“Mantenere durante tutta l’esistenza le energie della gioventù’, l’ardore dei sentimenti, la fame di vita del cuore e del cervello. Questo è ciò’ che desidero per gli uomini” ( Serge Voronoff ) Chirurgo di fama mondiale, ebreo franco-russo, uomo tra i piu’ famosi del pianeta negli anni 20’ e 30’ del Novecento, Voronoff è stato un vero e proprio Dr. Frankenstein dei suoi tempi. La villa in cui abitò al confine tra Italia e Francia aveva 2 cancelli di ingresso, uno in territorio italiano e uno in quello francese, e lui usciva e rientrava a piacimento, di qua e di là del confine senza alcun controllo.

Metafora puntuale della sua esistenza. Godeva di una fama internazionale spropositata. È stato acclamato come grande e visionario scienziato ed ha mancato per un soffio il Nobel per la Medicina. Era un protagonista del jet-set di quegli anni. Ha scoperto il segreto dell’immortalità – che ha preferito non condividere con i comuni mortali – e si sta godendo anonimamente la sua eternità a pochi metri da Chateau Grimaldi, la sua antica dimora. Il suo segreto è ben custodito e abbiamo avuto in esclusiva la fortuna di intervistarlo.

Incontriamo Serge sul fare della sera a Grimaldi Superiore dove vive adesso, sotto le mentite spoglie di un professore di francese. Oggi ha le sembianze di un uomo di 73 anni e si premura di ricordare che fa bagni tutto l’anno nelle acque amiche del Mediterraneo, proprio sotto Chateau Grimaldi. Ecco il resoconto di una piacevole serata.

1-Si presenti dottor Voronoff… come vorrebbe essere ricordato ?

Ho dovuto combattere contro la povertà e l’antisemitismo e ce l’ho fatta, grazie al mio senso degli affari, alla capacità di far puntare i riflettori mediatici sulla mia persona e alle mie ricerche scientifiche (rimarginazione rapida delle piaghe, trapianti di organi di scimmia sull’uomo e lotta contro il cancro). Non ho avuto il Nobel cui aspiravo, ma la mia vita è stata un successo.

2- Un ricordo dell’hôtel de Paris e del Casinò di Montecarlo.

Quando, dopo la maturità, lasciai la Russia e mi recai a Parigi soffrii il freddo e la fame. Non appena divenni, ricco grazie al vitalizio lasciatomi dalla mia defunta seconda moglie, la petroliera americana Evelyn, ne approfittai senza esitare: lascia il mio pur lussuoso appartamento dell’avenue Kléber e mi trasferii in una suite del Claridge, un hôtel di lusso il quale, in quanto a confort e cucina, mirava alla perfezione. Desiderai comunque che il mio personale privato (segretario, autista e cameriere) restasse a portata di mano e decisi di riservar loro tre stanze dello stesso albergo. Questo avveniva negli anni 1920. L’hôtel de Paris arrivò venti anni dopo, appena finita la guerra.

La mia villa era stata distrutta e con mia moglie Gerty (la terza, che aveva 48 anni meno di me!) decidemmo di alloggiarvi. Molto lusso anche lì, ma, dati i tempi, meno verve. Vi conoscemmo un matto geniale, il pittore Francis Bacon, con cui andavamo quotidianamente al vicino Casinò: tutti e tre avevamo la passione dell’azzardo.

3- Villa Hanbury, come erano i suoi rapporti con loro? 

Scarsi e formali. Erano quaccheri piuttosto severi. Si interessavano più della vita delle piante che di quella degli uomini.

4-Una partita a tennis che vuole ricordare?

Una con la nostra amica il soprano Lily Pons. Possediamo una lagotrice amazzonica, una scimmietta bonacciona che vive nel parco in libertà. Mentre giocavamo, ci osservava divertita. A un certo punto, prese a correre verso la Pons che, in preda al panico, buttò la racchetta in aria e corse precipitosamente tra le mie braccia. I giornali si divisero in due partiti: quelli secondo cui la povera scimmietta avesse aggredito con cattiveria il soprano e quelli che invece parlarono del tentativo di dare un bacio alla bella donna.

