Il clima si è fatto tossico, sono saltate le soglie del minimo comune denominatore di convivenza civile e quindi il giornale ha deciso di alzare la voce e, se del caso, gridare. Così ieri il direttore di Repubblica, Carlo Verdelli, ha presentato, oltre alla nuova veste grafica, il cambio di passo deciso dal quotidiano, perché è “l’idea stessa di democrazia a venire messa in discussione da forze politiche e gruppi ai confini della legalità”.

Ma il male del nostro paese, forse, ha radici più profonde che la semina della propaganda iniziata un paio d’anni fa, di cui parla Verdelli. Il problema non è solo la Lega di Salvini, anche perché l’esordio dei Vaffa Day grillini, vere fucine di odio sociale, risale a più di dieci anni fa. E ancora all’inizio della campagna elettorale del 2013, a un candidato di Casa Pound che gli chiedeva se fosse antifascista Beppe Grillo rispondeva: “Questo è un problema che non mi compete. Il nostro è un movimento ecumenico. Se un ragazzo di Casa Pound volesse entrare nel Movimento 5 Stelle e avesse i requisiti per farlo, ci entra. Più o meno avete delle idee che sono condivisibili, alcune meno alcune di più. Questa è la democrazia”.

Quindi, al di là dell’escalation degli ultimi mesi, siamo di fronte ad un problema irrisolto che viene da lontano e che forse può essere riassunto in due parole: classe dirigente. Debole, senza ricambio, chiusa in se stessa. Lo si vede in politica, con il venir meno della funzione formativa dei partiti, così come nel mondo dell’informazione, di cui i talk politici, sempre meno seguiti e sempre più autoreferenziali, ne sono una spia significativa. Un mix micidiale che ha portato all’incapacità di leggere il paese reale, di guardare, ascoltare, capire, salvo poi chiedersi stupefatti come sia potuto accadere ciò che è successo e sta succedendo.

Più che di alzare la voce, c’è un gran bisogno che una parte del paese sinora rimasta estranea all’impegno pubblico si alzi e si metta in gioco, a cominciare dalla borghesia intesa nella sua migliore accezione. È ciò che è avvenuto con la decisione di una rete di professionisti di far rinascere L’Incontro, come luogo e palestra di confronto delle idee, rimanendo ancorati ai valori del suo fondatore e direttore per 70 anni, Bruno Segre: laicità, Giustizia e Libertà, rifiuto di ogni forma di autoritarismo, lotta all’antisemitismo, difesa dei diritti civili.

L’Italia ha bisogno che nascano nuove comunità come questa, di assunzione di responsabilità pubblica e civile, aperte al dialogo ma intransigenti sui valori, che sappiano svolgere anche un ruolo di indirizzo, senza salire su un piedistallo ma vivendo dentro il sociale. Noi ci proviamo.

Beniamino Bonardi

Beniamino Bonardi

Il direttore responsabile de L'Incontro

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