L’affascinante articolo di Claudio Zucchellini riporta l’attenzione sui grandi testi dei nostri cantautori impegnati. Sempre sui testi di un cantante si è aperto in questi giorni un dibattito feroce. Il rapper (o trapper) romano Nicolò Rapisarda, in arte Tony Effe, è stato escluso dal Concerto di Capodanno al Circo Massimo per la violenza, soprattutto in chiave misogina dei suoi brani, dove la donna sarebbe vista come oggetto sessuale, subordinata al potere maschile.
Se alcuni cantanti, primo tra tutti Vasco Rossi, hanno manifestato solidarietà al loro collega, sul web l’artista è stato sottoposto a un autentico linciaggio. Personalmente, come sanno i lettori de L’Incontro, sono contrario a ogni forma di censura. A maggior ragione nelle espressioni artistiche (non importa se di arte visiva, musicale o altro) che dovrebbero godere di una zona franca. I testi mi possono fare ribrezzo, ma temo di più la deriva censoria che sta caratterizzando, non solo in Italia, questo periodo.
Mi chiedo perché a Gli Incesti, autori della hit del 1978 “Punk Rock”, non venne riservata una simile lapidazione virtuale. Eppure il brano non era certo meno violento nei confronti delle donne di quelli di Tony Effe. Tra l’altro, diceva: “(Voce maschile) Se non la pianti ti mando a cagare! Ti rompo la testa, ti spacco le ossa! Ba din din bum ba, bim bidi bu! Ora ti prendo!… Ti tengo stretta alla catena! Ti giro di qua, ti giro di là! (Voce femminile) È questo che aspetto, lo fai o non lo fai?”.
Insomma, più che i testi in sé, sembra cambiata l’aria, in senso repressivo. Oltretutto il rap nasce nei ghetti americani come espressione di protesta violenta. I brani sono conditi da espressioni non certo politically correct. Soprattutto nei confronti della polizia, ma anche dei rapporti sessuali. È naturale che il rap “bianco” segua le orme del modello originario. In particolare il rap più violento e più di successo veniva a volte chiamato “ganga rap” e il gruppo di cui faceva parte Tony Effe, prima di mettersi in proprio si chiamava proprio Dark Polo Gang, con un esplicito riferimento “culturale”.
Giocando un po’ sul paradosso e sulla suggestione si possono ricordare successi memorabili i cui testi non venivano (quasi) mai contestati, nonostante potessero apparire decisamente riprovevoli. Il Maestro Giulio Rapetti Mogol (che reputo un poeta degno del Premio Nobel), nella celeberrima “Emozioni” scriveva: “E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere, se poi è tanto difficile morire”.
Se i testi di Tony Effe potrebbero spingere i giovani a trattare senza rispetto le donne, le parole di Mogol che effetto avrebbero potuto avere? E come scordare hit planetarie che invitavano al consumo di droga, come “Cocaine” dell’impareggiabile “Slow hand” Eric Clapton. Che, come Bob Marley in “I shot the sheriff” inneggiava a chi sparava alle forze dell’ordine. Insomma, dato che testi portatori di messaggi discutibili venivano osannati qualcuno potrebbe ipotizzare, che l’esclusione di Tony Effe dal concertone romano rappresenti un ulteriore giro di vite contro la libertà d’espressione più che una giusta difesa della dignità delle donne.
Milo Goj