di frontiera per le Procure impegnate nell’accertamento dei reati derivanti dal grande e tragico fenomeno dell’immigrazione.
Il 23 maggio scorso, con un provvedimento, per ora passato quasi sotto silenzio, il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale della città siciliana, Piero Grillo, ha emesso una sentenza nella quale ha affermato che “il fatto non costituisce reato” e ha assolto Ibrahim Amid e Ibrahim Tijani Busharano, ordinandone la immediata scarcerazione.
Nulla di speciale in apparenza.
Uno dei tanti casi in cui un giudice istruttore modifica la prospettazione del reato radicata dalla Procura della Repubblica e accerta l’insussistenza del reato contestato.
Nella fattispecie specifica, però, vale la pena riavvolgere il nastro perché Grillo ha messo le mani, o meglio il cervello, in una materia delicata, controversa, spinosa. Assurta, da qualche mese, a livello politico e mediatico, a diventare uno dei problemi prioritari di questa Italia, per dare “finalmente” sicurezza ai cittadini impauriti: la riforma dell’istituto della legittima difesa e il fenomeno della immigrazione clandestina.
Cosa era successo?
L’8 luglio del 2018, 67 migranti venivano soccorsi nel Mediterraneo dalla motonave italiana Vos Thalassa che, dopo averli raccolti, si dirigeva verso la Libia per riportarli nel paese di provenienza da dove erano fuggiti.
A bordo succedeva però un cataclisma.
I naufraghi, terrorizzati dall’idea di essere riportati nei lager libici, imponevano un cambiamento di rotta al comandante, intimandogli di girare la prua verso le coste italiane non volendo ritornare in Libia per intuibili problemi di sicurezza fisica.
I migranti venivano raccolti a bordo del pattugliatore della marina italiana Diciotti e avviati verso Trapani dove avrebbero dovuto aspettare giorni prima di ricevere l’autorizzazione allo sbarco.
Il ghanese Amid e il sudanese Tijani Busharano, indicati come i capi della rivolta avvenuta a bordo, venivano immediatamente arrestati, portati nel carcere di Trapani e accusati di “violenza, minaccia e resistenza aggravata a pubblico ufficiale”, nonché al “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Se vi ricordate, l’ammutinamento e l’esistenza a bordo della Diciotti dei responsabili di tale gravissimo fatto di violenza contro l’equipaggio della nave Vos Thalassa, erano stati posti a fondamento della richiesta del nostro Ministro degli Interni di sequestro della nave e dell’impedimento della discesa a terra dei migranti fino all’individuazione dei responsabili. Considerando quindi il loro ruolo come pericoloso e talmente grave da legittimare il sequestro della nave e il loro fermo a bordo.
Proprio in quei giorni nasceva il mantra del “porti chiusi” del nostro Ministro degli Interni.
Il procedimento contro i due imputati ha seguito un iter complesso. Su richiesta della Procura, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e l’ordinanza di custodia cautelare era stata confermata anche dal Tribunale del Riesame di Palermo.
Il 23 maggio, all’udienza per il rito abbreviato, richiesto dagli imputati, lo scenario processuale cambiava drasticamente.
Il Gup assolveva gli imputati ritenendo sussistente la legittima difesa.
La condotta contestata agli imputati, per il Gup di Trapani, era anche provata, ma si doveva, secondo Grillo, applicare l’esimente della legittima difesa, proprio quell’istituto del diritto tanto osannato dal nostro Ministro degli Interni che ne ha recentemente proposto una modifica nel senso dell’allargamento del suo perimetro applicativo.
In attesa, ovviamente, di leggere le motivazioni della decisione di Grillo, ci sembra importante un principio che emerge dall’analisi del dispositivo della sentenza. Di fronte al pericolo rappresentato dalla consegna ad un regime liberticida, come quello attualmente in essere in Libia, resistere è legittimo. Giustificato!
Come ha sottolineato Luigi Manconi su la Repubblica, la questione della natura legittima o illegittima della difesa nei confronti di un pericolo quale quello rappresentato per i profughi dal ritorno coatto in Libia, è stata risolta dal magistrato di Trapani, riaffermando un principio-diritto sacrosanto, proprio alla luce dei dettagliati rapporti di numerosi organismi internazionali indipendenti che hanno documentato che la Libia non è “un luogo sicuro”.
Sfuggirne, dunque, è giusto e colui che fugge se si trova di fronte degli ostacoli che lo pongono nella condizione di un ritorno coatto in Libia, è legittimato a reagire, anche con la forza.
Una decisione coraggiosa, per alcuni contro corrente, per altri sinonimo di una magistratura che nonostante il triste spettacolo offerto dal CSM, conta ancora sulla maggioranza di magistrati coraggiosi, indipendenti e non contaminati dalle pressioni della politica.
Riccardo Rossotto