Ci sono pochi dubbi sul fatto che le recenti Olimpiadi di Parigi siano state le più politicizzate, o, meglio, ideologiche, da quelle di Messico 1968, quando Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente medaglia d’oro e di bronzo nei 200 metri piani, salutarono con un pugno chiuso guantato di nero, durante la premiazione, per protestare contro la vergognosa discriminazione razziale presente nella più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti.
In Francia, gli organizzatori hanno enfatizzato “l’inclusione”, soffermandosi in particolare su quella sessuale. Sin dalla cerimonia d’apertura, culminata con la discussa rappresentazione dell’Ultima cena (Ndr: anche se il riferimento al capolavoro di Leonardo è stato smentito ufficialmente, molti spettatori e diversi media lo hanno colto, il che, almeno a livello di analisi semiotica, è quello che conta) in Francia si è voluto sdoganare, per non dire esaltare, la cultura gender, o, secondo altri punti di vista, LGBTQ.
In tutto questo, personalmente, ho trovato diverse contraddizioni nel caso più mediatizzato dei giochi, quello della pugile (o pugilatrice?) Imane Khelif, la cui appartenenza biologica al genere femminile è stata oggetto di dibattito. Contrariamente al mio solito, questa volta prendo una posizione: a mio avviso solo una donna vera (non voglio offendere nessuno, per donna vera intendo una donna biologicamente come le nostre mamme), può gareggiare in una competizione femminile. Questo proprio a favore delle donne. Perché la superiorità maschile nello sport è netta ed evidente. Sfido chiunque a smentirmi. Cito alcuni esempi a caso.
Il record del mondo maschile nei 100 metri piani è 9”58, quello femminile 10”49. Cambiando distanza, il record maschile nei 1.500 metri è 3’26”00, quello femminile 3’49”11. Nel getto del peso, anche se la sfera lanciata degli uomini supera 7 chili, contro i 4 di quella delle donne, i primi sono arrivati a 23,56 metri, le seconde a 22,63. Passando al nuoto, il record maschile sui 100 metri stile libero è 46”40, quello femminile 51”71. In bicicletta il record dell’ora maschile è di 56,792 km, quello femminile si ferma a quota 50,267.
La superiorità maschile appare indiscutibile anche in discipline in cui agli aspetti fisici/muscolari si abbinano a quelli tecnici (anzi, questi ultimi sono prevalenti) come il tennis. Nel 1998 Serena Williams, all’epoca assoluta dominatrice del circuito, dichiarò di riuscire a sconfiggere un uomo la cui classifica fosse più bassa della 200esima posizione. La sfida venne raccolta dal 203esimo, Karsten Braasch, che sconfisse agevolmente sia Serena, sia sua sorella Venus. Provocatoriamente, il tennista fumava tra un game e l’altro.
È chiaro quindi che se Khelif fosse originariamente un uomo o comunque avesse caratteristiche “biologiche” (qualcuno parla della Sindrome di Morris) maschili, godrebbe di vantaggi competitivi inaccettabili nel combattere contro donne “come le nostre mamme”. Quello che mi sorprende o, meglio, mi colpisce è che si sono formati due schieramenti cui è stata data una connotazione esclusivamente politica/ideologica. Al posto di andare a fondo sulla verità scientifica del sesso biologico di Imane, richiedendo i dovuti esami (troppe voci si sono rincorse, personalmente io non ho idea su quale sia la situazione “oggettiva”) sono fioccate le immancabili accuse di fascismo. Scrive ad esempio l’apprezzato citizen Luigi Denegri sulla sua pagina FB (riprendendo Ettore Ferrini): “Quella nella foto è Charlize Theron, il suo cromosoma 46 è XY. Quindi per i fascisti è un uomo”.
Insomma, la questione da scientifica è diventata politica. Chi contesta l’idoneità di Imane a combattere è un fascista, o almeno un salviniano, un putiniano, un trumpiano (non ho letto riferimenti a Kim Jong-un, ma non me ne stupirei). Mentre le élite, pressoché compatte, sbandierano la woke culture ed esultano per la vittoria di Khelif. Insomma, sembra di essere tornati negli anni 70, quando ci si chiedeva se fosse più di sinistra la doccia o la vasca da bagno, il mare o la montagna. C’è poi un ulteriore aspetto che considero un ossimoro concettuale. Il mondo LGBTQ tifa compatto per Imane, affermando (non mi è chiaro su quali documenti scientifici) che è biologicamente donna e che può combattere.
Ma questo mondo ha tra i suoi cavalli di battagli il concetto che “il sesso non è quello biologico, ma quello cui una persona sente di appartenere”. Quindi non dovrebbe argomentare: “Khelif può combattere con le donne perché è donna biologica”, bensì: “può combattere perché si sente donna, quindi è donna”. Ma forse è un mio limite. Qualcosa mi sfugge. Sarei grato ai lettori che volessero illuminarmi.
Milo Goj