In occasione della celebrazione della Giornata Internazionale della Donna – con la precisazione, in primis, che la ricorrenza non è propriamente una “festa” bensì il ricordo di lavoratrici morte a causa di un incendio in un opificio tessile di New York nel 1908 – il Museo del Risparmio di Torino ha organizzato un incontro sul tema dell’emancipazione, anche economica, della donna attraverso il cinema, da sempre specchio di vita. Interessante notare la peculiarità del pubblico cinematografico, risalente alle origini dell’urbanizzazione: la maggioranza è costituita da donne! Alle donne piace il cinema (forse più del teatro) perché sognano e si commuovono per le storie d’amore viste sullo schermo, perché talvolta si identificano nelle protagoniste e le prendono a modello da imitare, ma anche perché considerano la sala cinematografica un luogo “sicuro”, dove poter andare con le amiche – ma anche da sole – senza correre rischi!

Sin dai suoi esordi, a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, nel cinema la figura femminile ha rivestito ruoli lavorativi, non solo come attrice, ma anche, se pur a livello di eccezione, come sceneggiatrice o regista (la francese Alice Guy è stata la prima regista cinematografica donna seguita l’italiana Elvira Notari, fondatrice, con il marito, della Dora film nel 1906). Ciò che è importante sottolineare è il fatto che, già nel primo cinema mutuo, la figura femminile ha comunque inviato messaggi significativi di desiderio di cambiamento e ha contribuito in maniera significativa all’elaborazione del concetto di emancipazione femminile, in un contesto di importanti cambiamenti economici e sociali.

Un esempio può essere il film “L’angelo del focolare” (1925) del regista danese Dreyer, che, nonostante il titolo un po’ retorico, è considerato un classico, quasi un manuale, nell’innescare la scintilla dell’emancipazione femminile, intesa come coraggio di cambiamento in meglio. Purtroppo, è necessario osservare che, quanto documentato nel film, non corrisponde a realtà neppure nella civilissima Danimarca dell’epoca. Anche in Metropolis, film tedesco dello stesso anno, viene riproposta la figura femminile bivalente in fase di evoluzione: la donna da un lato accudente (come insegnante) ma dall’altro determinata e rivoluzionaria.

Negli anni ’20 del secolo scorso viene concesso in Usa, con largo anticipo rispetto al nostro Paese, il voto alle donne e il cinema, sull’ onda della modernità, diventa “maturo”: con l’avvento del montaggio prima e del sonoro poi, è ora in grado di creare storie e non solo più di filmare. Tuttavia, le grandi case produttrici americane, lusingate dai facili e buoni incassi, sono gestite principalmente da uomini e pure la stampa dell’epoca tende a screditare il lavoro delle donne nel cinema.

Nel 1939 esce negli Stati Uniti d’America il famosissimo film di FlemingVia col Vento”, che riesce ancora oggi ad appassionare con le vivaci e ancora moderne figure femminili, pur diverse tra loro, di Rossella e di Melania: nelle donne nasce la volontà che le rende “eroine”, quando necessario. La celebre chiosa di Rossella O’Hara “domani è un altro giorno” manda un chiaro e coraggioso messaggio di speranza e di cambiamento. Un film “rivoluzionario” dell’universo femminile, seppur non dichiarato apertamente tale. Nello stesso anno in USA esce un film interpretato da sole donne, dal titolo per l’appunto “Donne”, che fotografa un universo femminile che vuole l’emancipazione dai ruoli tradizionali: chi al primo chi addirittura al quinto divorzio, le donne protagoniste (non molto fortunate in amore) non sono più disposte a subire nella loro vita il “dominio” del maschio.

Tornando alla nostra Italia, mentre nel periodo prefascista anche il nostro Paese, nel cinema, cavalca l’onda del cambiamento e della trasformazione internazionale, il ventennio fascista non è un periodo particolarmente favorevole per la storia del cinema, complice la situazione economico sociale non propriamente rosea, di passaggio da una guerra finita al pericolo di una nuova imminente guerra. La donna viene relegata, come attrice, ai ruoli tradizionali di moglie e madre. In quegli anni, la burocrazia e la censura del regime ostacolano la produzione cinematografica, negando, per motivi vari, l’approvazione ad alcuni film (in particolare, guarda caso, quelli che hanno come regista una donna, quale è il caso di Elvira Notari, che in quegli anni finisce la propria carriera di regista). Tale triste periodo della storia italiana viene chiamato, nella storia del cinema, il periodo dei “telefoni bianchi”, per sottolineare la mancanza di impegno cinematografico, con vicende narrate noiose e somiglianti tra loro.

Nel secondo dopoguerra (Via con il vento arriva in Italia solo nel 1951) le cose migliorano e si respira, anche nel cinema, aria di libertà: le donne, soprattutto come attrici,riprendono a rivestire ruoli innovativi. Diventano famose, in indimenticabili pellicole, figure femminili di attrici quale Sofia Loren e Anna Magnani, da sempre in competizione tra loro, in quanto la prima riveste, nell’immaginario collettivo, la figura della donna sensuale mentre l’altra quella della donna intellettuale, seppur in ruoli popolari. La prima è la diva per eccellenza (oggetto del desiderio maschile ma anche femminile, come modello da imitare), mentre la seconda è volutamente l’antidiva. Due figure di donne significative, complementari, ma talvolta in contrasto, in quanto esempi anche di diversi contesti sociali.

