Per vent’anni l’Italia ebbe un uomo solo al comando. Fino alla distruzione morale e materiale del Paese. Fino alla drammatica notte del 25 luglio 1943, in cui il Gran Consiglio del Fascismo approvò l’Ordine del Giorno, presentato da Dino Grandi, con il quale fu chiesta la restituzione dei poteri al re e agli altri organi costituzionali. Nel pomeriggio, il Duce si recò a colloquio con Vittorio Emanuele III, sebbene la moglie Rachele lo esortasse a non recarsi dal re. Seguiamo il racconto di quell’incontro spartiacque della storia d’Italia. Alle 17, mentre viaggia in auto verso Villa Savoia, Mussolini osserva fuori dal finestrino una Roma deserta e rimugina sul folle azzardo della guerra a fianco della Germania. Non per scrupoli morali, ma per la sconfitta ormai prossima. E’ stanco. Nell’ultimo incontro con Hitler, avvenuto pochi giorni prima a Feltre, avrebbe dovuto comunicare l’uscita dell’Italia dal conflitto, ma non è riuscito a parlare, come gli accadeva spesso dinnanzi ai monologhi invasati del dittatore nazista. Forse, ripensa alla lunga e turbolenta riunione notturna. Non è chiaro perché abbia lasciato che alcuni gerarchi preparassero la congiura per destituirlo. Conosceva infatti l’ordine del giorno già prima del Gran Consiglio poiché gli era stato illustrato da Grandi.

Un incontro ad alta tensione

Negli stessi minuti in cui Mussolini è in auto verso Villa Savoia, il re, in stato di agitazione, cammina su e giù per il salone. Chissà se il Sovrano oggi è pentito di non essersi opposto al Fascismo divenendone complice. Consentendo la violenza squadrista, la dittatura, le leggi razziali e la guerra. Ora, con la sua cinica freddezza, vuole liberarsi di Mussolini e salvare il trono. Da mesi tesse la tela per sostituire il Duce e sganciarsi dalla guerra perduta. Nell’ombra, si muovono anche militari, gerarchi frondisti ed industriali. Ha chiesto segretamente a Grandi il voto del Gran Consiglio contro Mussolini.
Finalmente l’auto del Capo del Governo varca i cancelli aperti di Villa Savoia mentre la scorta rimane fuori dalla recinzione. Il Colonello Tito Torella di Romagnano accoglie il Duce e lo accompagna nel salotto dove è atteso dal re. Il Generale Paolo Puntoni rimane, per ordine del Sovrano, vicino alla porta per timore della reazione del Duce, e riesce ad ascoltare in parte la conversazione. Per ricostruire il contenuto del colloquio dobbiamo basarci sui resoconti di Mussolini e Puntoni.

Dopo i saluti, Mussolini tenta di descrivere la situazione bellica e di minimizzare il voto del Gran Consiglio perché organo puramente consultivo. Il re lo interrompe con queste parole: «Caro Duce, le cose non vanno più. L’Italia è in “tocchi”. L’esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi … Il voto del Gran Consiglio è tremendo. Diciannove voti per l’ordine del giorno Grandi: fra di essi quattro collari dell’Annunziata. Non vi illudete certamente sullo stato d’animo degli Italiani nei vostri riguardi. In questo momento voi siete l’uomo più odiato d’Italia. Voi non potete contare più su un solo amico. Uno solo vi è rimasto, io. Per questo vi dico che non dovete avere preoccupazioni per la vostra incolumità personale che farò proteggere. Ho pensato che l’uomo della situazione è, in questo momento, il maresciallo Badoglio. Egli comincerà col formare un ministero di funzionari, per l’amministrazione e per continuare la guerra. Fra sei mesi vedremo. Tutta Roma è a conoscenza dell’ordine del giorno del Gran Consiglio e tutti attendono un cambiamento».

