Negli ultimi anni ci siamo ripetutamente chiesti a cosa servisse ancora l’Onu. L’elefantiaco ente internazionale che, per la verità storica, per oltre quarant’anni, durante la Guerra Fredda, ha svolto egregiamente il suo ruolo di pompiere nel mondo per monitorare, gestire e spegnere gli incendi dei vari conflitti locali che, qua e là, scoppiavano sulla cartina geografica, scatenando crisi che potevano ogni volta far temere l’intervento dei due grandi nemici, l’America e l’Unione Sovietica, con il loro terrificante armamento nucleare.

Noi italiani abbiamo sempre dato il nostro contributo, sacrificando, come in Congo negli anni ’60 (l’11 novembre 1961, 13 aviatori italiani inquadrati in un reparto delle Nazioni Unite furono massacrati a Kindù, nel Congo ex belga. Da quel giorno, tra l’altro, la cravatta degli assistenti di volo dell’allora Alitalia, oggi ITA, sarebbe stata sempre e doverosamente nera, in segno di lutto e di memoria di quell’eccidio), noi italiani, dicevamo, abbiamo anche sacrificato i nostri soldati per la pace in quel disastrato continente.

Detto ciò, negli ultimi 25-30 anni il Palazzo di Vetro è diventato un gigante dai piedi di argilla. Una mastodontica macchina burocratica per la pace ma in realtà, spesso e volentieri bloccata dall’esercizio del diritto di veto spettante singolarmente alle cinque potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Ma non solo: anche dall’ignavia dei suoi Segretari Generali ormai appiattiti, quasi bovinamente, su un fastidioso ruolo di “urlatori” della pace piuttosto che non di gendarmi contro la guerra, come era scritto nella Carta istitutiva delle Nazioni Unite.

Come dare torto quindi a Carlo Pannella che in questi giorni ha scritto che sotto i nostri occhi si sta verificando uno dei più grandi fallimenti delle Nazioni Unite nella sua pluriennale storia. La missione Unifil, costata centinaia di milioni di euro, da 18 anni presidia il territorio libanese proprio nell’ottica di un disarmo di quei territori, un disarmo prodromico al riaccendersi di nuovi e devastanti conflitti fra gli Hezbollah e Israele.

Ebbene, in tutto questo periodo di tempo, dal 2006 a oggi, le forze dell’Onu e cioè il nostro contingente sul posto, hanno sì fatto da cuscinetto tra i due eserciti in conflitto, ma non hanno raggiunto il vero scopo della loro missione e cioè quello di pacificare, anche con la forza, quel confine infuocato. La risoluzione 1701 delle Nazioni Unite è stata totalmente disattesa: Hezbollah ha moltiplicato per cento i suoi effettivi e per mille il suo arsenale missilistico supportato con continuità da Teheran.

In questi 18 anni è difficile tenere una contabilità di quante siano state le aggressioni di Hezbollah contro Israele, ma nulla in concreto è stato fatto dall’Onu per evitare quello che sta drammaticamente succedendo in queste ore in quei territori: il nostro contingente, impossibilitato ad intervenire, è sorvolato continuamente, quasi fosse una beffa, da decine e decine di droni e di missili iraniani lanciati verso il territorio israeliano. Insomma, un ruolo da spettatore e non da protagonista!

Ma cosa è successo in tutti questi anni? Dal luglio 2006 proprio in esecuzione della richiamata risoluzione 1701 dell’Onu, il contingente militare Unifil, forte di circa 1500 uomini, forniti sostanzialmente dalle nostre Forze Armate, è installato nel sud del Libano. Il suo compito, come detto, è quello di affiancare l’esercito libanese nell’opera di disarmo di Hezbollah.

Proprio questa fu la condizione posta da Tel Aviv, in quell’infuocato 2006, per porre fine alle sue operazioni militari sul territorio libanese, iniziate qualche settimana prima proprio come rappresaglia alle continue aggressioni dei miliziani di Hezbollah. Si immaginava l’istituzione nella zona compresa tra la Linea Blu e il fiume Litani di un’area priva di personale armato e di postazioni fortificate, al di fuori di quelle dell’esercito libanese o delle forze dell’Unifil.

Insomma, bisognava pacificare quel territorio disarmando tutti i gruppi armati operanti in Libano al di fuori dell’esercito regolare di Beirut. Se è vero che i nostri Caschi Blu hanno fatto del loro meglio per ridurre i conflitti tra i due confinanti, la missione è stata ed è un vero fallimento. Un disastro – come sottolinea in modo spietato Carlo Pannella – che “coinvolge in pieno l’Italia che per 18 anni ha avuto governi di tutti i tipi, di sinistra, di destra e tecnici che non hanno avuto la capacità e la forza di battere i pugni sul tavolo a New York per impedire che continuasse una costosissima operazione Unifil che è servita solo a coprire le azioni aggressive di Hezbollah”.

Quando Gutierrez, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, lamenta una partecipazione non così appassionata di molti stati membri alle iniziative attuali dell’Onu, dovrebbe guardarsi di più allo specchio e mettersi al lavoro perché ormai di tempo non ne ha più tanto per immaginare una nuova governance e una diversa efficienza ed efficacia di quell’ente sovranazionale sognato da Franklin Delano Roosevelt per valorizzare, da un lato, l’esperienza negativa della Società delle Nazioni, ma dall’altro reinventandosi un modello di un gendarme della pace nel mondo come l’Onu.

Il conto alla rovescia della fine di queste Nazioni Unite è ormai cominciato… Si facciano avanti “i costruttori” con dei concreti progetti di riforma. Ora o mai più!

Euro

Euro

Con lo pseudonimo Euro, si firma uno studioso italiano, apprezzato per la sua competenza nella politica internazionale, oltre che nelle questioni economiche e di diritto riguardanti l'Unione Europea

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