Nei social do l’amicizia a chiunque me la chieda, senza alcuna verifica. Non guardo l’appartenenza politica, gli orientamenti sessuali, né tantomeno età, reddito, cultura, luogo di nascita e quant’altro. Da appassionato studioso di sociologia, lo faccio per avere idea del “sentire” del Paese su vari temi. Il mio “campione”, pur non essendo rappresentativo a livello statistico, proprio perché variegato, dà comunque indicazioni. Ed è da un po’ che non ci sono bei segnali. Su quattro argomenti caldi di queste settimane, l’odio la fa da padrone. Partiamo dal caso dell’efferato delitto di Senago. Pochissimi i commenti improntati al dolore per Giulia Tramontano e il suo bambino.
I post si sono concentrati sul linciaggio del presunto colpevole, Alessandro Impagnatiello. I più moderati hanno auspicato l’ergastolo, la maggioranza gli ha augurato una morte atroce in carcere. Più o meno lo stesso è accaduto per l’incidente automobilistico di Casal Palocco. Sporadici interventi addolorati per la morte del bambino, gioco al massacro per il guidatore della Lamborghini, il 20enne Matteo Di Pietro. Il tutto, prima ancora che la dinamica dell’incidente fosse chiarita. Forse la colpa è dei media che, a 40 anni dal caso Tortora, non hanno ancora perso il gusto barbaro di “sbattere il mostro in prima pagina”. Sta di fatto che sui social i principi dello Stato di diritto tra cui è fondamentale la presunzione di innocenza, non esistono.
Se poi i presunti colpevoli sono millennials o Z generation, fioccano commenti moralistici sulla mancanza di valori dei giovani, che sarebbero una massa di decerebrati, privi di ideali e attenti soltanto all’apparenza più effimera. E c’è sempre qualcuno che dice che la colpa è dell’abolizione della leva obbligatoria. A parlare (o meglio a scrivere) sono soprattutto i boomers. Proprio una generazione ricca di personcine per bene che, almeno a Milano, passavano il sabato pomeriggio alla caccia di ipotetici avversari politici cui spaccare la testa con l’hazet 36 d’ordinanza. A criticare i ragazzi di oggi è paradossalmente la generazione che ha prodotto gli anni di piombo e il terrorismo. Senza arrivare a casi estremi, la colpa del declino (qualcuno dice sfascio) del Paese non è attribuibile agli under 40, ma alle generazioni precedenti, che pure avevano fatto il militare.
Chiudo con altri due avvenimenti che confermano la forte presenza di hater sulla rete: la morte di Berlusconi e la tragedia del Titan. Nel primo caso, probabilmente i post improntati al cordoglio (e, ammettiamolo, in alcuni casi all’agiografia) sono stati maggioranza. Ma commenti feroci, conditi da accuse e insulti di ogni genere nei confronti di Silvio non sono certo stati rari. Infine, sul sommergibile (pare) imploso, personalmente ho letto più post polemici, quasi compiaciuti contro “5 ricchi annoiati che giocavano con la vita è che, in fondo, si erano meritati la loro sorte”, che interventi improntati sull’umana pietà. In sostanza, ho avuto l’impressione che di fronte a una tragedia, l’odio superi il dolore. Spero di essermi sbagliato.
Milo Goj