Si intitola “Ancora un momento” (Raffaello Cortina Editore) l’ultimo libro del filosofo e sociologo francese Edgar Morin. A 103 anni sembra quasi che abbia voluto chiedere ancora un “pochino” di tempo per lasciare all’umanità intera alcune pillole di saggezza su un mondo che “sta autodistruggendosi”. L’ho appena terminato e devo ammettere che, ancora una volta, Morin mi ha costretto a muovere i neuroni del mio muscolo celebrale in maniera diversa, più veloce, più attenta a leggere i fenomeni che ci stanno accadendo intorno. Si può più o meno condividere il suo pensiero, ma è un vero peccato, per noi, non conoscerlo.
Morin è molto preciso, preoccupato e attento a suggerirci di cambiare strada, di cambiare vita. Avevo la sensazione che fossimo immersi ormai in una doppia realtà: (i) un contesto esterno, sempre più complicato da capire e sicuramente con le cifre evidenti di un malessere che va via via peggiorando a causa di una redistribuzione del reddito insostenibile e inaccettabile. (ii) Un contesto interno costellato di speranze, angosce, ambizioni e incubi che però è caratterizzato da un richiudersi in sé stessi, negli egoismi dei nostri “laghetti”, nella difesa degli affetti più cari e delle miopie più accentuate.
Edgar Morin mi ha sbattuto in faccia con grande lucidità una fotografia della società che ci siamo costruiti e nella quale ci stiamo anche perdendo. “Siamo in moltissimi – scrive il filosofo francese – anche se dispersi, a sopportare con difficoltà l’egemonia del profitto, del denaro, del calcolo (statistico, di crescita, Pil, sondaggi), che ignora i nostri veri bisogni, come le nostre legittime aspirazioni ad una vita autonoma e al tempo stesso comunitaria”. Il centenario autore francese è spietato nell’analisi del mondo che ci circonda: “Con l’economia globale il profitto è cresciuto oltre misura a detrimento delle solidarietà e delle convivenze; le conquiste sociali sono in parte annullate, la vita urbana si è degradata, i prodotti hanno perso la loro qualità, gli alimenti hanno perso le loro virtù: sapore e gusto”.
Morin è molto deciso nel sottolineare come siamo tutti davanti ad un bivio, o cambiamo vita e condotte oppure i destini di questo modello di convivenza sono segnati: la coesione pacifica sarà sostituita sempre di più da lotte per la sopravvivenza, dai sempre più numerosi poveri, tra di loro o contro i sempre meno numerosi ma più ricchi di noi. Secondo l’autore francese bisogna ripartire dalle condizioni lavorative e dalle nostre modalità di consumo. È qui che l’essere umano si è disumanizzato e la vita diventa magari anche più ricca, per pochi, ma brutta e con tonalità “infernali” per tutti gli altri.
Secondo Morin “la redditività non deve essere raggiunta con la robotizzazione dei comportamenti ma con un nuovo modello di convivenza basata sul pieno impiego della personalità e responsabilità dei consumatori”. Anche nel mondo delle nostre smodate abitudini di consumo Morin è molto critico e disgustato: “Stiamo rincretinendo e non ci accorgiamo che ci stiamo pure ammalando”.
Dobbiamo intervenire subito per salvarci, prima che sia troppo tardi: “Dobbiamo puntare ad una selezione consapevole dei prodotti – scrive Morin – secondo le loro qualità reali e non quelle immaginarie vantate dalla pubblicità o dagli influencer, portando così ad una diminuzione delle intossicazioni consumistiche. Sarebbero, allora, il gusto, il sapore, l’estetica, ad orientare i consumi i quali, sviluppandosi, ridurrebbero l’agricoltura industrializzata, il consumo insipido e malsano e, con ciò, il dominio del profitto”.
Morin ci lascia anche in questo “ultimo” suo momento di riflessione, quasi fosse un bilancio di una vita di studio e di osservazione del mondo, un memorandum di cose da fare. Parte da una pregiudiziale: è indispensabile avere e pretendere una buona informazione che invece oggi “è quasi totalmente sostituita da una pessima comunicazione di massa che diffonde slogan e stereotipi ma non conoscenze e informazioni”. Bisogna anche riprendere in mano alcuni vecchi concetti e pratiche che secondo Morin si sono via via offuscate.
Ricorre ad un esempio: “la necessità di avere dei nemici che non la pensino come voi” e secondo l’autore uno dei presupposti autoreferenziali delle democrazie. A differenza di chi vorrebbe “silenziare” l’avversario, in una buona democrazia bisognerebbe leggere e cercare di comprendere i buoni spunti proprio dell’avversario per integrarli nella propria visione, nella propria politica: “Il gioco degli antagonismi deve essere fertile e non sterile”. La capacità di ascolto è fondamentale in questo processo di sviluppo.
Il gioco di diverse verità ossigena e alimenta le democrazie permettendo ai cittadini di esprimere, attraverso il loro voto, la preferenza per le une o per le altre. Ma è proprio qui che Morin torna a sottolineare l’importanza di poter contare su una informazione puntuale e corretta, non contaminata dai “burattinai” di turno. Bisogna immaginare delle comunità in grado di formare persone preparate evitando così gli arbitrii delle burocrazie; bisogna diffondere informazioni per quanto possibile oggettive senza lasciarle monopolizzare dai diversi poteri “forti”.
Nelle sue conclusioni Morin ribadisce un suo vecchio cavallo di battaglia: “L’educazione avrà un ruolo fondamentale in questo processo di cambiamento”. Si dovranno immaginare delle università popolari “per fornire agli adulti informazioni indispensabili per riflettere e prendere decisioni consapevoli”. Ne consiglio la lettura, magari anche critica, ma in ogni caso necessaria perché ciascuno di noi possa sviluppare riflessioni sul come, partendo dal suo particolare soggettivo, si possa incominciare a modificare dei comportamenti che stanno esasperando soltanto gli egoismi, i guadagni personali, una caotica e ridondante deriva di consumismo deteriore.
Dobbiamo tornare a delle comunità di esseri umani che mettano al centro del loro interesse la qualità dei singoli individui, l’inclusione e l’accoglienza, con una redistribuzione del reddito basata sempre sulla meritocrazia vera e non viziata, ma con un delta differenziale non così alto da renderlo inaccettabile come ci sta succedendo oggi.