Non sempre la sezione In/Contro propone visioni contrapposte su un tema. A volte si tratta di considerare una situazione partendo da prospettive diverse. Questa volta abbiamo messo a confronto due suggestioni sul futuro sociopolitico. Da una parte Massimo Chioda gioca sulla provocazione e sul paradosso e vagheggia una riscoperta del pensiero marxista. Dall’altra Riccardo Rossotto ipotizza una diarchia Draghi-Dimon al comando. Insomma, Marx versus i banchieri.
il direttore Milo Goj
Il secolo scorso ha visto nascere, espandersi e spegnersi l’utopia marxista.
Come ricorderanno in molti, Marx aveva previsto che lo sviluppo avanzato del capitalismo avrebbe portato “i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori” a sprofondare nel proletariato, mentre “il pauperismo” si sarebbe sviluppato “ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza”.
La storia del Novecento parrebbe aver smentito le previsioni marxiste
L’accentramento della ricchezza nelle mani di pochi al vertice, contrapposto all’espandersi oltre ogni misura della povertà alla base – secondo la visione di Marx – avrebbe portato all’acuirsi della contraddizione che avrebbe determinato la rivoluzione proletaria.
La storia del Novecento parrebbe aver smentito le previsioni marxiste poiché lo sviluppo del capitalismo nelle società industrializzate ha portato un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei ceti più modesti, nonché una migliore distribuzione del reddito nella società, mentre le rivoluzioni di ispirazione marxista si sono realizzate solo ed esclusivamente in paesi agricoli dove non aveva neppure avuto luogo l’industrializzazione (Russia, Cuba e Cina).
Seppellire il pensiero marxista sotto una pietra tombale…
Marx non aveva ritenuto – e per certi versi neppure previsto – che le lotte operaie avrebbero portato ad una dialettica riformista e non rivoluzionaria, e che il pensiero liberale e borghese sarebbe stato in grado di riformare il sistema di relazioni industriali in senso opposto a quello ipotizzato dal marxismo come esito naturale dello sviluppo capitalistico. E Marx non avrebbe potuto neppure lontanamente immaginare che il capitalismo avrebbe reso compatibile l’incremento dei profitti con l’aumento dei salari e che si sarebbe sottoposto alla regolamentazione dei mercati e alla tassazione in funzione sociale. Pertanto già negli anni ’90 del secolo scorso si è ritenuto di seppellire il pensiero marxista sotto una pietra tombale.
Tuttavia è noto che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi e l’analisi dei fenomeni antropologici richiede cautele adeguate ai tempi dei processi storici.
Incremento dei profitti bancari contro il decremento dei risparmi delle famiglie
Ciò che mi ha portato a disseppellire il cadavere del filosofo ottocentesco è la lettura di un trafiletto di poco conto del 17 giugno scorso che riportava il dato degli utili netti delle banche italiane nel 2022 pari a 21,8 miliardi di euro, con un incremento netto di oltre 8 miliardi rispetto al 2021. Nello stesso periodo il decremento netto dei risparmi delle famiglie italiane – cioè il loro impoverimento – è stato pari a 25,2 miliardi di euro. Tale dato mi ha ricordato che nell’ultimo ventennio le politiche neoliberiste e restrittive di bilancio hanno prodotto il totale ribaltamento del processo di redistribuzione del reddito realizzatosi nel secondo dopoguerra, provocando un rapido e significativo impoverimento globale unito ad un accentramento della ricchezza nelle mani di pochi. E’ sufficiente considerare che nel ventennio 2000-2020 i più ricchi del pianeta – che costituiscono meno del 10% della popolazione – hanno raggiunto il controllo dell’80% della ricchezza mondiale, e il loro patrimonio è aumentato nello stesso periodo di oltre il 50%. E se si prende come riferimento l’1% più ricco del pianeta l’aumento dei guadagni supera il 278%.
L’1% più ricco del pianeta possiede la metà della ricchezza prodotta nel mondo
E tale fenomeno sta accelerando con una velocità esponenziale mai vista in precedenza.