Nel celebre film La Ciociara il produttore le avrebbe volute entrambe protagoniste, ma ciò non è stato possibile. Anche nei film western americani, quindi in contesti altamente maschili (dove la pistola è più veloce della ragione), la figura femminile si guadagna il proprio spazio. In Johnny Guitar (1954) di Rey la protagonista è davvero una donna “tosta” da prendere ad esempio, una donna che ha il “comando” della propria vita, compreso quello sentimentale. Alla fine degli anni ‘ 60 e negli anni ’70, la rivolta studentesca influisce sul “clima” della produzione cinematografica: anche con le tematiche più diverse, si avverte comunque e sempre nelle pellicole dell’epoca l’atmosfera della contestazione studentesca (e delle problematiche sociali di quegli anni).

Nel 1984, in Usa, Candida Royal, da ex pornostar diventa la prima donna regista dell’erotico femminile, ma in chiave dichiaratamente femminista: sì alla produzione di erotismo, ma contro lo sfruttamento e contro il patriarcato. Divenuta il simbolo della sensualità femminile, di recente è uscita la sua biografia postuma e i suoi diari sono conservati nella biblioteca dell’Università di Harvard. Negli anni più recenti – dopo l’indimenticabile Thelma e Louise degli anni ‘ 90 tristemente calato nella realtà dove la liberazione diventa anche condanna – si assiste ad una notevole velocità nella produzione delle pellicole cinematografiche e l’ eroina moderna si stacca dalla realtà per proiettarsi nel futuro, in una nuova realtà inventata: la donna è ormai una super donna, una combattente, una soldatessa, una generalessa che viaggia in astronave, preceduta, qualche decennio prima, dalla dolce principessa Leila vestita in lungo di bianco, ma anch’essa già super woman in quanto impegnata a gestire complicati conflitti interplanetari nella famosa saga di Guerre Stellari.

Per concludere, che dire degli ultimi due recentissimi film dal titolo “Povere creature” e “C’è ancora domani” che raccontano, in contesti temporali e sociali diversi storie dell’universo femminile? Il primo, vietato ai minori e in lingua originale (inglese) con sottotitoli, del regista Lanthimos lascia, soprattutto il pubblico femminile, un po’ perplesso: a qualcuna piace del tutto la strana storia quasi surreale e a qualcuna solo in parte. Del resto, è risaputo, il rapporto film – spettatore è sempre molto personale.

La protagonista Bella (interpretata da Emma Stone, vincitrice agli Oscar 2024 quale migliore attrice) è una giovane donna ex suicida riportata in vita da uno scienziato macabro e, da ragazza handicappata (avendo subito il trapianto del cervello di una bimba), maturando, si appassiona – oltre che al sesso – alla filosofia e alla giustizia sociale. Ma soprattutto anela alla libertà, escludendo via via dalla sua vita gli uomini che cercano di negargliela. Alla fine la “povera creatura” si vendica dell’ex marito che l’aveva portata al suicidio e diventa una “bella creatura” (perlomeno secondo la lettura in chiave femminista del film), decidendo di studiare per diventare medico, con la determinazione di raggiungere completamente la propria indipendenza, anche economica, che le garantisca la libertà nelle proprie scelte di vita.

Il secondo, interpretato – e anche diretto – dalla brava Paola Cortellesi è il film italiano più visto degli ultimi mesi. Uno spaccato dell’Italia del secondo dopoguerra, con inserimenti musicali datati e moderni che hanno suggerito alla critica il neologismo di “neorealismo rock and roll”. Delia, la protagonista, è una donna mite, moglie e madre di tre figli, casalinga ma anche rammendatrice di calze e riparatrice di ombrelli, oltre che badante del vecchio suocero malato e infermiera a pagamento per le iniezioni al vicinato.

E’ umiliata, trascurata, maltrattata dal marito e padre “padrone”, figura tipica della società maschilista e patriarcale del dopoguerra, dove è considerato normale che la donna non studi, che guadagni, a parità di lavoro e anche con più esperienza, meno dell’uomo e che rinunci al lavoro fisso fuori casa dopo il matrimonio. Basta guardare la finestra della casa di Delia, in un seminterrato di una casa popolare, per rendersi conto della povertà della famiglia. Povertà comunque dignitosa, seppur anche una povertà di spirito, in particolare per quanto riguarda i protagonisti maschili (marito e suocero). Nonostante il contesto svantaggiato, Delia è intelligente, sensibile ed è anche una donna d’azione, capace di far saltare in aria (con l’aiuto dell’amico militare americano) il bar del fidanzato della figlia, per impedirne il matrimonio, non appena si accorge che il ragazzo, seppur benestante, è troppo possessivo.

Delia è un triste esempio di violenza psicologia, economica e anche talvolta fisica, subita all’interno della famiglia.  Tuttavia, con una piacevole sorpresa di creatività, la scena della sequenza degli schiaffi da parte del marito è magistralmente “alleggerita” dalla regia che la trasforma in un balletto con sottofondo musicale, quasi a significare che la violenza fisica di genere talvolta non è così così slegata dall’amore, ovviamente nella sua declinazione peggiore di possesso e dominio sulla donna. Il titolo del film è il messaggio stesso che intende mandare la protagonista: vi è un domani che si vuole migliore per sé stesse e per i propri figli, figlie femmine in particolare, che non devono ripetere gli sbagli delle madri.

Ma quale è il domani migliore per la povera Delia e per tante donne del nostro secondo dopoguerra? Non fuggire con l’ex fidanzato (come consigliato dall’amica progressista) ma il ricevimento della lettera con la quale le viene comunicata la concessione del voto elettorale! Il 2 e 3 giugno del 1946 tredici milioni di donne – su di un totale di 25 milioni di elettori – si sono recate alle urne, con una percentuale del ben l’89%. Come ricordano quel giorno le nostre madri e le nostre nonne? Lo ricordano con queste parole: “sigillavamo le schede, togliendoci il rossetto, come fossero messaggi d’amore”! Bellissimo ricordo.

Liliana Perrone

Liliana Perrone

Consulente legale di Intesa Sanpaolo

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *