Il giorno 29 novembre u.s. si è tenuto presso l’Università di Torino un interessante Convegno dal titolo “L’Avvocatura tra passato e presente”. Il tema ha preso lo spunto dalla recente pubblicazione, da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino , di un numero speciale della prestigiosa rivista “La Pazienza”, pubblicata dallo stesso Ordine, sulla storia del COA di Torino.
Da due professioni a un unico Ordine
Dopo i saluti dell’avv. Simona Grabbi, attuale Presidente del Consiglio dello stesso Ordine, e del Prof. Raffaele Caterina, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, il Prof. Francesco Mastroberti si è soffermato, ampliando così il raggio di osservazione, sulla storia dell’avvocatura in tutta l’Italia, mentre i Prof. Francesco Aimerito e Caterina Bonzo, ripercorrendo i rispettivi scritti pubblicati nel sopracitato volume, hanno affrontato il tema dell’avvocatura e dell’insegnamento giuridico a Torino ed in Piemonte. In particolare il Prof. Aimerito, prendendo le mosse dalla regolamentazione che iniziò a prendere corpo, già a partire dal tardo medioevo, nel Ducato di Savoia, e poi nel Regno di Sardegna, circa le diverse figure degli avvocati e dei procuratori, ha ripercorso il lungo periodo che da allora ha portato, dopo l’Unità d’Italia, alla nuova normativa nazionale del 1874 sulla Legge Professionale Forense. Legge che fece confluire le due professioni in un unico Ordine.
La prima professione liberale disciplinata nel nuovo Stato
A sua volta la Prof.ssa Bonzo, proprio partendo dalle diverse situazioni in cui era regolata la professione nei vari Stati preunitari, e dal dibattito che si avviò, a partire dal primo Congresso giuridico italiano che si tenne a Roma nel 1872, si è poi soffermata sulle profonde innovazioni introdotte dalla legge n. 1938 dell’8 giugno 1874, che dettava una regolamentazione organica dell’avvocatura e che, va ricordato, fù quindi la prima professione liberale ad essere disciplinata nel nuovo Stato. La Prof.ssa si è poi soffermata sull’attività del Consiglio torinese, ripercorrendo i dibattiti di quegli anni nei quali, come in tanti altri settori, anche l’avvocatura fu attraversata da nuovi fermenti e nuovi compiti. Primo fra tutti se fosse o meno legittimo l’accesso alla professione anche alle donne, che venne negato, come è noto a seguito del famoso caso dell’Avv. Lidia Poet, la quale ottenne l’iscrizione con una progressista delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino già nel 1883, annullata dalla Corte di Cassazione e, quindi, dovette attendere sino alla riforma legislativa del 1919 per poter effettivamente farne parte.
E’ seguita, infine, una tavola rotonda che ha visto gli interventi dell’Avv. Bruno Segre, decano del Foro di Torino, dell’avv. Paolo Berti. Consigliere dell’Ordine di Torino, del Prof. Michele Graziadei dell’Università di Torino e dell’Avv. Claudia Giacobino, Segretaria dell’AGAT (Associazione Giovani Avvocati di Torino). L’avv. Segre, con la sua solita “vis polemica”, si è soffermato, anche alla luce della sua esperienza professionale svolta per moltissimi anni, soprattutto in sede penale, sulla ineludibile necessità di due riforme che dabbero senso a quella giustizia che è richiesta dai cittadini: in primo luogo l’abolizione dei tre gradi di giudizio, che dovrebbero essere ridotti a due, lasciando alla Corte di Cassazione, sull’esempio di altri paesi europari, unicamente il compito di affrontare e risolvere questioni di grandissimo impegno e responsabilità (quali il “fine vita”, vedi casi Cucchi ed Englaro), evitando che essa si produca in sforzi privi di senso per rispondere a questioni di valore infimo; in secondo luogo con una totale revisione della prescrizione che, come è oggi, rappresenta solo una perdita di tempo, di forze, di denari e danni enormi per le vittime di reato la cui richiesta di una giustizia terrena viene disattesa, magari a distanza di anni e dopo vari gradi di giudizio.
Piuttosto che vagheggiare improbabili complotti da parte di alcuni magistrati contro il Governo sarebbe auspicabile che si passasse dalle parole ai fatti: questo e non altro è ciò che interessa ai cittadini.
Alessandro Re