Un motivetto degli Alpini cantato dal re in piemontese

Poi il re accenna, in dialetto piemontese, i versi di una canzone con i quali gli Alpini dicono che non vogliono più combattere per Mussolini. Secondo Puntoni il re avrebbe anche aggiunto: «Io vi voglio bene, e ve l’ho dimostrato più volte difendendovi contro ogni attacco, ma questa volta devo pregarvi di lasciare il vostro posto e di lasciarmi libero di affidare ad altri il governo…». Dopo alcuni minuti di silenzio, Mussolini avrebbe risposto: «Voi prendete una decisione di una gravità estrema. La crisi in questo momento significa far credere al popolo che la pace è in vista, dal momento che viene allontanato l’uomo che ha dichiarato la guerra. Il colpo al morale dell’esercito sarà serio … La crisi sarà considerata un trionfo dal binomio Churchill – Stalin, soprattutto di quest’ultimo che vede il ritiro di un antagonista di venti anni di lotta contro di lui. Mi rendo conto dell’odio del popolo. Non ho avuto difficoltà a riconoscerlo stanotte in pieno Gran Consiglio. Non si governa così a lungo e non si impongono tanti sacrifici senza che ciò provochi risentimenti più o meno fugaci o duraturi. Ad ogni modo io auguro buona fortuna all’uomo che prenderà in mano la situazione».

Farinacci e Buffarini consideratu straccioni da Vittorio Emanuele III

A quel punto, il re ribadisce la sua decisione, si lamenta del torto fattogli quando senza neppure salvare la forma Mussolini aveva voluto assumere il comando delle Forze Armate e aggiunge: «E mi hanno assicurato che quei due straccioni di Farinacci e Buffarini, che avevate vicini, quando non si sapeva se avrei firmato o no il decreto col quale volevate assumere il comando delle Forze Armate dissero: “Lo firmerà, altrimenti lo prenderemo a calci nel sedere”». Dopo un rapido battibecco il re, alzando un poco anche la voce dice: «Io devo intervenire per salvare il Paese da inutili stragi e per cercare di ottenere dal nemico un trattamento meno inumano». Il Duce tenta ancora una reazione, ma il re rimane in silenzio. «Allora tutto è finito» ripete due volte Mussolini e poi chiede: «e ora cosa debbo fare?». Il re lo rassicura sulla sua incolumità dicendo: «Della vostra sicurezza personale rispondo io con la mia testa, statene certo». E conferma con dispiacere la sua decisione. Riferirà il Sovrano: «A queste mie parole Mussolini si accasciò come se avesse ricevuto un violento colpo al petto, sussurrando, allora è il crollo mio completo».

L’udienza finisce

Mussolini viene accompagnato all’uscita dal Sovrano. L’ormai ex capo del Governo scriverà: «Era livido e sembrava ancora più piccolo, quasi rattrappito. Mi strinse la mano e rientrò». Mentre il Duce si avvia verso l’auto, viene fermato dal Capitano dei Carabinieri Vigneri: «Eccellenza, per ordine di sua Maestà, vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze della folla». Mussolini risponde che è un’esagerazione, ha un ultimo sussulto, ma Vigneri lo spinge a salire su un’ambulanza che lo porta via a grande velocità da un’uscita secondaria. Rimarrà trattenuto in alcune caserme di Roma, fino a quando non verrà arrestato due giorni dopo e portato temporaneamente sull’isola di Ponza per ordine di Badoglio, nuovo capo del Governo.

Da quell’incontro Vittorio Emanuele III e il Duce non si videro più

Il re abbandonò Mussolini a Campo Imperatore, dove era stato portato successivamente, e fuggì con Badoglio al Sud lasciando la nazione allo sbando e l’esercito senza ordini. Un’autentica tragedia che provocò enormi danni materiali, migliaia di vittime, disprezzo e diffidenza da parte degli Angloamericani nelle trattative di pace, rese note l’8 e non già tra il 10 e il 15 settembre 1943 come era stato convenuto. Il Governo Badoglio, il 13 ottobre 1943, a poco più di un mese dalla fine dell’alleanza con Hitler, dichiarò guerra alla Germania! Mussolini, liberato dai Tedeschi, dopo la tragica avventura della Repubblica Sociale Italiana, finì a Piazzale Loreto. Con la fine di Mussolini, terminò il tragico tempo dell’uomo solo al comando. E cominciò la storia dell’Italia repubblicana. Auguriamoci che non tornino lentamente dal passato ingannevoli suggestioni a favore del Duce.

Lorenzo Bianchi

 

 

 

Lorenzo Bianchi

Avvocato, studioso di Storia e di Diritto Umanitario con particolare interesse per il Diritto Internazionale dei Conflitti Armati.

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