Ci sembra quasi surreale, incredibile, misterioso, ma sta veramente accadendo. Preso atto delle posizioni assunte dal Presidente americano Donald Trump che ha dichiarato ufficialmente che gli Stati Uniti non difenderanno più militarmente né l’Europa né il Giappone (“che ci pensino loro e paghino loro i costi della difesa dei loro territori è stata la dura dichiarazione del Presidente americano), Bruxelles prima e Tokyo poi hanno dovuto immediatamente reagire, immaginando un progetto di riarmo autonomo ed indipendente rispetto all’ex amico e benefattore americano.
Ursula von der Leyen ha predisposto un programma colossale di investimenti nella difesa dell’Europa. Ha immaginato una somma intorno agli 800 miliardi di euro, senza però precisare nel dettaglio le modalità di tale clamoroso “PNRR militare” sia in termini di “Dove” reperire tali fondi, sia di “Dove” e “Come” spenderli. La Presidente della Commissione Europea ha lasciato molti dubbi, scatenando in quasi tutti i paesi membri dell’Unione, le proteste delle minoranze non governative che hanno facilmente strumentalizzato tale statement politico, privo di reali contenuti operativi e quindi impossibile da valutare politicamente ed economicamente.
In attesa di capire meglio il perimetro di tale programma, di capire cioè se gli Stati membri condivideranno tale progetto mirato ad arginare i rischi di possibili nuove violazioni del diritto internazionale da parte di Putin, attraverso invasioni di altri Stati confinanti con la Russia, alcuni autorevoli Think Tank hanno iniziato a prevedere scenari in cui soltanto la Germania (e forse il Giappone) avrebbero potuto permettersi una riconversione del proprio sistema industriale, contando esclusivamente sulle proprie risorse e cioè su un debito pubblico relativamente piccolo, “figlio” di anni di vita da “formichine”. Tutti gli altri paesi dell’Unione Europea avrebbero sicuramente incontrato difficoltà a finanziare, pro quota, un programma ambizioso e rilevantissimo come impegno economico, per adeguare i propri sistemi militari alla sfida lanciata da Mosca. Il venir meno della tutela americana, almeno nei termini promessi-minacciati da Trump, ha innescato un processo ansiogeno che sta contaminando le decisioni delle leadership politiche di molti Stati europei.
In Giappone sta succedendo lo stesso fenomeno. Temendo la fine di una protezione militare americana che dura sostanzialmente dal 1945 e avendo a pochi chilometri dai propri confini un “vicino di casa” come il “bizzarro” dittatore nordcoreano Kim Jong-un, i leader politici giapponesi hanno incominciato a ragionare su un percorso di autonomizzazione della difesa della nazione, rispetto agli aiuti e ai supporti americani. Ecco perché vi abbiamo proposto un titolo provocatorio di questo contributo. Stiamo, nella sostanza, rischiando di dover finanziare un riarmo proprio dei due grandi nemici dell’Occidente nella Seconda Guerra mondiale. Come si è arrivati a tale incredibile situazione? Proviamo a capirlo ripercorrendo le recenti scelte politiche dei governi di Berlino e Tokyo, generate dalle decisioni dei due “Bulli” di Mosca e di Washington.
La Germania
Partiamo dal Germania, sostanzialmente disarmata nell’immediato dopoguerra e al centro delle discussioni politiche tra le grandi capitali europei e l’America, all’inizio della cosiddetta Guerra Fredda, sul finire degli anni ‘40. Infatti, era cambiato il nemico da combattere: non più il nazifascismo ma il comunismo imperiale di Mosca. Bisognava dunque, secondo la tesi americana, riarmare la Germania che rappresentava la prima barriera difensiva rispetto ad una eventuale invasione da parte dei russi. Soprattutto De Gaulle si batté in quegli anni come un leone per evitare un riarmamento di quella Germania che nel Novecento, per ben due volte, aveva aggredito e occupato la Francia lasciandosi dietro una scia di tragedie e di sangue.
A metà degli anni ‘50, soprattutto dopo i fatti di Budapest del ‘56, gli europei capirono che una Germania forte dal punto di vista militare avrebbe rappresentato una “polizza di sicurezza” per tutti. Così inizio il riarmo di quella Germania per due volte sconfitta nel secolo scorso. Gli americani, direttamente o tramite la Nato, garantivano un utilizzo delle forze armate tedesche nell’ambito di direttive coordinate con gli alleati occidentali. Fu così che in pochi anni la Germania poté contare di nuovo sull’esercito più forte della Nato, dopo quello degli Stati Uniti. Con 12 divisioni pronte all’immediato intervento, era la Nazione più preparata ad una eventuale aggressione russa, naturalmente sotto il tutoraggio americano. I tedeschi si ricordano ancora oggi molto bene le continue esercitazioni della Bundeswehr (le forze armate tedesche) contro una possibile invasione russa attraverso il valico di Fulda, in Assia.
Senza contare la massiccia presenza di truppe americane sul territorio tedesco e soprattutto quella di numerose testate nucleari dispiegate sui confini orientali del paese. Erano 7000 circa le testate nucleari installate da Washington sul territorio tedesco e rappresentavano il 10% delle 70.000 testate esistenti fra Est e Ovest. Dopo il 1989, con la fine della Guerra Fredda, l’esercito tedesco non ha più costituito una priorità nelle strategie occidentali. La minaccia russa si era spostata più ad Est ed era diventata una priorità per le repubbliche baltiche e per la Polonia. In quegli anni, il governo di Berlino aveva via via ridotto gli investimenti nella Difesa.
Oggi, dopo quasi trent’anni, è proprio il partito della CDU, che aveva appoggiato la politica di disarmo del Paese, a farsi promotore di una svolta, di un ritorno ad una politica che punti al rafforzamento dell’industria pesante degli armamenti, provvedendo ad una riconversione di molti settori nella produzione di armi. Il timore che abbiamo tutti e che ha ispirato questo contributo, per i tedeschi non esiste. È pura retorica, si sostiene a Berlino, quella del ritorno della Germania nazista che fa paura agli alleati: un’invenzione propagandistica che mira ad indebolire e dividere il Paese.
Il cambio di rotta è iniziato formalmente il 18 marzo scorso quando il Parlamento di Berlino con 513 “sì” e 207 “no” ha deliberato uno stanziamento da poco meno di 1000 miliardi di euro in cinque anni, per metà destinato ad investimenti infrastrutturali e per metà per la Difesa. Il voto, che ha scatenato forti proteste nel Paese soprattutto nelle minoranze sovraniste, sia di destra sia di sinistra, è arrivato pochi giorni dopo le elezioni del 23 febbraio scorso, e quindi con un’assemblea parlamentare, secondo le opposizioni, non più legittimata (era ancora la maggioranza eletta nelle precedenti elezioni del 2021 a votare) a deliberare l’emissione di un nuovo debito impressionante a carico della legislatura nascente. Gli analisti tedeschi più autorevoli hanno registrato che il consenso per tale legge, mirata ad un apparato militare più forte in caso di attacco russo, è stato largo e trasversale nel Paese, nonostante oltre un terzo degli elettori, lo scorso 23 febbraio, avesse votato per formazioni filorusse come l’AfD o comunque antimilitariste o pacifiste come i gruppi di sinistra Die Linke e BSW che propongono di tornare in buoni rapporti con Mosca.
L’evento che ha scatenato in Germania l’ansia di doversi proteggere meglio contro le mire espansionistiche della Russia di Putin, è stato l’invasione della Crimea, già nel 2014. È ovvio che nel 2022, quella minaccia soltanto ipotizzata, è diventata una realtà dopo l’invasione dell’Ucraina. Il governo di Scholz, prima di passare il testimone al nuovo cancelliere Merz, respingendo l’offerta francese di allargare l’ombrello nucleare alla Repubblica federale, ha comunque voluto ribadire che Berlino resta fedele alla deterrenza nucleare Nato, cioè, in altre parole, a quella americana, finché questa sia confermata e non revocata, si leggeva nel comunicato dell’ex cancelliere Scholz.
Il dibattito sul riarmo del Paese è comunque la priorità in questi mesi a Berlino e in tutta la Germania. Da un lato, ci sono i vertici militari che sottolineano la necessità del ripristino della leva obbligatoria, sospesa dal 2011. Sostengono che per eseguire con efficienza i compiti aggiuntivi nel campo della sicurezza interna ed esterna, servono molti più soldati. I 181.000 effettivi di oggi dovrebbero diventare almeno 250.000. In caso contrario il progetto potrebbe diventare velleitario. Dall’altro lato, ci sono, oltre ai partiti populisti di destra e di sinistra all’opposizione, parti della nuova maggioranza che evidenziano come una quota di quegli investimenti destinati alla Difesa potrebbe invece essere fondamentale per altri settori prioritari del Paese, come la Sanità, la Previdenza e l’Istruzione. Per ora ha prevalso la tesi di Merz: “Se oggi l’America – ha fatto dichiarare il neo cancelliere ad alcuni suoi collaboratori fidati – mette in discussione la validità dell’articolo 5 del Patto Atlantico e quindi il concetto di difesa collettiva, non abbiamo altra scelta, dobbiamo occuparci noi della nostra sicurezza. Auspicabilmente con gli altri paesi membri dell’Unione Europea, se no da soli!”.
Aldilà degli aspetti più prettamente politici di questo dibattito sul futuro della sicurezza europea, alcuni autorevoli esperti di Berlino sottolineano come bisognerebbe occuparsi di un rilancio dell’industria europea della Difesa, un settore troppo a lungo privato di obiettivi di produzione a breve, medio e lungo termine. Finora le Nazioni europee hanno esportato armi: oggi il settore avrebbe bisogno di commesse pluriennali , chiare e affidabili. La Repubblica Federale Tedesca non ha una propria industria della Difesa ma dei conglomerati industriali misti che hanno al proprio interno delle divisioni produttive dedicate agli armamenti. “In un momento in cui abbiamo sovraccapacità produttiva nell’automotive – ha scritto recentemente Karl-Heinz Kamp, membro del Think Tank della Società Tedesca di Politica Estera, uno dei più apprezzati in Germania – sarebbe opportuno agevolare le integrazioni tra i produttori di automobili e i produttori di armi: dal costruire un’automobile a iniziare a costruire un carro armato… ci vuole del tempo”. Insomma, non si sta più discutendo sul “Se” ma sul “Come e Quando” riarmarsi.
Il Giappone
Anche in Giappone, il dibattito sul riarmo del Paese sta spaccando l’opinione pubblica. Pur non avendo mai vissuto sotto l’ombrello della Nato, il Giappone ha potuto contare, fin dal 1945, su una protezione speciale degli Stati Uniti che hanno sempre considerato Tokyo come la capitale di un Paese da difendere ad ogni costo visti i vicini pericolosi che si trova di fronte. Pur essendoci una gran parte dei giapponesi che credono fortemente nel pacifismo, anche alla luce della catastrofe vissuta dalla generazione dei loro nonni durante il secondo conflitto mondiale, il governo sta incominciando ad attuare una serie di misure mirate a ridurre la sua dipendenza da Washington in termini di sicurezza. Il Giappone è ancora oggi fortemente dipendente dagli USA per tecnologie militari avanzate, addestramento e logistica. L’America sembrerebbe ancora intenzionata ad avere un ruolo nella regione indo-pacifica, ma Trump è stato preciso nel dichiarare che prima o poi il costo che gli Stati Uniti sopportano per questo presidio dovrà essere socializzato con i paesi beneficiari.
Washington non vuole più pagare il conto di una difesa degli alleati locali. Il governo giapponese intende perseguire una maggiore indipendenza militare sia per essere pronto ad affrontare minacce regionali come quelle che potrebbero arrivare dalla Cina e dalla Corea del Nord; sia per consolidare un suo ruolo di leadership nella sicurezza di quella delicatissima area dell’Asia del Pacifico. Esiste, dunque, una crescente ambizione dei giapponesi a sganciarsi dalla tutela americana, assumendo un ruolo di riferimento per le altre nazioni asiatiche. Fin dal 2022, torniamo sempre lì… all’invasione russa dell’Ucraina… la politica di Tokyo è cambiata: da una postura tipicamente difensiva si è incominciato ad organizzare le forze armate in una visione di contrattacco. Bisogna cioè essere pronti a reagire contro le zampate imperialiste sia della Russia sia della Cina sia della Corea del Nord, soprattutto. Questa modifica strategica è finalizzata a permettere a Tokyo di colpire basi nemiche in situazione di emergenza allargando in tal modo il suo raggio d’azione operativo, come ha sottolineato Francesco Galietti, fondatore del Think Tank denominato Policy Sonar.
Per darvi un’idea degli investimenti del Giappone in campo militare, vi sottolineiamo quello sull’estensione della gittata dei missili type-12 fino a 1500 km e quello che concerne la conversione dei cacciatorpedinieri classe Izumo in portaerei capaci di schierare il Caccia Stealth F-35B.
Sul fronte delle relazioni internazionali, vi è da segnalare ancora l’attivismo di Tokyo nell’intrecciare rapporti sempre più stretti con gli altri Paesi di quell’area geografica, senza il coinvolgimento degli Stati Uniti. Proprio qui risiede la grande novità della attuale politica estera giapponese.
