Nelle prossime tre settimane si giocheranno le chance per il futuro dell’Europa.
Saranno settimane decisive per la nomina della nuova governance di Bruxelles.
Per la prima volta i Social Democratici e i Popolari non avranno la maggioranza in Parlamento e quindi dovranno negoziare un accordo con i Liberali e forse anche con i Verdi.
Il primo grande scontro avverrà sulla nomina del Presidente della Commissione, il “regista” dei lavori dell’istituzione europea. A fronte della candidatura di Manfred Weber, proposto da Angela Merkel, si ipotizza anche l’opzione della liberale danese Margrethe Vestager, commissario uscente alla Concorrenza che pare essere sponsorizzata da Macron e dal leader spagnolo Sanchez. Ma lo scontro tra queste due candidature sarà uno dei tanti che si terranno nei prossimi giorni nelle varie capitali europee per la definizione anche delle altre nomine scadute, il Presidente del Consiglio UE e il Presidente dell’Euro Parlamento. Senza contare il posto di “Ministro degli Esteri” di Bruxelles finora occupato dalla nostra Mogherini. Amareggia il silenzio assoluto del ruolo e della posizione italiana in merito a queste nomine.
Le scelte dovrebbero essere condivise entro il Consiglio Europeo del 20 giugno per consentire poi al Parlamento di Strasburgo di votare la fiducia alla nuova Commissione con quindi l’inizio dell’operatività all’incirca a metà luglio.
Al di là degli uomini o donne che metteranno le gambe alle zoppicanti istituzioni europee, dovremo capire in questo caldo mese di giugno 2019 se ci potrà essere davvero uno svolta, uno scarto rispetto alle politiche passate e contestate dei “ragionieri” di Bruxelles. Oppure se si continuerà a limitarsi a gridare contro il risorgente fascismo, contro i populismi e sovranisti e quindi contro tutto quello che potrebbe rompere “la calma piatta” di una Bruxelles votata a perpetrare una sceneggiatura non più sufficiente a salvaguardare il sogno di un’Europa unita dei popoli, sentita e vissuta dai cittadini come l’unica vera opzione per competere con gli altri grandi della globalizzazione, senza rischiare di ritornare alle guerre interne fratricide.
Per svoltare bisogna però saper leggere fino in fondo gli errori compiuti, avere la consapevolezza di avviare una nuova politica europea che sappia coniugare libertà e democrazia con uguaglianza e giustizia, attuando una gestione del fenomeno migratorio basata non sul velleitarismo o sugli egoismi dei singoli stati membri, ma su una lucida e solidale attuazione di un programma di inclusione possibile, ordinato, sostenibile e coerente con i valori identitari e religiosi degli europei.
Questo faticoso processo di ripartenza basato sulle originarie idee di Ventotene, deve avere come premessa un’analisi autocritica profonda e severa sugli errori commessi. Su quegli errori che ci hanno portato all’attuale confusione e rischio di derive autoritarie.
Non si vede però né si sente in giro una gran voglia di aprire i cantieri di una riflessione autocritica su quanto successo negli ultimi anni, come ha sollecitato anche Piero Fassino dalle colonne del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI). Le élite si chiudono in sé stesse e non danno grandi segnali di volontà di rinnovamento.
E allora iniziamo proprio da noi liberali questa disamina critica sulle cause del malessere attuale.
Diamo il buon esempio partendo dalla condivisione di che cosa significhi il termine liberale in questo III millennio in cui molti se ne sono appropriati senza probabilmente conoscerlo né condividerlo.
A nostro avviso possiamo chiamare liberal-democratici quei cittadini che credono nelle libertà politiche, civili ed economiche; che vivono l’interventismo statale con scetticismo. Che sono per la separazione dello stato dalla religione e ritengono che il destino dell’Italia sia in Europa e nell’Alleanza Atlantica. Propugnano valori basati sulla separazione rigorosa dei poteri (legislativo, giudiziario ed esecutivo), sul garantismo, sulla libera concorrenza e sulla meritocrazia.
Chiarito tale aspetto, è interessante studiare il contenuto dell’ultimo libro uscito in Italia e firmato da Jan Zielonka, polacco, allievo di Ralph Dahrendorf, professore all’Università di Oxford. Da almeno un decennio uno degli analisti politici più autorevoli d’Europa.
Il suo ultimo saggio si chiama “Contro rivoluzione” e narra la disfatta dell’Europa liberale.
Zielonka rivendica di essere un vero liberale e proprio per questo non esita a mettere le “mani nel fango” sugli errori compiuti dalla classe dirigente europea negli ultimi anni.
“E’ stato tradito sistematicamente il perimetro dei principi liberal-democratici. In altre parole i liberali al potere dicevano una cosa e ne facevano un’altra. Così sono state inanellate una serie di decisioni sbagliate nelle politiche economiche, sociali, geopolitiche e migratorie. Questo neo-liberismo nato dopo la caduta del muro del 1989 – scrive Zielonka – ha ucciso il liberalismo originario. Si è arreso alla presunta ineluttabilità della formula “THERE IS NO ALTERNATIVE” (“TINA”) l’acronimo coniato da Margaret Thatcher che sosteneva l’assenza di qualsiasi alternativa ai poteri dei mercati”.
Secondo il professore polacco sarà difficile uscire da questa situazione caotica senza grandi shock bellici o ambientali: “La cosa più inquietante è che ormai il conflitto è ideologico e non vedo al momento soluzioni pratiche per i conflitti ideologici. Temo che saremo sempre più polarizzati”.
La sua visione pessimistica lo porta a temere fortemente un ritorno di nuove forme di fascismo del III millennio a meno che le cosiddette élite non inizino fin da subito un processo di analisi degli errori commessi e del come recuperarli: “Nei circoli liberali – scrive Zielonka – quando qualcuno dice “dobbiamo fare autocritica” c’è sempre qualcuno che si oppone sostenendo “no, non possiamo essere troppo negativi, ci sono le elezioni … attacchiamo i populisti, diamo la colpa ai cinesi … ma rinviamo ogni forma di autocritica”. Così si va contro un muro. Abbiamo una serie di errori lunghissima da riparare e il cambiamento lo potranno fare soltanto leader che non hanno sbagliato”.
Il peccato mortale originario secondo il politologo polacco nasce nel 2008, all’inizio della grande crisi quando, in una sola notte, i leader europei decisero che la priorità assoluta era aiutare le banche, con priorità per quelle multinazionali. Quella scelta che probabilmente salvò il sistema finanziario creò nel contempo una indissolubile frattura fra le élite e il popolo. Infatti, quei soldi usati per il salvataggio delle banche “venivano dalle tasche del cittadino, quello stesso cittadino che quando chiedeva più soldi per la scuola, per le infermiere negli ospedali, per riparare strade e ponti, si sentiva rispondere che i soldi non c’erano. Poi però, in una notte, si sono trovati ma soltanto per le banche. Queste sono le cose fondamentali per la legittimità della politica. Sappiamo le ragioni che venivano adottate … “non ci sono altre possibilità”: il teorema di “TINA” appunto, diceva che senza quegli aiuti il crollo dei mercati finanziari avrebbe distrutto tutta l’economia”.
E invece, secondo Zielonka questo non era vero perché ci sono sempre alternative, basta alzare gli occhi, studiarle ed applicarle.
Invece, in questo modo ottuso, sono arrivati i populisti e hanno incominciato ad ottenere consensi cambiando la tattica: “in Polonia cosa è successo? E’ arrivato Kaczynski e ha detto “vi offro il dentista gratis per i vostri figli, il pranzo nelle scuole del villaggio e un pullman per le periferie”. Prima si diceva che non c’erano soldi per queste cose. Gli elettori hanno scelto lui e l’economia in Polonia non è crollata, smentendo TINA. Quello che voglio sottolineare a tutti è che si devono vedere e mostrare delle alternative. Ci sono sempre e vanno analizzate, non scartate come hanno detto i banchieri a proposito del salvataggio del sistema finanziario”
Un’altra grande responsabilità delle élite liberal-democratiche europee, secondo Zielonka, è stata dimenticarsi dell’uguaglianza sociale.
Abbiamo avuto troppa libertà e poca uguaglianza.
“La disuguaglianza è cresciuta non solo dentro i paesi ma anche tra i paesi. Poi naturalmente la crisi ha reso la situazione ancora peggiore. Noi liberali abbiamo la responsabilità diretta di essere stati gli agenti di una globalizzazione che ha pianificato, deregolato e marginalizzato molti cittadini europei. Adesso ne paghiamo le conseguenze. Credo che la ripartenza debba avvenire anche attraverso una nuova narrazione della società, sempre libera e democratica ma più giusta e più uguale nei diritti, nei doveri e nell’accesso alle opportunità di lavoro. Noi liberali riusciremo a riprendere la guida dello sviluppo delle nostre comunità soltanto se avremo la modestia di pensare al futuro coinvolgendo i protagonisti di quel futuro: le nuove generazioni. Non basta ascoltarli i giovani. Bisogna dare loro potere vero per cambiare le cose. Devono sentirsi i proprietari del loro futuro. Loro sono cresciuti senza muri, con internet, non conoscono le frontiere. Devono poter esercitare i loro diritti e realizzare i loro sogni che forse non hanno più. E’ sbagliato pensare che in Europa sono tutti xenofobi. Molti votano i populisti perché sono stufi di una politica non solo immorale, ma anche inefficiente. Prendiamo le politiche migratorie. I governi liberal-democratici di destra o di sinistra hanno tolto aiuti all’Africa, abbandonato l’idea di sviluppo in quei paesi. Hanno fatto amicizia con i dittatori per tenere i migranti lontano. Hanno venduto loro le armi e hanno finanziato le élite peggiori di quei paesi. E dobbiamo sorprenderci che la gente sia stufa di tutto questo?”.
La spietata autocritica che ci ha enunciato Jan Zielonka speriamo ci serva a girare pagina.
A meditare sugli errori passati per riprendere la via giusta sulla base di una nuova attenzione per i meno fortunati e di una minor rigidità sul teorema di “TINA”: la lezione sulla quale dobbiamo riflettere è che esistono sempre alternative e che la nostra responsabilità non è quella di ingessarci sugli schemi conosciuti anche se fallimentari, ma di diventare visionari anche a costo di dover dare l’esempio per una nuova redistribuzione del reddito tra i cittadini.
Partiamo di lì come ci ha raccontato Fabrizio Barca in una chiacchierata che pubblicheremo a breve sulle pagine de L’Incontro.
Riccardo Rossotto