Andrea Di Consoli è un uomo ancora giovane, per l’età che ha, 48 anni, potrebbe addirittura essermi figlio. Eppure, a leggere il suo bellissimo, poetico libro, per essere della poesia in forma di prosa, dal bellissimo titolo “Dimenticami dopodomani”, edito da Rubettino, sembrerebbe scritto da un uomo anziano, per quella presenza incombente della morte, subito dietro la porta dei pensieri e delle piccole storie che sa, straordinariamente, cogliere. Tutto nasce dalla sua (congenita?) ipocondria che, però, al pari di un Seneca del ventunesimo secolo, si traduce in saggezza, ottimismo, generosità, disponibilità alla vita, all’amicizia, all’amore, agli altri.
Apro a caso, nel vero senso della parola, e trovo questi versi:
C’è un momento della vita che è atroce e meraviglioso
allo stesso tempo;
e nonostante sia estremamente difficile, non me ne sono
mai voluto privare
– e forse, alla mia età, dovrei anche un po’ temerlo quel
momento.
É ricominciare.
É scendere a una nuova fermata della metropolitana
e, improvvisamente, non avere più le abitudini a cui ti eri
affezionato, quella voce che ti parlava, una direzione, un
certo modo di salire le scale, o di risvegliarti.
Un giorno, di colpo, cambia tutto
– il modo di addormentarti,
di guardare la televisione,
di riempire i vuoti che hai davanti.
Cambia la casa.
Cambia chi ami – o semplicemente, non ami più nessuno.
Cambia il tipo di lavatrice che devi usare.
É atroce, ma anche meraviglioso.
La poesia continua, un inno al cambiamento, senza una mèta. Più avanti, la stessa poesia dice:
“Mi piace dire a chi guida: ’Fermati, fammi scendere, è
meglio se scendo’.
E non sapere dove andare.”
Ecco, la sua vita sembrerebbe un girovagare nel vuoto, di cui resterebbe solo il girovagare, ma non è così, perché di quel “vuoto” apparente Andrea Di Consoli riesce sempre a riempirlo, e a farne letteratura, che costituisce il centro di tutto. Ha 48 anni, ma la sua vita non è mai stata uguale: nato in Svizzera, da emigrati lucani, dall’età di 11 anni ha vissuto in Lucania, per poi trasferirsi a 20 anni a Roma e studiare a La Sapienza. Per mantenersi ha fatto il cameriere e altri lavori precari. La scrittura, innanzitutto. E, infatti, ha scritto non pochi libri.
Il primo, “Discoteca”, è del 2003, un libro di poesia a cui hanno fatto seguito altre raccolte di versi, romanzi, libri d’inchiesta come “La misteriosa morte dei fidanzatini di Policoro”, edita da Marsilio nel 2010 e altri, il più delle volte legati alla sua Lucania o, comunque, sullo sfondo, nei risvolti, nell’anima, sempre la sua Lucania, un amore nonostante talvolta si rivesta di odio, che è proprio per il troppo amore per quella terra. E mentre scriveva quei libri, faceva altro.
Quando io l’ho conosciuto, una quindicina di anni fa, era direttore editoriale di una casa editrice, e autore televisivo, attività che continua a portare avanti con successo, poi uomo di cinema, autore di documentari come “Mater Matera” e del soggetto e sceneggiatura del film di Simone Aleandri, con Ambra Angiolini “La notte più lunga dell’anno”.
A una sua idea devo anche la realizzazione del film, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema “Hotel Sarajevo”, del quale sono stato uno degli autori, tutte attività che lui accompagna con quella di editorialista principalmente de “Il mattino” di Napoli, e la notte, spesso come commentatore Rai dei titoli dei quotidiani che troveremo al mattino in edicola.
Questo è il “vuoto” che Andrea Di Consoli riempie sempre con la sua intelligenza e sensibilità, con la sua scrittura rabdomantica che incanta, che apre in noi lettori vibrazioni profonde, corsi d’acqua sorgiva, che ti spingono ad andare avanti nella lettura dei suoi libri.
Come in “Dimenticami dopodomani”: leggi e a ogni pagina ti dici “ancora una pagina”. Eppure, potresti chiudere il libro in qualsiasi momento, conclusa com’è in sé stessa ogni pagina, che non ha neppure titolo, scritta quasi per caso: quel ricordo improvviso, quell’incontro, quel viaggio, quella riflessione… Che cosa ti spinge ad andare avanti nella lettura come se ti trovassi a leggere un libro giallo di cui vuoi sapere come va a finire? Poi scoprì che è la forza della parola a trascinarti.
Come ha scritto Mario Desiati nella prefazione: “Questo libro è prosa che recita la disinvoltura dei poeti orali, e che invece tradisce chi ha maneggiato la prosa d’arte, le scritture che hanno sembianze d’un viaggio sotto il pelo dell’acqua, s’uncinano al pensiero di chi pensa, versi affollati di immagini e ricordi da cui si prende fiato dopo aver nuotato con ampie bracciate. La poesia è una questione di respiro ed è tutto, dove e quando nuotando si fa affiorare la bocca e il naso dall’acqua”.
Certo, non ti abbandona la sensazione che il mare in cui nuota Andrea sia quello di una saggezza antica – forse quella che ha ricevuto dai contadini e pastori della sua terra – e sulla quale aleggia un’aria di fatalismo e di malinconica tristezza che, però, demorde, si spegne, al cospetto dell’ottimismo di fondo, anzi della felicità, che nutre la sua vita, e insegna agli altri, senza porsi come Maestro, ma compagno di strada.
Lo dice bene in uno dei suoi ultimi versi del libro, in cui dichiara la sua felicità – “anche se non ho ancora capito cos’è la felicità” – nonostante gli amici gli chiedano sempre perché è così triste, così pessimista. E lui, ricordando che “nelle nostre contrade il dolore ha mille parole, invece la felicità nemmeno una”, risponde:
“So che è assurdo immaginarmi felice nella disperazione, ma questo contatto con la morte rende tutto più necessario
– gli abbracci più intensi,
più urgenti le parole,
più viva la fraternità di sapersi nella stessa corrente.
I sentimenti più nobili li crea proprio la morte.
La chiamano tristezza, disperazione, depressione.
Io, invece, la chiamo felicità,
anche se nessuno si capacita di questa cosa”.
Andrea Di Consoli, Dimenticami dopodomani, Rubettino, pag. 201, €. 16,00
Diego Zandel