Ha scritto “Se Roma fatta a scale”, una guida che offre un ritratto originale della Capitale attraverso le sue scalinate, che non si limitano a quella di piazza di Spagna. Oggi presenta “Di questa doppia Roma”. L’autore è Alessandro Mauro, scrittore, giornalista e curatore di rassegne cinematografiche e festival, con la collaborazione dell’editore Exòrma. Oggi mette insieme 99 accostamenti, spericolati come il Teatro Romano di Ostia Antica e il morettiano cinema Nuovo Sacher di Roma. Oppure la Barcaccia di piazza di Spagna con lo scafo del Tiber 2, arenatosi sul Tevere sotto Lungotevere della Vittoria. E così via in un mosaico davvero straordinario di scoperte. Lo fa con uno stile scanzonato, pop, verrebbe da dire, che riporta al dialogo che l’autore – seppur estraneo ai social – tiene con i suoi lettori nel blog www.alessandromauro.com.
Innanzitutto, Mauro, come è nata questa idea, non banale per una città che ha 3000 anni di storia e sulla quale è stato detto tutto e di tutto?
Credo che l’origine stia nel mio primo libro, quello sulle scale, e in particolare nella presa d’atto che ogni scala mette in comunicazione un sotto e un sopra. E che questo sotto e questo sopra sono una coppia. A partire da lì, credo di essermi chiesto se ce ne fossero altre di coppie, e mi è stato subito evidente che è così. Roma è piena di “doppi”, di cose che possono essere abbinate tra loro, sia per contrasto sia per affinità. Più in concreto, avevo in testa da tanto tempo la statua del bersagliere di Porta Pia, che per me è una zona di antiche memorie familiari. Sul basamento della statua c’è scritto “Nulla resiste al bersagliere”. Ma proprio lì di fronte, un po’ più in alto, c’è l’immagine di una Madonna col bambino. Ecco, lì ho visto una coppia. Poi un giorno sono stato al Maam, sulla Prenestina dove ho visto un’opera che si chiama Nihil Difficile Volenti. Mi sono ricordato che la stessa frase è incisa sulla facciata di un palazzo in centro. Altra coppia. Lì è cominciato il gioco, e mi sono messo proprio a cercarle, le possibili coppie. E questo ha cambiato il mio modo di guardare alla città.
Le descrizioni, per altro molto ricche di dettagli che a molti possono sfuggire e di informazioni, oltre a una conoscenza profonda e, direi, anche visionaria, testimoniano molti camminamenti per la città, non certo piccola…
Sì, ho girato tanto. E nonostante questo ancora ci sono pezzi di Roma in cui non sono mai stato, o in cui sono stato solo una volta tanto tempo fa. Gli scritti che compongono il libro sono 99 proprio per questo. Vogliono dire che un discorso su Roma non si può concludere; sono il soldo che sempre manca per fare una lira. Quanto ai due aggettivi che hai appena usato: “conoscenza profonda… e visionaria”. Sono bellissimi, ma ti devo dire che mi riconosco più nel secondo. La mia conoscenza di Roma non è profonda. La guardo tanto, osservo la superficie delle cose, e basta. Poi certo: questa città è la mia. Perciò una parte di quello che vedo lo metto in relazione con cose che conosco, ma in una maniera molto libera. Già sul primo libro mi è stato detto “hai parlato di scale per parlare di quello che ti pare”. Era un’osservazione giusta. E in questo caso lo è ancora di più, perché una coppia possono essere due colonne, ma pure il cacio con il pepe, o due cinema.
La disciplina l’ho riservata alla forma, proponendo tutti testi della stessa lunghezza, ma per il resto vado dove mi va di andare.
Ho trovato divertenti anche non pochi accostamenti, come ad esempio tra un murale che raffigura Gramsci e la ragazza molto bella su un manifesto pubblicitario che reclamizza costumi da bagno, vicinanza in cui dai all’espressione seria di Gramsci una interpretazione di stupore inesploso che proviamo a volte di fronte alla bellezza. Un’interpretazione fantastica direi, il cui passo successivo verrebbe voglia di far uscire Gramsci dal murale per mettersi a far la corte alla ragazza, inventarsi una storia d’amore…
No, per carità (ride, ndr). Ho troppo rispetto per Gramsci: sarei in soggezione a scrivere una cosa del genere. Però sì. Quando ho visto il murale vicino alla foto della ragazza in bikini – cui poi sono succedute molte altre pubblicità – ho subito pensato che quella fosse una coppia. E m’è venuto fuori uno scritto un po’ più surreale di altri, ma sempre frutto di immedesimazione.
Quali sono i posti che ti hanno più incuriosito, che hanno rappresentato una scoperta inattesa, direi non programmata, per te?
La preparazione del libro è stata lunga, e interrotta sul nascere dal casino che per un po’ ci ha bloccato tutti, perché quelle che lo compongono non sono cose che si possono scrivere restando dentro casa. O almeno io non sono capace. Io vado in giro, guardo, poi rientro e scrivo. Giusto in rari casi, come nel paio di scritti che parlano del cibo, oppure di due canzoni, attingo a un sapere che possiedo già. Quindi non c’è stato quasi niente di programmato. Quello che mi succede è che ogni tanto mi accorgo che due cose possono essere una coppia, e se l’idea mi convince provo a scrivere. Qualche volta è molto divertente. Quando ho scoperto l’esistenza di vicolo della Scimia, con una “emme” soltanto, così come via del Babuino ha soltanto una “bi”, ridevo da solo.
Tra le tue conoscenze di altre città, quale, oltre a Roma, si presterebbe, secondo te, a questo gioco? O pensi che Roma, sia unica, visto l’innamoramento che ogni pagina di questo tuo libro, ricco anche di canzoni popolari e versi di poeti e tipiche espressioni romanesche e tanto altro testimonia?
Credo sia un “gioco” – mi piace che tu lo definisca così – che si può giocare ovunque. A condizione di perderci tempo, guardare con attenzione, avvicinarsi alle cose. Un altro aspetto che mi pare importante è l’onestà. Per me potrebbe essere molto interessante scrivere di Venezia, o di New York, ma sarebbe imprescindibile partire dal fatto che non ne so quasi niente. Quanto al fatto che Roma sia unica, francamente mi pare oggettivo. E, sì, credo che possa esserci amore. Però non amo la retorica dell’innamoramento, il compiacimento. Questa faccenda della “romanità”, per esempio, di cui si sente tanto parlare, non è che mi sia proprio chiara. Ho il dubbio che questa roba qualche volta ci blocchi un po’. Poi sì, cado pure io in certe trappole, come quella della bellezza, della “città più bella del mondo”. Però che senso ha dire che Roma è più bella di un’altra città qualsiasi – scegli tu quale – in Europa o nel mondo? Non sono nemmeno sicuro che giochiamo nello stesso campionato: non so se mi spiego. Roma per me la sua partita se la gioca col tempo, con sé stessa, ed è una partita parecchio difficile da vincere. Se pareggi t’è già andata bene.
Diego Zandel