Il 27 marzo 1944, dopo un lungo viaggio dall’Unione Sovietica, Palmiro Togliatti sbarca a Napoli da un piroscafo. Il leader comunista italiano torna in Italia dopo quasi vent’anni anni passati in esilio. Soprattutto a Mosca, dove la sua fedeltà alla linea di Stalin e il suo spregiudicato cinismo gli hanno permesso di sopravvivere alle purghe staliniane, di cui è stato non solo testimone, ma anche complice.
Il ritorno dopo 20 anni di Russia
E’ finalmente ritornato in Italia e ha un compito da assolvere. Per scoprire quale, dobbiamo fare un passo indietro. E partire dai giorni successivi all’armistizio dell’otto settembre 1943, quando gli esponenti di sei partiti (PCI, PSIUP, DC, PLI, PDA, Democrazia del Lavoro) si ritrovano a Roma per costituire il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Esortano il popolo italiano “alla lotta e alla resistenza per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. E poiché ritengono il re corresponsabile della dittatura e della disastrosa guerra, si propongono come guida del Paese, chiedono la fine della Monarchia e la sostituzione del Capo del Governo Badoglio. Il quale però gode della fiducia degli Alleati ai fini del rispetto delle clausole contenute nell’Armistizio.
Qual è la situazione internazionale
Per comprendere gli avvenimenti che stanno per accadere, è necessario dunque considerare la situazione a livello internazionale. E in particolare le intenzioni dell’Unione Sovietica per il dopoguerra. Si accontenterà di una situazione che tuteli la sua sicurezza, come hanno detto Stalin e Molotov durante le conferenze di Mosca e Teheran? oppure cercherà di allargare la sua sfera di influenza? La risposta arriva all’inizio del 1944 quando l’URSS lamenta il fatto di non avere un rapporto diplomatico diretto con l’Italia. Le relazioni con quest’ultima, infatti, vengono tenute dalla Commissione alleata di Controllo che si occupa di guidare l’attività del Governo italiano. Esiste anche la Commissione consultiva per l’Italia, di cui fa parte per i Russi Andrej Vysinskij, Sottosegretario agli Esteri, già grande accusatore nei processi di epurazione della fine degli anni trenta’.
Ma questa seconda commissione ha scarso rilievo pratico
Dà però modo a Vysinskij di venire in Italia, in particolare nel gennaio del 1944, e prendere contatti con il Segretario Generale del Ministero degli Esteri Italiano, Renato Prunas, con cui discute di un miglioramento dei rapporti fra le due nazioni. Prunas, infatti, si duole a sua volta del limitato raggio di azione dell’Italia in politica estera. I due discutono un accordo secondo il quale l’URSS istituirebbe piene relazioni diplomatiche con l’Italia, nonostante le clausole d’armistizio obblighino quest’ultima a sottoporre al controllo della Commissione alleata ogni decisione. E il Governo italiano consentirebbe il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti che impegnerebbe i Comunisti ad una collaborazione con il governo di Badoglio e la Monarchia ai fini della lotta contro il Nazismo. Rinviando al termine della guerra ogni altra questione politico-istituzionale. Documenti rinvenuti negli archivi sovietici testimoniano le disposizioni in merito date da Stalin a Togliatti, poco prima della sua partenza per l’Italia, nel corso di una riunione alla presenza di Molotov e Vysinskij.
Il patto si realizza
L’undici marzo 1944 il Governo italiano dirama il seguente comunicato: «In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il governo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ed il Regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto fra i due governi senza indugio allo scambio di rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d’uso». Poi Togliatti, appena tornato in Italia, il 30 e 31 marzo successivi, al Consiglio Nazionale del Partito Comunista Italiano a Napoli, comunica la decisione di accantonare l’opposizione alla Monarchia, dare vita ad un fronte antifascista con le altre forze politiche e partecipare a un secondo governo Badoglio.
Il primo governo di unità nazionale
E’ la cosiddetta “svolta di Salerno”, così chiamata perché il Governo ha in quel momento la sua sede a Salerno. I Socialisti e gli Azionisti sono contrari alla decisione di Togliatti, ma non hanno la forza di opporsi alla situazione e sono dunque costretti a partecipare al nuovo governo di Badoglio anche se non giurano fedeltà al re. Quest’ultimo, grazie alla mediazione di Enrico De Nicola, accetta di lasciare i suoi poteri al figlio Umberto attraverso l’istituto della Luogotenenza quando Roma sarà liberata. Tutto in vista di una decisione del popolo italiano sul mantenimento dell’istituto monarchico. E’ difficile pensare che gli Alleati non siano informati delle trattative fra URSS e Italia. Protestano per la mossa di Mosca, ma lasciano fare visto che in questa fase la priorità è la guerra ed è preferibile una situazione politica di unità e stabilità. Togliatti, dunque, obbedisce all’ordine di Stalin, il quale è probabilmente consapevole che l’Italia rimarrà nella sfera di influenza degli Angloamericani e vuole che i Comunisti si legittimino agli occhi degli Alleati e dell’opinione pubblica moderata.
Per inserirsi nella vita politica nazionale e introdursi nei gangli vitali delle istituzioni
Sandro Pertini conferma questa visione delle vicende e in un’intervista rilasciata ad Ugo Intini nel libro “Le due radici” sostiene: «Io ritengo che Togliatti, già partendo da Mosca, avesse avuto da Stalin una parola d’ordine: entrare nel governo ad ogni costo, anche con la Monarchia. Dal punto di vista di Stalin, il suo suggerimento era giusto. A quel tempo c’erano già degli accordi tra le grandi potenze, che poi si sono perfezionati a Yalta. Stalin sapeva che le truppe sovietiche sarebbero comunque arrivate in Boemia, e chi possiede la Boemia possiede il cuore dell’Europa. Non è poi arrivato in Dalmazia perché Tito ha fatto resistenza, ma in quel momento l’Urss, sapendo Tito suo alleato, era convinta di poter giungere anche in Jugoslavia. Se l’armata sovietica fosse arrivata sin lì, Trieste non so se sarebbe ancora italiana, ma comunque il consiglio dato ai comunisti italiani di inserirsi nel governo si sarebbe rivelato molto utile. Stalin pur di avere i comunisti al governo avrebbe accettato la monarchia».
Il leader comunista cerca di tenere il piede in due staffe
Il disegno politico volto alla legittimazione dei Comunisti italiani guida anche le azioni successive di Togliatti. Come la ricerca di un’intesa con i Cattolici – che è anche una scelta costante di strategia politica – e che si concretizza, fra l’altro, con il voto favorevole all’introduzione dell’art. 7 nella Costituzione. E come il provvedimento di amnistia per reati comuni e politici che Togliatti, in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia, fa approvare dal Governo De Gasperi nell’ottica della pacificazione, ma che lascia impuniti crimini fascisti. Il leader comunista cerca dunque di tenere il piede in due staffe. Da un lato vi è il legame con l’URSS che rimane sempre un riferimento e da cui il partito comunista riceve i finanziamenti, dall’altro la partecipazione alla costruzione della Repubblica e la scelta del cosiddetto “gradualismo”. Ma, con una sostanziale ostilità verso il Socialismo e l’Azionismo, i cui effetti si riverberano sulla natura della Sinistra italiana ancora oggi.
Lorenzo Bianchi