Trump è il Male, il drago che sta vomitando fuoco sulle Democrazie mondiali, nobili fanciulle ricche di sogni e velleità, ma povere di quattrini. Le cose stanno proprio così? Un’epoca in cui la verità è sempre meno distinguibile dalla finzione è per definizione terreno di pascolo per chi cerca spiegazioni semplici a fenomeni complessi. E, allora, conviene non dare una risposta secca a questa domanda.
Forse conviene leggere nei comportamenti narcisisti di Trump e nelle sue folgoranti (e autolesionistiche) decisioni una conferma che dovrebbe farci finalmente riflettere: gli Stati Uniti hanno capito che si è conclusa l’era del dominio unipolare americano e sono disposti a un Nuovo Ordine Mondiale, da più parti evocato! Attenzione, però: gli Stati Uniti vogliono un nuovo ordine nel quale mantenere un ruolo primario e non paritario! Non è forse questa la spiegazione della plateale riabilitazione di Putin agli occhi del mondo? Una riabilitazione che, a detta di molti, mira non a trascinare la Russia dalla propria parte, in una sorta di intesa della quale non è ancora chiara la destinazione.
L’ammirazione di Trump per la Russia, più volte dimostrata, va presa con le molle. Trump vorrebbe un rapporto privilegiato con la Russia in chiave anti-Cina, ma forse questa sua idea va collocata più nel libro dei sogni che in quello del realismo politico. L’asse sino-russo traina una coalizione, quella dei Brics, che oggettivamente è l’unica barriera in grado quantomeno di frenare i pruriti neoimperialisti di un’America oggi guidata dai colossi della tecnologia più che dalle idee, apparentemente bislacche e contradditorie, di Trump.
Inoltre, la Russia non abbandonerà la Cina per altri due buoni motivi. Il primo è che la Cina è stata l’ancora di salvezza della Russia negli ultimi tre anni, non solo attraverso l’acquisto del gas russo non più assorbito – almeno in via ufficiale – dai paesi occidentali, ma anche attraverso un silenzioso e mai esibito supporto militare fatto pure di diplomazia internazionale. Il secondo motivo è che la Cina è un vicino di casa, con il quale il buon senso suggerisce di mantenere buoni rapporti. E a questo vicino di casa, la Russia ha concesso, dopo 163 anni, l’uso del porto di Vladivostok per il traffico commerciale. Proprio in cambio degli aiuti ricevuti!
Lo stretto rapporto tra Cina e Russia è testimoniato anche dalla mediazione di Pechino sulla guerra in Ucraina. Secondo Antony Blinken, Segretario di Stato uscente degli Stati Uniti, il leader cinese Xi Jinping si sarebbe interposto direttamente nel conflitto ucraino, esercitando una pressione su Putin affinché non ricorresse all’opzione nucleare. Una mediazione certamente positiva, ma che allo stesso tempo solleva interrogativi sul potenziale crescente controllo che la Cina potrebbe esercitare sugli sviluppi geopolitici in Europa e oltre.
Nonostante abbia le idee appannate da un incontenibile narcisismo e da una insaziabile sete di vendetta, Trump sa bene come stanno le cose eppure tenta il bluff non tanto con l’obiettivo di rendere la Russia un proprio partner strategico, ma quantomeno con la speranza di creare qualche crepa nell’asse russo-cinese. Insomma, creare zizzania tra i due, così come sta facendo tra i paesi europei. Cina e Russia non battono ciglia perché hanno entrambi da guadagnarci da questa situazione: la Russia recupera, almeno in parte, la propria immagine (da paese invasore a paese provocato) e la Cina vede nel bluff un jolly che potrà tentare di giocare quando deciderà di riaprire la pratica Taiwan: come potranno gli Stati Uniti opporsi a una eventuale azione armata cinese contro Taiwan, resasi indipendente a seguito di un colpo di Stato?
Stati Uniti e Cina si guardano in cagnesco, ma è probabile che nessuno dei due intenda spingere lo scontro frontale oltre i confini della guerra commerciale. In fondo, pur senza un patto formale, Usa e Cina lavorano per imporre al mondo un nuovo multipolarismo (che rischia di essere un solo un nuovo bipolarismo). Questo significa che l’Europa non deve guardarsi solo da Trump ma anche dall’altro blocco che si è creato, e si sta sviluppando, anche a prescindere dalla questione ucraina.
