Una sua iconica opera “Io sono”, nel maggio del 2021 è stata battuta all’asta per la somma di 15.000 euro. L’anno seguente, un’altra creazione, “Davanti a te”, ha raggiunto la cifra di 27.000 euro. Si trattava in entrambi i casi di sculture immateriali. Pochi artisti contemporanei hanno cambiato il panorama internazionale, come Salvatore Garau, e quasi nessuno lo ha fatto con tempistiche così celeri. Classe 1953, Garau che vive e lavora tra Milano e la Sardegna, esprime i concetti con invidiabile lucidità, e lo si evince dalle sue affermazioni: “La pittura non mi è più sufficiente. Solamente la materia immateriale delle mie sculture esprime ciò che sta accadendo nel mondo; l’assenza è la grande protagonista dei nostri tempi”.
Sulla scia degli esteti dell’Invisibile, quali Marcel Duchamp, Piero Manzoni e Gino De Dominicis, Garau ha sovvertito le tradizionali convenzioni dell’arte, realizzando atti performativi legati all’immaterialità ed alla disumanizzazione, indagando una delle ultime frontiere dell’arte contemporanea. Le tematiche da lui affrontate, inoltre, mostrano un’esigenza emotiva non indifferente, mossa da una sincera osservazione dei meandri della psiche umana, mettendone in mostra gli aspetti più viscerali e oscuri.
Lei è uno degli artisti più discussi del momento; ci parli dei suoi inizi. In che modo si è avvicinato al mondo dell’arte?
Forse sono stato un artista sin da piccolo: ero il principe del mio vasto cortile; devo tutto alla libertà che mi concedeva mia madre. Direi che alle medie, ho preso coscienza del mio estro artistico. Da quel momento ho capito che non avrei mai tollerato nella mia vita un lavoro che fosse diverso da quello che faccio ora. Contro le regole che richiedevano di avere almeno 18 anni, sono stato ammesso all’Accademia di Belle Arti di Firenze: un caso davvero unico! A Firenze ho appreso le tecniche della pittura. Sono del parere che non ci si improvvisa artisti, ci vuole studio e disciplina. Lo so, un concetto fuori moda!
È noto in tutto il mondo per le “Sculture Invisibili”: com’è nata l’idea di dare forma all’immaterialità?
Le devo confessare che sono sempre stato affascinato dall’Invisibile. Ho esordito come pittore nel 1984 presso lo studio Cannaviello di Milano, dedicandomi all’arte figurativa. In quel contesto le pitture erano totalmente nere, ma attraverso diversi neri, lucidi o opachi, s’intravedevano immagini che a prima vista erano quasi invisibili, poi lentamente saltavano fuori. Durante la pandemia ho pensato di dare pieno sfogo al concetto dell’invisibile: ho trasportato le sculture con il pensiero. La perfetta metafora del momento che stavamo vivendo. L’isolamento ha amplificato a dismisura l’affastellamento delle immagini, ma l’eccesso delle immagini, per paradosso, porta al nulla. La materia che circolava nel mondo era l’assenza. Insomma, le “Sculture Invisibili” mi hanno permesso di lavorare perfettamente incollato al momento storico-sociale che stavamo vivendo.
Quali concetti vuole trasmettere la sua arte del “vuoto”?
In realtà le letture sono molteplici. Il vuoto è un contenitore di possibilità, sia positive che negative. In primis voglio spronare una presa di coscienza della vera essenza dell’Io; oggi, ahimè, è tutto esteriore, privo di contenuti. Sono stato molto criticato perché ho venduto il “Nulla”: ma quante cose superflue, equivalenti al nulla assoluto compriamo? Inoltre, pur senza renderci conto, viviamo costantemente nell’immateriale, nell’invisibile e nell’incorporeo. Da molto tempo sono attratto da ciò che si percepisce non solo con gli occhi ma con tutti i sensi. Forse non diamo forma a un Dio che non abbiamo mai visto? Credo che le mie creazioni invisibili facciano paura perché sono un contenuto di pensiero in costante mutamento. Ho venduto un niente ma colmo del tutto.
Cosa pensa dell’arte digitale? E le sue opere come si pongono in merito a ciò?
Onestamente l’arte digitale non m’interessa, quasi mi annoia; io mi muovo in un territorio completamente diverso che richiede una lettura interiore dell’opera: nel caso delle sculture invisibili do alle persone la possibilità e la libertà di ricreare la propria scultura, semplicemente con l’aiuto di un titolo. È una sfida con la società: la gente riflette sempre meno e sempre meno è in grado di discernere il vero dal falso. Ci penserà L’Ai a complicarci la vita e far sì che il nostro cervello si atrofizzi sempre di più. Eppure vorrei tanto sbagliarmi. Senza leggi ferree le cose andranno molto peggio di quanto ora possiamo immaginare.
Nasce ad Oristano il progetto “Maccab”, ovvero un museo a cielo aperto in cui gli alberi sono opere d’arte. Vuole raccontarci qualcosa di più?
Certamente, è un’iniziativa a me cara! Lo scopo primario era salvare dall’abbattimento 80 pini presenti sul lungomare di Torregrande e sensibilizzare sui temi della difesa ambientale. Ho certificato gli alberi come sculture viventi di arte contemporanea. Ma sono stato tradito dalla politica locale poiché trenta di essi verranno comunque abbattuti senza alcun motivo. Perché, mi domando, l’uomo deve distruggere l’ambiente che l’aiuta a vivere meglio? Oltre all’ignoranza credo bisogna sondare la psiche di certe persone. Mi spingo oltre anche se l’analisi sembra folle: potrebbe essere l’invidia della bellezza.
A cosa sta lavorando in questo frangente? Progetti futuri?
Sicuramente realizzerò altre sculture immateriali; da poco ho installato due opere gemelle dal titolo “Amore, Immenso Amore, una davanti al Muro del Pianto e l’altra sulla Spianata delle Moschee, luoghi simbolo dell’Ebraismo e dell’Islam. In linea d’aria vicinissimi tra loro, ma in questo momento tristemente distanti. Ovviamente due opere immateriali che parlano dello strazio in atto a Gaza e della mancanza di dialogo e quindi voglia di comprensione (e compassione) tra i popoli. Le due opere sono la quarta e la quinta dopo la Sardegna, Milano e New York, delle sette che allestirò in altrettante piazze del mondo.
Sette perché è il numero spirituale per eccellenza e ha una valenza particolare in tutte le principali religioni, ebraica, cristiana, musulmana e buddista. La spiritualità mi ha sempre attirato. Inoltre, circa sei mesi fa, è stata esposta una mia “Pala d’altare per altri pianeti” presso la Basilica Romanica di Santa Giusta, collocata di fronte all’opera immateriale “Volto di Dio”. La Pala d’altare pone una “semplice” domanda; in altri mondi abitati, oltre alla materia, esisterà il concetto dello spirito e del sacro? Avrà Dio alitato la sua presenza anche in altri mondi? Certo, per ora è impossibile rispondere. Ma uno dei principali compiti dell’arte è di farci interrogare su eterni quesiti.
Martina De Tiberis