Ha intensificato la cooperazione con Filippine, India, Australia e Regno Unito attraverso esercitazioni congiunte e accordi bilaterali di natura militare o economica. Una particolare e profonda partnership si sta consolidando tra Londra e Tokyo, anche a livello di intelligence, cruciale per conoscere in anticipo le manovre militari dei cinesi e dei coreani in quell’oceano. Trump aveva richiesto al Giappone di aumentare le spese per la Difesa al 3% del Pil, ricevendo un diniego in quanto il governo di Tokyo manifestò chiaramente l’impossibilità di adempiere a tale impegno, avendo altre priorità di politica interna.
Insomma, come dicevamo all’inizio, i danni che stanno creando i due “Bulli” russo-americani sono devastanti in termini di Sicurezza e Pace nel mondo. Il timore di nuove zampate russe o cinesi, nel Baltico o a Taiwan, sta obbligando la Germania e il Giappone ad avviare percorsi di riarmamento dei propri apparati industriali, molto pericolosi ma comprensibili. Non dimentichiamoci mai, che il partito di stampo nazista tedesco è vero che ha perso le ultime elezioni ma, in base agli ultimi sondaggi, continua ad aumentare il suo grande consenso tra tutti i tedeschi, arrabbiati e rancorosi per la continua perdita di potere d’acquisto dei loro risparmi e del loro livello di qualità della vita.
Una riflessione di Kissinger di 52 anni fa
Permettetemi però, proprio per alleggerire l’atmosfera di questo fosco scenario per il nostro futuro a breve, di ricordarvi alcuni concetti di quella che fu denominata la teoria di Henry Kissinger per un mondo pacificato o pacificabile. Abbiamo recuperato il verbale dell’audizione al Senato americano dell’8 luglio 1973 (di quasi 52 anni fa dunque!). Henry Kissinger, in quel momento era il candidato dal Presidente Richard Nixon (appena rieletto dopo la trionfale campagna presidenziale del 1972, in cui sconfisse nettamente George McGovern, il candidato democratico) per assumere la carica di Ministro degli Esteri americano, il cosiddetto Segretario di Stato. La norma prevede che tutti i candidati siano sottoposti al vaglio del Senato e quel giorno Kissinger fece una sintesi del suo pensiero politico e strategico che avrebbe voluto “mettere a terra” se nominato Segretario di Stato.
Il suo intervento durò quattro ore e questo fu, in sintesi, il suo lucido e lungimirante pensiero. “Il rafforzamento della cooperazione e dell’associazione degli Stati Uniti con l’Europa occidentale e colGiappone – disse Kissinger – sarà il primo elemento del programma internazionale che mi propongo di svolgere come Segretario di Stato. Ci troviamo ad un punto cruciale di transizione nella evoluzione della scena mondiale e l’obiettivo che intendiamo raggiungere, quello di una pace duratura, richiede una politica estera impostata su alcune premesse centrali che sono le seguenti: (1) cooperazione con gli alleati: noi intendiamo lavorare in modo costruttivo e con spirito aperto con gli alleati in Europa occidentale e col Giappone per dare nuovo impulso ad una partnership basata su obiettivi e aspirazioni comuni; (2) la distensione internazionale: noi abbiamo sviluppato con i paesi avversari un rapporto nuovo che ci può condurre dall’era del confronto dall’era della cooperazione. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale, tutte le grandi nazioni partecipano pienamente al sistema internazionale. Esiste una solida speranza che la corsa agli armamenti possa venire fermata, con una riduzione del fardello che finora pesava su tutti; (3) la cooperazione internazionale: “Noi dobbiamo affrontare oggi problemi senza precedenti che oltrepassano i limiti delle frontiere e delle ideologie e che richiedono una cooperazione mondiale completa… Mi riferisco in particolare al problema dell’approvvigionamento delle fonti energetiche, alla protezione dell’ambiente naturale e alle difficoltà di molti paesi nel campo agricolo”.
Se pensiamo, dopo la lettura di questi passaggi dell’intervento di Kissinger del settembre 1973, di una modernità incredibile ma nello stesso tempo straziante (nella sostanza siamo ancora lì!) se pensiamo, dicevamo, alla triste realtà internazionale che ci sta di fronte in questo primo semestre del 2025, possiamo comprendere meglio come sia cambiata l’America e come rischino di cambiare i rapporti, sempre stati fino ad ora privilegiati, tra gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali. Nel parlare delle prospettive di una riduzione delle forze americane in Europa e in Giappone, Kissinger, quel giorno di quasi 52 anni fa, ribadì che qualsiasi misura del genere avrebbe dovuto avvenire “soltanto nel quadro di un negoziato generale”. Purtroppo, tale certezza oggi… zoppica parecchio…grazie ai due “Bulli” che vivono e “giocano” sulle nostre vite a Mosca e a Washington.
Riccardo Rossotto