Quello che bisogna capire, e anche in fretta, è che non siamo più in tempi di normalità, ma siamo piombati di botto in una situazione d’emergenza dalla quale l’Europa può uscire con soluzioni da protagonista per non diventare una succulenta preda degli attori globali. L’Europa deve comportarsi da subito come fosse già un soggetto politico unitario, mettendo in cantiere progetti di maggiore cooperazione e investimenti strategici, con una visione a lungo termine che renda centrale la sovranità europea. L’Unione Europea deve prendere atto di essere sotto attacco, di essere nel mirino di potenze globali che ne minacciano la stabilità, la sicurezza e il ruolo nel mondo. Deve mettere in conto di essere anch’essa una potenziale preda da spartire, al pari dell’Ucraina, il Klondike dei nostri giorni per quanto riguarda le tanto ambite terre rare!
L’aspetto più preoccupante è che la scelta della guerra commerciale operata da Trump – che in questa fase d’avvio sia solo minacciata o agita fa poca differenza – sembra essere più minacciosa nei confronti dei tradizionali alleati degli Usa anziché della Cina. In molti (Starmer, Macron, Meloni…) si precipitano da Trump nei panni formali di possibili mediatori sulla questione ucraina, ma nella sostanza per chiedere un occhio di riguardo per il proprio Paese sulla burrasca dazi.
Ma tutti tornano a casa con un pugno di mosche. Questo è l’errore più grosso che gli europei possano commettere: presentarsi da Trump come singolo Paese, fare due moine e mille inchini con la speranza di essere trattato meglio degli altri. Trump vede con sospetto le organizzazioni sovranazionali – Onu, Oms, Unctad, Fao, Ocse, Wto, Tribunale Internazionale, Nato -, che considera istituzioni burocratiche che limitano la sovranità degli Stati. Tra queste bisogna inserire anche la UE, che agli occhi di Trump non esiste e per la quale è ancora valida la famosa battuta di Henry Kissinger “Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”. L’insofferenza di Trump verso l’Europa è sotto gli occhi di tutti e questo impone la dolorosa decisione di smettere di pensare che il proprio futuro dipenda esclusivamente dalle sorti della guerra ucraina.
Gli europei devono essere più proattivi e smettere di lamentarsi, perché in politica chi si lamenta passa dalla parte del torto. L’Europa deve smettere di essere un’Armata Brancaleone di Paesi e diventare un’Unione, comportandosi da tale. Non deve implorare uno strapuntino al tavolo che qualcuno (Trump? Cina? Mohamed bin Salman?) imbandirà per decidere le sorti dell’Ucraina; deve piantarla di promettere maggiori investimenti in Difesa (cioè comprare più armi americane); non deve più impegnarsi a comprare più gas liquido dagli Usa. Deve comportarsi da Unione politica, non a parole ma con fatti concreti. Deve investire per avere una propria industria militare e non limitarsi ad acquistare armi in modo disordinato e inefficace (i 27 Paesi europei spendono ogni anno in armamenti, ognuno per conto proprio, più della Russia!). Deve rispondere ai dazi americani con dazi europei, perché questi sono più “pesanti” dei primi e possono far “svegliare” l’immobiliarista americano e la cricca di ricchi imprenditori che lo innalzano al cielo.
Bisogna trovare un filo che tenga insieme i Paesi europei, a cominciare dai padri costituenti. Bisogna anche partire da un’altra considerazione: senza lo scudo americano, con la NATO che sarà annullata o svuotata, bisogna costruire una difesa europea. Non si scappa da questa responsabilità. E non partiamo certamente da zero. Anche senza la Nato, l’Europa ha già un proprio sistema, si chiama “The Mutual Defense Clause“, o Articolo 42.7; ha un budget militare combinato che è 2,5 volte superiore a quello della Russia, pur avendo molti meno confini da difendere; può contare su un pool di coscrizione tre volte superiore a quello della Russia, in caso di emergenza. Non contando che se fa entrare nella UE la Turchia avrebbe un esercito decisamente superiore a quello russo.