Negli ultimi due anni l’1% più ricco del pianeta si è impossessato della metà della ricchezza prodotta nel mondo, mentre alla metà più povera della popolazione mondiale è andato lo 0,45%. Nello stesso periodo per circa due miliardi di lavoratori l’inflazione ha superato nettamente il potere d’acquisto salariale e nel mondo quasi 900 milioni di persone hanno sofferto la fame. Peraltro, contestualmente all’aumento esplosivo della povertà nei paesi industrializzati, negli ultimi anni si è assistito alla concentrazione monopolistica nella new economy e alla riduzione del numero delle imprese. Se dalla triste sintesi di quanto sta avvenendo a livello mondiale parrebbe che si stia realizzando la previsione marxista, sappiamo che nel secolo scorso i sindacati, le istituzioni politiche e lo stesso capitalismo seppero imprimere ben altra direzione al processo storico di cui si discute.
La tassazione si è concentrata sul reddito da lavoro e sui consumi
Ma nell’attualità deve darsi atto che tali dinamiche non possono più operare.
La politica e le istituzioni sono coese nell’azione di sostegno alla concentrazione della ricchezza in poche mani, e all’allargamento della povertà e della disuguaglianza.
Da un lato, come si è visto, il verbo liberista, il rigore di bilancio e le relative politiche restrittive impediscono qualsiasi intervento di perequazione o di mitigazione del fenomeno in esame. Sotto altro profilo la politica fiscale degli ultimi decenni ha evidenziato una decisa azione politica volta ad incrementare il patrimonio dei “super-ricchi” e l’aumento della povertà. Negli USA degli anni ‘50 l’aliquota tributaria più alta era al 90% mentre nel 2012 era già al 35%, facendo i ricchi più ricchi e sottraendo risorse pubbliche ai più poveri.
In tutti i paesi industrializzati la tassazione si è indirizzata e concentrata sul reddito da lavoro e sui consumi, e non sulle rendite finanziarie e sul capitale: i ricavi fiscali dai patrimoni si aggirano intorno al 3 – 4% del gettito complessivo. L’aliquota media sulle rendite è del 18%, cioè meno della metà di quella mediamente applicata ai salari.
Elon Musk ha pagato imposte con aliquota del 3%
Grazie alle istituzioni pubbliche negli ultimi anni l’uomo più ricco del pianeta (Elon Musk) ha pagato imposte con aliquota del 3%. Al di là della generica propaganda, non esistono posizioni politiche in controtendenza. La politica americana e le istituzioni europee sono asservite ai grandi monopoli finanziari. In Europa i partiti popolari e conservatori, così come il fronte socialdemocratico, sono i più accaniti sostenitori – nei fatti e nell’azione politica (vedasi borsino dell’energia affidato a Morgan Stanley e soci) – del liberismo e delle politiche restrittive di bilancio e quindi restrittive del flusso circolare del reddito. Non deve ingannare la posizione della destra populista e sovranista che accusa duramente (e giustamente) le istituzioni europee di aver impoverito i cittadini dell’Unione, ottenendo così grandi successi elettorali. Se osserviamo le ricette nazionaliste e le soluzioni proposte – vedi la lotta ai migranti – risulta evidente che anche la destra estrema rema per proteggere i più ricchi, essendo ovvio che la guerra tra poveri non intacca il descritto sistema.
Quanto alla subalternità del sindacato nel quadro di totale liberalizzazione del lavoro, non occorre neppure sprecare ulteriori parole.
… e alla fine le tesi del Manifesto del Partito Comunista hanno trovato riscontro nell’evoluzione storica
A tutto ciò deve aggiungersi che non si potrebbe nemmeno confidare in un nuovo fordismo poiché la grande concentrazione di capitale non può fare altro che adattarsi evolutivamente all’ambiente assai favorevole accelerando la trasformazione del capitalismo da produttivo in finanziario, aumentando così l’accentramento in poche mani dell’incremento esponenziale dei grandi profitti. Mancando quindi le risorse politiche e sociali del Novecento, parrebbe che le tesi esposte nel Manifesto del Partito Comunista abbiano, alla fine, trovato riscontro nell’evoluzione storica. Qualcuno resterà indignato oppure riderà di fronte a tale provocazione. Tuttavia, a mio modesto avviso, ciò che deve preoccupare non è la resurrezione del marxismo in sé che ritengo assai poco probabile visti i tracciati – definitivamente piatti – dell’elettrocardiogramma delle varie sinistre europee e nordamericane. Il problema è ben più serio, poiché tale “trend” – sostenuto con forza dalla nostra politica e dagli economisti di ultima generazione – risulterà totalmente insostenibile, persino nel breve periodo ove si osservi che, nell’ipotesi più realistica, le politiche restrittive di bilancio già nel periodo 2023 – 2027 determineranno un decremento della spesa sociale per oltre 6.700 miliardi di dollari.
Massimo Chioda