Kevin Spacey, uno dei più famosi attori americani, vincitore di due Oscar e diversi altri prestigiosi premi, è stato assolto il 26 luglio dal Tribunale di Londra relativamente a nove capi di imputazione per delitti a sfondo sessuale su quattro uomini; per uno di questi, stupro aggravato, rischiava l’ergastolo. Durante il processo, tenutosi a Londra in cinque settimane, l’attore si è sempre dichiarato innocente. E innocente era già stato dichiarato da altre corti, questa volta di stati americani, California, Massachusetts e New York tra il 2019 e il 2022, sempre relativamente a reati sessuali, per i quali gli erano stati anche richiesti danni multimilionari (respinti anche in sede civile).
Tutti gli asseriti fatti risalivano a trenta anni fa, quando l’attore ne aveva 36 e non era ancora così famoso. Da molto tempo la carriera di Spacey appare rovinata. Il suo agente storico si è licenziato; Kevin è stato sostituito da un altro attore nel film di Ridley Scott “All the money of the world” ed è stato eliminato dal serial televisivo House of Cards, dove era uno dei personaggi più importanti e amati. Relativamente a questo programma ha anche subito una condanna civile al pagamento di 30 milioni di dollari alla casa di produzione, per i danni subiti dalle perdita di audience.
Nel Regno Unito, come in America e in Italia, vige il principio di innocenza oltre ogni ragionevole dubbio. Nei Paesi di common law (anglosassoni) si usa un processo accusatorio, che prevede cioè che l’accusatore fornisca tutte le prove della colpevolezza dell’imputato, mentre il giudice opera come “moderatore” e coordinatore della procedura. In Italia vige invece un sistema misto, in cui il giudice ha un ruolo importante nella formazione della prova, anche perché il pubblico ministero appartiene alla magistratura e non è un avvocato. Nel caso di Spacey, le prove offerte dagli accusatori sono state valutate subito come molto “deboli” e sono state smontate in Corte da evidenze documentali e testimoniali. Tanto che il verdetto reso dalla giuria ha qualificato le accuse “folli” e ha giudicato ingenuo l’imputato a cadere in situazioni che erano chiaramente tranelli.
Nonostante le piene assoluzioni e le suddette considerazioni della giuria, le maggiori case di produzione di Hollywood hanno già dichiarato che la carriera di Spacey non sarà mai più la stessa: le deposizioni su fatti così privati e il fatto che l’attore sia stato costretto a dichiarare la propria omosessualità, hanno compromesso per sempre la sua vita professionale. Come si sa, infatti, nonostante la “liberalità” americana sul tema, la film industry non è ancora aperta agli attori dichiaratamente omosessuali, ritenuti tra l’altro non idonei a interpretare ruoli etero.
È possibile che Spacey trovi una casa di produzione che gli affidi qualche ruolo, ma per lui sarà quasi impossibile accedere alle vecchie compagnie cinematografiche. Sarebbe auspicabile, in casi di questa risonanza, che i media e di conseguenza l’opinione pubblica non facessero processi sommari basati sul sensazionalismo, per evitare di rovinare carriere brillanti e importanti per la collettività. Spacey, ad esempio, è stato per anni uno dei migliori attori di Hollywood, impegnato anche in una apprezzata ricerca teatrale a Londra. Sarebbe triste perdere un artista di tale portata.
Anche in Italia assistiamo spesso a processi mediatici che rovinano irrimediabilmente gli accusati. Si pensi, sempre nel mondo dello spettacolo, al caso Tortora. Ma anche, in ambito diverso, alla vicenda di Leonardo Apache La Russa, accusato di stupro da una ragazza che ha dichiarato di avere assunto cocaina e alcol. I giornali hanno per settimane trattato il caso come alludendo a una presunta colpevolezza, quando le indagini sono ancora in corso. Vi sono, in un certo senso, due tipi di processi. Uno reale, legittimo e condotto da giudici. L’altro, effettuato dall’opinione pubblica, porta spesso a una sentenza di condanna che, anche quando non è confermata dalla legge, resta per sempre, rovinando la vita dell’accusato.
Flavia Tibaldi