Il realismo impone una precisazione: più che a problemi materiali, siamo di fronte a un ostacolo culturale: l’incompatibilità fra le nostre emergenze di sicurezza e la mentalità di popolazioni che da tre generazioni hanno introiettato la certezza che la guerra in Europa fosse stata abolita. Dobbiamo costruire una nuova Europa. Più consapevole.
Solo questo può permettere all’UE di superare il gap che attualmente la separa dai due contendenti principali, essere ascoltata e incidere sulle decisioni mondiali politiche riguardanti il clima, l’energia, le migrazioni, la crescita economica più equa, la sicurezza, la difesa, la pace. In poche parole per consentirsi di continuare a vivere in modo libero e indipendente. Se l’Europa fosse finalmente capace di provvedere a se stessa non solo nella produzione dei formaggi e delle cravatte, anche nella difesa del proprio territorio, cambierebbero, in meglio, molte cose.
L’Europa deve ricordarsi di essere la terza economia mondiale e il più grande grande mercato di libero scambio del mondo, ricco di imprese e università. Siamo fra i più grandi risparmiatori del mondo. L’Unione Europea è non è certo “nata per truffare gli Stati Uniti”, è stata la culla di movimenti letterari, culturali e artistici nei quali si è abbeverato il mondo intero: Umanesimo, Rinascimento, Illuminismo, Romanticismo, Manierismo, Realismo, Impressionismo, Gotico, Barocco, Cubismo e altri.
L’Europa deve ricordare ciò e comportarsi senza soggezione. Deve farlo senza rinnegare l’appartenenza atlantica, ma difendendo la propria dignità di continente antico che ha scritto pagine gloriose della storia del Mondo. Lo deve fare mostrando di non avere paura della raffica quotidiana delle roboanti dichiarazioni di Trump che spiazzano gli equilibri globali con un totale sprezzo per il galateo diplomatico. Perché, come ricordava il leggendario Mike Tyson, “Tutti hanno un piano finché non ricevono un pugno in faccia.” Da dove arriverà il pugno a Trump, ammesso che ne arrivi uno? Per ora, i leader internazionali si muovono con cautela per evitare collisioni frontali. E fanno bene a comportarsi così. Tuttavia, anche i pugili più audaci hanno punti deboli. E il fulvo pugile americano presto si ritroverà a fare i conti con il malcontento sociale che monta nel suo stesso Paese tra chi si sente tradito dalla crescente inflazione e dalla perdita del posto di lavoro.
Nonostante le provocazioni di Trump, ci piace pensare che ci sia ancora spazio per una soluzione negoziata, senza disconoscere che, tuttavia, la strada verso una riconciliazione appare in salita perché il tycoon americano ha disinvoltamente toccato corde profonde nel sentimento nazionale di un numero crescente di Paesi. Trump ha una visione del mondo più da imprenditore senza scrupoli che da statista. Lo ha dimostrato con il Canale di Panama, con la Groenlandia, con il Canada, con Gaza. L’arroganza americana si è spinta fino al punto da chiedere ai fornitori iberici di firmare una certificazione “anti-woke”, un documento che attesti che le imprese non applicano politiche interne di “diversità e inclusione” e di sostegno alla lotta alle discriminazioni.
L’Europa ispiri la propria azione alla Locuzione latina gutta cavat lapidem, letteralmente “la goccia perfora la pietra”; una locuzione che vale come esortazione pedagogica per ricordare che con una ferrea volontà si possono conseguire obiettivi altrimenti impossibili, ma può alludere anche al danno derivato da un’azione banale, ma prolungata. L’Europa può farcela e dare un grande contributo alla nascita di un nuovo mondo multipolare, ma deve agire bene, non ad mentula canis.
Articolo 42.7 del trattato di Lisbona, approvato nel 2007 e in vigore dal 2009: “se un paese dell’UE è vittima di un’aggressione armata sul suo territorio, gli altri paesi dell’UE hanno l’obbligo di aiutarlo e assisterlo con tutti i mezzi in loro potere”.
Mario Grasso