Questa è una storia lontana e dimenticata. Una storia che ci riguarda direttamente perché si è svolta nelle colonie italiane dell’Africa Orientale. Una storia di conquista coloniale e sesso, amore e guerra, madri e figli abbandonati. E’ la storia del “Madamato”.

La lunga storia del concubinaggio fra militari e funzionari governativi italiani e donne africane nelle colonie del Corno d’Africa

Secondo il “Dizionario del Fascismo” a cura di Victoria De Grazia e Sergio Luzzatto, alla voce “madamato” di Giulia Barrera, nel gergo coloniale veniva chiamata “madama” la donna indigena che conviveva con un uomo italiano o che, pur non convivendo, aveva con lui un rapporto stabile. Il termine “madamato” fu coniato in senso dispregiativo dopo la Guerra d’Etiopia, quando il regime fascista lo considerò un crimine. Ma cominciamo dall’inizio. Il concubinaggio fra uomini italiani (militari e funzionari governativi) e donne africane nelle colonie del Corno d’Africa avveniva fin dagli anni della conquista militare in Eritrea alla fine dell’Ottocento’. Veniva suggerito agli Ufficiali di “prender madama” per evitare che si rivolgessero alle prostitute locali rischiando malattie veneree e condividendo le donne con la truppa. Venivano però scoraggiati i matrimoni, che furono rari, e sia i Governatori dell’Italia liberale, sia quelli fascisti, vietavano qualsiasi relazione sessuale fra uomini africani e donne italiane.

Vietate le relazione sessuale fra uomini africani e donne italiane

I figli nati dalle relazioni con donne indigene furono molti e vennero chiamati meticci. Il pregiudizio nei loro confronti era diffuso anche se si riteneva che fosse il padre a determinare l’identità razziale del figlio e quindi se riconosciuti venivano considerati italiani. Il destino di questi bambini dipendeva soprattutto dal tipo di permanenza dei padri nelle colonie. Se si trattava di una breve presenza come nel caso dei militari, generalmente essi venivano abbandonati. Chi si fermava a vivere nelle colonie invece tendeva a riconoscerli. E vi fu anche chi mandò i figli a studiare in Italia trasmettendo loro il nome e il patrimonio. In altri casi invece, i padri tennero con sé i figli e abbandonarono la madre. A partire dal 1917 l’Italia cominciò a preoccuparsi di questi bambini. Le autorità coloniali iniziarono a iscrivere nei registri dello stato civile i fanciulli, non riconosciuti dal padre, come figli di padre italiano ignoto. E dalla fine degli anni Venti’ inserirono, a spese dello Stato italiano, i bambini abbandonati e poveri presso istituti per meticci gestiti dai missionari. Il Fascismo cercò anche di includerli nella società italiana e introdusse nel 1933 una norma che consentiva agli italo-africani non riconosciuti di ottenere la cittadinanza italiana grazie ad un’umiliante procedura selettiva.

Per Mussolini era inammissibile una “generazione di mulatti”

Con l’invasione dell’Etiopia del 1935 e l’arrivo di trecentomila soldati le cose si complicarono. Per Mussolini non era ammissibile una “generazione di mulatti”. Scrive Emilio Gentile nella sua “Storia del Fascismo”: «Il razzismo coloniale fascista aveva le sue radici nella tradizione razzista occidentale, che considerava i neri una razza inferiore, rimasta a uno stato primordiale dell’evoluzione umana, con uno stato mentale infantile, istintivamente feroce, sfrenatamente libidinosa, ma addomesticabile per il lavoro servile se sottomessa dalla forza e dal prestigio di una razza superiore». Sulla “Gazzetta del Popolo” nel 1936 fu pubblicato un editoriale dal titolo “L’Impero e la purità della razza” nel quale si parlò, a proposito della possibile nascita di mulatti, di “degenerazione della razza bianca” e di “prolificazione con una negra come di un degradamento irreparabile”.
Il Regime fascista incentivò allora l’emigrazione delle donne italiane in Africa e diede grande impulso alla prostituzione, organizzando bordelli riservati ai bianchi con donne italiane fatte arrivare dall’Italia e, visto che non bastavano, con donne africane. La stampa coloniale descriveva le donne indigene come incapaci di veri sentimenti e la “piaga del meticciato” come fonte di disordine razziale e sociale.

Nel 1939 fu introdotta la lesione del prestigio della razza

Poiché tutto questo non fu sufficiente, il Regime, che già aveva subordinato nel 1933 le unioni legali miste all’autorizzazione del Governatore della Colonia, varò alcune leggi per vietare le relazioni con donne africane. Dapprima, nel 1937 punì con la reclusione da uno a cinque anni la relazione d’indole coniugale fra un cittadino italiano e una persona suddita dell’Africa Orientale italiana. Poi, nel 1939 introdusse un nuovo reato di “lesione del prestigio della razza” che sanzionò, fra l’altro, anche le relazioni sessuali con donne indigene. Ed infine, nel 1940 furono negati al meticcio il riconoscimento e la qualifica di cittadino italiano. A tutto ciò venne affiancata una rigida segregazione razziale in ogni ambito della società coloniale.

Il tradizionale razzismo europeo fu dunque aggravato molto dal Fascismo

Emilio Gentile ricorda che medici, sociologi, antropologi già prima della conquista dell’Impero avevano sostenuto la disuguaglianza e la gerarchia razziale. Con il Regime fascista condivisero l’idea dell’intervento dello Stato a favore della protezione dell’integrità della stirpe. Scrisse nel 1927 il patologo Umberto Gabbi, fondatore della rivista “Archivio fascista di medicina politica”: «La libertà umana, è stato scritto anche ultimamente, è sacra e non può essere incatenata. Niente affatto: in regime fascista le si è tolto il diritto di far del male alla Società, al Governo, alla nazione», la nazione «è tutto e l’individuo un suo umile collaboratore», e ancora «il diritto dello stato supera quello individuale e può cancellarlo se dannoso alla Nazione». E così fu, ignobilmente.
Tutte queste misure, tuttavia, non bastarono ad impedire il fenomeno del “madamato”.

Gli italiani in Africa cercavano anche un focolare domestico

Agli Italiani non erano sufficienti le prostitute, cercavano anche il calore di un focolare domestico e le sue comodità. Vi furono relazioni basate su un profondo affetto e rispetto reciproco, ma in generale i rapporti furono di natura diversa. Le donne venivano considerate solamente partner sessuali e domestiche, oltre tutto di un’altra razza. E quando gli Italiani andarono via abbandonarono donne e figli africani nella povertà più assoluta. Fra l’altro, coloro che erano sposati in Italia non potevano riconoscere i figli africani, poiché fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 il Codice Civile impediva il riconoscimento dei figli adulterini. Maschilismo, razzismo, negazione totalitaria delle libertà individuali e dei sentimenti umani segnano nel profondo questo triste racconto. La vicenda del “madamato” è una di quelle pagine poco conosciute del grande libro della nostra storia nazionale che merita di essere ricordata. E’ fondamentale per la coscienza di un popolo custodire memoria anche dei propri tragici errori.

Lorenzo Bianchi

Lorenzo Bianchi

Avvocato, studioso di Storia e di Diritto Umanitario con particolare interesse per il Diritto Internazionale dei Conflitti Armati.

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *