Cosa dire ancora? Cosa aggiungere ad un senso di sconfitta, di rinuncia, di disorientamento e vergogna che ci circonda? Ad ogni nuovo episodio di uno stupro anche di gruppo, reagiamo con grida di dolore, di sofferenza, condite però anche da tanta ipocrisia, lontananza, deresponsabilizzazione. Se non vogliamo arrenderci a quelli che sostengono, e sono per la verità sempre più numerosi, che siamo una civiltà in declino di valori, di virtù e di voglia di coesione pacifica e che, come già successo altre volte nella storia dell’umanità, abbiamo intrapreso la strada di un autolesionismo pericoloso, distruttivo, sordo a tutti i richiami e i rimproveri; se non vogliamo arrenderci, dicevamo, dobbiamo concentrarci su come invertire questa disastrosa tendenza. Invece di chiuderci nell’egoismo dei fortunati “a-cui-non-è-ancora-successo”, concentriamoci su cosa fare per arginare e gestire un fenomeno che sta distruggendo le nuove generazioni: i nostri nipoti!
A tal fine, abbiamo provato a riorganizzare e mettere in fila le varie soluzioni giuridiche, tecnologiche ed educative di cui si parla in questi giorni. Un elenco che ci auguriamo possa servire come stimolo per partecipare al confronto, fornendo ciascuno di noi il proprio contributo esperienziale e professionale. Assumendoci, in altre parole, la responsabilità di ragionare su condotte che possano aiutarci, anche rudemente, a presidiare e sconfiggere una piaga che ci sta alienando tutti. Un recente sondaggio di Sky, nel confermare che l’industria della pornografia in rete è quella che segna il maggior fatturato rispetto a tutti gli altri settori del commercio elettronico, ci dice che il 74% degli italiani ritiene che il porno giochi un ruolo nefasto nei casi di violenza sessuale contro le donne. L’86% degli intervistati sottolinea come causa di tale violenza anche la mancanza di un’educazione famigliare, il 76% lo addebita alla scuola, il 73% ad una cultura di stampo patriarcale.
L’indagine fa emergere però anche la grande ipocrisia che accompagna ogni ragionamento sul dilagare della pornografia. Il nostro paese è un grande consumatore di porno on-line. Siamo il sesto più grande cliente del gigante della pornografia mondiale, di PornHub cioè. Veniamo dietro a Giappone e Messico che però contano sul doppio della nostra popolazione. In testa a questa classifica ci sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Perché non ci chiediamo come mai si accusi la famiglia di una responsabilità in merito a questo fenomeno quando milioni di italiani adulti visitano i siti porno con una frequenza stupefacente?
Stop ai video porno
Il governo, proprio in questi giorni, sta studiando un provvedimento per vietare agli under 18 di accedere ai siti porno come YouPorn, PornHub e similari. Le statistiche evidenziano che un minore su due in età anche pre-adolescenziale, ricerca, conosce e guarda proprio questi siti. E se fino a qualche anno fa l’età dei giovani spettatori si fermava nella forbice tra i 14 e i 17 anni, nell’ultimo biennio si è scesi ad una forbice tra gli 8 e gli 11 anni, quando si entra cioè in possesso del primo smartphone.
I nostri ragazzi, quindi, fin dalla quarta o quinta elementare iniziano la loro frequentazione visiva del mondo della pornografia. Tutto ciò anche se per legge tali siti sarebbero vietati ai minori di 18 anni. Il piano del governo intende spegnere questo drammatico scenario attraverso un blocco informatico per i minorenni: non una censura – ha detto la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella – ma una tutela dei minori. Il Garante per la privacy sostiene che la sola via praticabile per la tutela della privacy appunto, è la certificazione dell’età tramite terzi: “le piattaforme di materiale pornografico – ha spiegato uno dei componenti dell’Autorità Garante per i dati personali, Guido Scorza – si dovranno affidare a pagamento a “terze parti fidate”, ovvero ad app specializzate solo ed esclusivamente nell’accertamento dell’età degli utenti. Attraverso documenti, intelligenza artificiale o questionari, queste app sono in grado di stabilire se chi vuole accedere ad un video porno è maggiorenne o minorenne, concedendo dunque o meno il via libera senza fornire altri dati”.
Semplicemente… farli pagare
Secondo alcuni esperti del settore un’opzione efficiente per ridurre ed arginare il fenomeno potrebbe essere originato dalla responsabilizzazione del consumatore “attraverso il suo portafoglio”. L’accesso gratuito dei contenuti delle piattaforme porno costituisce infatti il vero pericolo per i nostri ragazzi. Se venisse introdotto un costo per ogni accesso, si creerebbe una barriera, non banale, soprattutto per i minorenni. Ognuno è libero, infatti di scegliersi le luci rosse più gradite, ma in questa ipotesi dovrà sostenerne i relativi costi. La proposta è quella che Bruxelles dovrebbe imporre ai fornitori di pornografia l’obbligo di far pagare i clienti, pena l’esclusione dal mercato. In tal modo gran parte degli accessi dei minori dovrebbe essere risolto, così come quello eccessivo anche da parte degli adulti.
Una patente per l’accesso ai siti
Chiara Gamberale ha recentemente scritto una provocazione su questo tema: “Per avere accesso ai social e quindi, a maggior ragione, ai siti porno, va istituita una patente. Va messo a punto un esame scritto e uno orale da parte di un Comitato di psichiatri per l’infanzia, psicoterapeuti dell’età dello sviluppo, professori delle superiori con almeno vent’anni di carriera”. Invece di continuare a riempire i giornali di diagnosi sui rischi che corrono i nostri ragazzi a spostare nel virtuale tutto quello che ha come suo presupposto l’incontro con l’altro come realmente è nella quotidianità, gli esperti della materia mettano sul serio e concretamente al servizio della causa il loro sapere, il loro sentire.
La Gamberale si pone anche il tema di quanti anni saranno necessari per ottenere la patente. “Anche questa decisione va affidata al Comitato. Io direi come minimo 18 mesi ma lascio agli esperti la fissazione di un tempo congruo per la costruzione di questa nuova cultura di protezione verso i social e verso tutte le insidie dei loro contenuti. Renderei obbligatorio anche un anno di psicanalisi, garantito dallo Stato, prima dell’esame di maturità”. Insomma come dimostrano i vari interventi che abbiamo sintetizzato, al di là delle ormai stucchevoli diagnosi sulla tragicità del fenomeno, dobbiamo necessariamente concentrarci sui rimedi per arginarlo. Sia dal punto di vista della prevenzione, sia della repressione. Certamente nel rispetto della privacy, ma soprattutto nell’ottica della salvaguardia di una tutela dell’equilibrio, dell’etica e della salute mentale delle nuove generazioni bombardate quotidianamente da sollecitazioni improprie, dannose, devastanti per l’utenza non attrezzata psicologicamente.
Riccardo Rossotto