Oggi il podcast della Costa (e chiamarlo podcoast?) “Conversando con Arturo”, ci invita all’ascolto di personaggi noti che hanno vissuto e testimoniato questo golfo “di frontiera “, tra Bordighera e Monaco. Inglesi, italiani, russi, francesi si mescolano nelle vite e nelle storie di Leo Ferre’, Vladi Orengo, e Giovanni Ruffini. Grazie ad Arturo Viale per questa seconda conversazione- le parole sono le sue- e questo tempo speso insieme … buon ascolto!
1 – Leo Ferré
“È una sera d’autunno del 1925 all’inizio dell’anno scolastico. Il bambino ha nove anni, ha preso da poco la prima comunione. Il collegio dove passerà tre quarti della sua infanzia non si trova alla fine del mondo, ma a pochi chilometri da casa. Il viaggio in treno verso il collegio però comporta di passare la frontiera. Gli hanno dato sei banane da portare con sé, come genere di conforto, ma il doganiere, ligio alla sua funzione, vuole sequestrargliele.
Allora il bambino prende la prima decisione della sua vita, si mangia sul momento tutte e sei le banane e lascia in dogana solo le bucce.
Poi, passata la dogana, prende il tramvai che lo porta al collegio St. Charles, all’entrata di Bordighera. All’inizio del Novecento ammontavano a trentasette le congregazioni religiose francesi che avevano installato a pochi chilometri dalla frontiera, collegi scolastici che erano vietati nel loro paese. Il bambino della nostra storia si chiamava Leo Ferré era il figlio del direttore del personale del Casinò di Montecarlo e il collegio scelto per lui era di prestigio.
Se Leo Ferré diventa “memoria delle nostre rivolte” e anche “l’autore della più francese delle canzoni francesi” (Paris Canaille) è perché da bambino per otto anni, è cresciuto “nella cupa e costante ebetaggine dell’infanzia zeroide”.
La madre andava a trovarlo al giovedì ogni due settimane e per quelle poche ore il bambino contava i minuti che scorrevano troppo veloci. Poi gli rimanevano il burro, le marmellate ed i biscotti Petit Beurre Lu che gli aveva portato. Finché un giovedì andando a prendere una cioccolata al solito bar, Leo incontra la musica, la Quinta di Beethoven che esce da un grammofono e che lo accompagnerà per tutta la vita. Ma è tra le mura del st. Charles, con intorno uomini con la sottana nera, che nascono e crescono in Leo la ribellione, l’anarchia, la misantropia e la convinzione che l’inferno sia ciò che si chiama per abitudine famiglia. Cresce in lui la rivolta contro quei miscugli di concreta imbecillità che si manifestano a volte nella scuola, negli uffici, nelle caserme. Una volta Leo aveva detto che bisogna conoscere le opere degli artisti ma non le loro biografie. Per questo non vi racconto altro dell’uomo ma trascrivo qualche verso, nudo e crudo.
“Questa parola del vangelo| che agli imbecilli vende il cielo
E dà un blasone e uno stile | anche all’atrocità civile
Questa parola da profeta | di augurio e rivendicazione
Che non conosciate mai | né Dio né Padrone. Ni Dieu ni Maitre”
2 – Pier Paolo Vladi Orengo
“È originario di Mortola, ha vissuto tutta la vita a Torino, aveva il titolo di marchese e la sua sepoltura è al cimitero di Mortola, di chi si tratta ? La risposta è che sono due le persone con quelle caratteristiche che riposano nel piccolo cimitero. Io non racconterò di Nico, il più famoso, ma di suo padre Pier Paolo Vladi Orengo che il nonno materno chiamò Volodja che è il diminutivo di Vladimir. Sua madre Valentina era figlia del conte Giuseppe Tallevich nato a Bucarest nel 1834 e sepolto a Sanremo nel 1917 nel cimitero della foce, nella tomba di famiglia, con numerosi conti e contesse provenienti da mezzo mondo. Valentina era di famiglia ortodossa e la loro chiesa già nell’Ottocento era quella di Mentone, intitolata a Nostra Signora della consolazione, che frequentavano prima che la colonia russa facesse costruire la chiesa russa di Sanremo.
Si sposò con rito cattolico ed ortodosso col marchese Antonio Orengo ma quando nascono i figli e nel frattempo vivono a Torino, decide per la conversione al cattolicesimo.
La cosa più difficile è dirlo, a cose fatte, al conte padre che non accetta il tradimento come se fosse fatto alla Russia intera. Per anni non si vedono. Ma un giorno il bambino Vladi di quattro anni viene portato a conoscere il nonno che lo chiama ripetutamente Volodja e borbotta qualcosa in russo. Il bambino piange, e il suo pianto forse serve a riconciliare un po’ il conte con la figlia Valentina poco prima di morire.
Il nonno ed il nipote, infatti non avranno più il tempo per rivedersi. Resta solo il ricordo di Vladi bambino. Nel 1949 a Torino l’architetto Carlo Mollino progettò interni ed arredi della casa di Vladi, tra cui un tavolo da pranzo venduto allora per 45 milioni di lire e altri pezzi andati all’asta da Christie’s. Adesso anche questi sono ricordi sempre più sbiaditi.”
3 – Giovanni Ruffini
“Vicino alla chiesetta di Sant’Ampelio c’è un giardinetto un po’ anonimo con tre panchine, qualche albero di Araucaria e un busto di Giovanni Ruffini.
Tra i motivi che lo resero famoso almeno in un periodo storico e giustificano il monumento, c’è il romanzo scritto in inglese “il Dottor Antonio” ambientato appunto a Bordighera e che gli procurò anche la cittadinanza onoraria della città.
La notte del 13 maggio 1833 il fratello Jacopo Ruffini, patriota, venne arrestato a Genova e sottoposto a interrogatori particolarmente duri, forse anche alla tortura, e si suiciderà in carcere nella notte del 18 giugno, tagliandosi la gola. Raccontava il canonico Peitavino della cattedrale di Ventimiglia che nella primavera del 1833 il fuggiasco Giovanni Ruffini si nascose nelle campagne di Ventimiglia tra i limoni e gli ulivi della collina di Siestro, ricercato dalla polizia sarda in quanto sovversivo. Si rifugiò nella torre Biancheri in seguito nota come torre Ruffini, di proprietà del padre di Giuseppe Biancheri futuro presidente della Camera dei deputati dell’Italia unita.
Poi Lucangelo Pignone se lo caricò in una gerla e lo portò a spalle fino alla marina da dove partì in barca e si rifugiò in Francia per incontrare Mazzini. Dopo varie peregrinazioni e importanti incontri, nel 1855 pubblicò in inglese a Edimburgo il suo miglior romanzo, “Il dottor Antonio”. Questo romanzo fece conoscere la riviera Ligure e soprattutto Bordighera ai turisti inglesi che affluirono numerosi, alla ricerca dei luoghi in cui la vicenda è ambientata. Una guida successiva di Mentone in lingua inglese col titolo “ A Winter at Mentone” descrive cinque mesi di soggiorno da novembre 1860 a maggio 1861.
Monet sarebbe giunto in quei luoghi quasi trent’anni dopo”.
Eraldo Mussa