Il 22 dicembre scorso avevo pubblicato un editoriale sul rapper (o trapper) romano Nicolò Rapisarda, in arte Tony Effe, che era stato escluso dal concertone romano di Capodanno per la presunta violenza e misoginia dei suoi testi. A pochi giorni dal Festival di Sanremo, dove l’artista partecipa, il dibattito è ripreso. Qui di seguito pubblichiamo un intervento sul tema di Claudio Zucchellini, che risponde all’editoriale. Per agevolare il lettore, ripubblichiamo il mio intervento

Milo Goj

 

Ho letto con interesse l’articolo del nostro Direttore. Confesso di conoscere solo sommariamente i fatti. Non avevo dato grande importanza alla questione. Non so praticamente nulla del protagonista. Non è tra le mie priorità attuali occuparmene. Però ricordo un aneddoto emerso in una lezione di filosofia.

Emmanuel Kant, filosofo dell’illuminismo, si insomma quello con la cui passeggiata regolavano l’orologio di Koenigsberg, la sua città, quello che durante la lezione rimaneva turbato dal bottone fissato male sulla giacca dello studente in prima fila e che costituisce un pilastro della filosofia occidentale (rileggere “Per una pace perpetua”), amava avere ospiti a pranzo. Faceva onore al vino di Borgogna (l’unica cosa che di lui posso dire di aver compreso fino in fondo: prediligere il pinot nero ai tagli bordolesi) ed era ospitale ed un affabile conversatore. Un giorno un nobile francese dichiarandosi suo grande ammiratore chiese di poterlo incontrare.

Kant lo invita a pranzo. Il nobile, fuggito dalla Francia rivoluzionaria, sparla della rivoluzione. Kant lo fa accompagnare alla porta: “in casa mia non si parla male della rivoluzione francese”. Voglio dire: stralciare dal concerto quel cantante per i contenuti violenti e sessisti delle sue canzoni è un attentato alla libertà di espressione? “Dipende”. Da chi è il padrone di casa. Se è un privato è solo questione di gusti. Se è un soggetto pubblico è questione di scelte. Di scelte di messaggi.

Conformi o non conformi ai principi fondativi della nostra Repubblica, della nostra società che dovrebbe essere più “comunità”. Cantino tutti quello che gli pare, donne troie da menare e guidare a fari spenti nella notte: io non li ascolto né li canto di certo. Il soggetto pubblico che però ha tra le proprie funzioni la promozione della cultura si è posto il problema e bene ha fatto. Altra cosa sarebbe stata stralciare (per intendersi) un artista dai contenuti pur discutibili ma volti magari, anche in modo provocatorio, a perseguire i principi fondamentali del nostro ordinamento come la libertà e l’uguaglianza, la solidarietà che significa anzitutto rispetto, la dignità e il lavoro, l’impegno per migliorare la comunità, e sono arrivato solo all’articolo 4 della Costituzione …

Non ridere, lettore. Non è “una pippa”. Pensaci su. Comunque, per concludere, trovo più profondamente negativo il “lei vive per me” di “Non è Francesca” che “guidare a fari spenti nella notte”. “Non è Francesca” (altro “capolavoro”, del duo Mogol – Battisti) rappresenta la quintessenza del tarlo profondo che costituisce la molla della violenza di genere.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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