5- Come andò quella sera a cena con Pastonchi? (ndr. Francesco Pastonchi è stato un poeta e critico letterario italiano)

Conoscevo bene il “poeta con la gardenia all’occhiello” che animava i Lunedì letterari del Casinò di Sanremo. Voleva che gli facessi conoscere Diaghilev, il creatore dei famosi balletti russi che in quei mesi si trovava a Monte Carlo. Lo invitai a pranzo e feci sedere i due uno davanti all’altro. Fu un pranzo cosmopolita e molto elegante, con gioielli e décoltés. Gli ospiti superarono la ventina. Fummo serviti da camerieri di colore in livrea che – così dissi – non disdegnavano l’antropofagia.

Gli arazzi e i tappeti che arredavano la sala furono molto apprezzati. La visita all’allevamento delle scimmie fece nascere molti “Oh!” di stupore e di ammirazione. Regalai a Pastonchi una copia dell’appena uscito mio volume La conquête de la vie. Gli fece una più che gradita pubblicità.

6- Una festa, un party nella sua villa sulla riviera, a Château Grimaldi, uno dei tanti…

Non dimenticherò mai quella organizzata nel ferragosto del 1938. A Ventimiglia languivano molti ebrei che fuggivano i paesi in cui Hitler aveva preso il potere e che cercavano la salvezza in Francia. La frontiera era, però, chiusa. Riuscivano a mangiare perché un parroco faceva loro un po’ di carità. Ne invitai a cena una trentina, scegliendo i più colti (medici, avvocati, professori) e, assieme a essi, le autorità politiche della città di confine: la conoscenza è il miglior antidoto contro il razzismo.

I fascisti mi erano amici perché “fieri che un grande scienziato avesse scelto di vivere in Riviera”. Feci disporre i tavoli tra gli alberi del giardino sui quali erano stati posti mille palloncini colorati. Ci divertimmo e, nello stesso tempo, ci commovemmo molto. Una settimana dopo, l’inviato della Stampa pubblicò un velenosissimo articolo contro di me e gli ebrei “accampati” in Riviera. Le leggi razziali erano alle porte. Io sarò espulso dall’Italia e due miei fratelli morranno ad Auschwitz.

7- Dopo la guerra ha abitato a Bordighera, ci racconti di quel periodo in Arziglia

La mia villa era stata distrutta da incendi e bombardamenti. Dopo l’hôtel de Paris, in attesa della ricostruzione, decidemmo di prendere in affitto una graziosa villa nella tranquilla periferia di Bordighera. Calme, luxe et volupté, oserei dire. Fummo presentati ad Evita Peron, in occasione della sua visita in città. Mentre le baciavo la mano, mi disse era felice di conoscermi di persona, domo i tanti anni che aveva sentito parlare di me. Evita era bellissima, ma meno bella della mia Gerty, come tutto notarono. Spesso e volentieri, ci recavamo al vicino Casinò di Sanremo; meno mondano, ma più caloroso di quello di Monte Carlo.

I lavori finirono dopo due anni. Il bordigotto ingegner Winter mi presentò una parcella di 841.625 lire, una cifra di ben dodici volte superiore a quanto fossi disposto a pagare. L’ingegnere, infatti, era andato ben al di là dei lavori che gli avevo commissionato e che avrebbero dovuto limitarsi alle opere murarie. In mancanza di documenti scritti, il Tribunale di Sanremo, chiamato a giudicare l’affaire, doveva dare credito alla parola di Winter o alla mia. Chi la spuntò? Ma il “grande scienziato internazionale”, naturalmente. Una piccola soddisfazione, inutile nasconderlo.

7a-La donna che ha amato di più, lei è stato un grande seduttore si dice…

Gerty, senza alcun dubbio. Il nostro matrimonio è stato uno dei miei capolavori, e non dei meno importanti. Arrivati a Parigi, dopo la luna di miele, entrò in depressione, si ingozzava di cioccolatini e non voleva uscire di casa; per nessun motivo. Ci sono voluti alcuni mesi, ma sono riuscito a farne una donna felice. Gerty non mi ha dato figli, ma è stata lei la mia figlia, oltre che moglie affettuosa e fedele amante. L’amore sa fare miracoli quanto e più delle ghiandole endocrine che ho trapiantato.

Ps grazie a Enzo Barnabà studioso e storico, autore tra gli altri de: « Il sogno dell’eterna giovinezza – Vita e misteri di Serge Voronoff » ( Infinito edizioni), che gentilmente si è prestato a dar voce allo scienziato in questa intervista

Eraldo Mussa

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