Una vecchia regola di buona educazione, e di civile convivenza, impedisce di parlare male degli assenti e dei morti, cioè di chi non è in condizione di difendersi. Vale come eccezione il caso della persona pubblica, perché chi decide di ricoprire un tale ruolo accetta che il giudizio del prossimo possa esprimersi in modo più esteso. Ciò non toglie il profondo disagio con cui mi accingo a scrivere queste righe, poiché molto peggiore della ricostruzione agiografica da parte dei suoi sostenitori, che ha toccato il limite del ridicolo, è stata l’insopportabile demonizzazione che ha riguardato Silvio Berlusconi al momento della morte, con non rari gesti di grevità da social, sino ai brindisi alla morte da parte di insospettabili persone qualunque del ceto medio sedicente riflessivo e sedicente progressista.
Insomma, peggio di passare per berlusconiano, senza mai esserlo stato, sarebbe ritrovarmi nella schiera degli odiatori, a sostenere cose grottesche sulla primigenia del populismo trumpista in Forza Italia, sulla cultura dello stupro in Drive In e analoghe idiozie, a descrivere l’uomo nero, responsabile di ogni decadimento culturale, sociale e politico del Paese. In ogni caso, alcune cose vanno invece ricordate, perché siamo già posteri e quindi ci spetta la nota sentenza. La verità è che la linea politica di Silvio Berlusconi è stata volutamente o per incapacità l’esatto opposto della promessa di rivoluzione liberale del 1994, nonostante le maggioranze schiaccianti con cui ha potuto governare, soprattutto tra il 2001 e il 2006.
Unitamente al suo ministro dell’economia, ha sostenuto sempre una visione colbertista – altro che le derive neoliberiste che descrivono i suoi avversari, autentici interpreti, loro sì, del neoliberismo in epoca di Terza Via e provinciali teorizzazioni dell’Ulivo mondiale – in cui il mercato è sempre passato in secondo piano rispetto alle esigenze dei gruppi di pressione organizzata a sostegno della coalizione conservatrice. Conservatore, e non liberale, è stato sui diritti civili e sulle libertà – si pensi soltanto alla vicenda di Eluana Englaro. Conservatore, e non garantista, è stato sulla giustizia penale – si pensi soltanto alla previsione, che in parte è stata poi dichiarata incostituzionale, sulla recidivanza. I suoi governi hanno interpretato una visione non liberale, bensì conservatrice e classista, della politica criminale: manette facili per i poveracci, con previsioni garantiste limitate ai soggetti non visti come devianti. Tutt’altro che vicino alla mafia – eppur c’è chi crede anche a questo – e niente affatto garantista e liberale è stato rispetto al regime carcerario del 41 bis.
Conservatrice e spietatamente contraria a una visione liberale è stata la sua politica sull’immigrazione, tesa a sfruttare paure e neocomunitarismi. Quanto al principio di sussidiarietà nell’organizzazione dello Stato, su cui il leader ha sempre mostrato scarso interesse, sebbene avesse all’interno di Forza Italia le migliori energie di Comunione e liberazione, ha di fatto subìto l’agenda degli alleati della Lega – la Lega Nord di Bossi, non quella attuale – e l’iniziativa del centrosinistra di allora, propugnatore della riforma del titolo V della costituzione (tralascio come la storia abbia poi dimostrato che non siamo Paese sufficientemente maturo da avere un assetto che richieda tanta responsabilità a ogni livello – arrivasse, questa benedetta rivoluzione liberale, prima o poi…).
Reazionario e illiberale nella gestione dell’ordine pubblico nel 2001, tra Napoli e Genova, sino a far dire ad Amnesty International, che si trattò della più grave violazione dei diritti umani in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Del tutto privo di analisi sui temi ambientali, a parte l’animalismo da salotto del periodo Brambilla, non avremo modo di conoscere le opinioni di Silvio Berlusconi sulla materia.
Incapace di qualsiasi modernizzazione sul versante delle relazioni industriali, ha condotto una battaglia sull’art. 18 senza incidere in alcun modo, tanto da lasciare poi a Matteo Renzi di occuparsene. Del tutto incompatibile con una visione liberale, ancora, è stata la commistione tra interessi privati aziendali e regolamentazioni sulle concessioni pubbliche nei settori economici di appartenenza delle sue aziende. Certamente in antitesi al ruolo che Berlusconi rivendicava come proprio contro il teatrino della vecchia politica, è stata, poi, la conduzione dei gruppi parlamentari, con un impiego di trasformisti e vecchi arnesi sempiterni da fare impallidire i più navigati nocchieri d’aula del periodo decadente della partitocrazia nella prima repubblica.
Infine, ci sarebbe la questione dell’utilizzo delle residenze pubbliche per feste private. Ci sarebbe. Ma tanto becero è stato il moralismo d’accatto delle dieci domande etc. in quella fase, che no, su quello proprio non riesco a dire quel che penso di male dell’esposizione pubblica del vizio privato, perché trovo terribilmente più pericoloso e illiberale chi fa del peccato un reato. E mi rileggo con piacere le pagine de il Foglio su cui è trascritto l’inno alla vita dell’arcivescovo di Milano, al suo funerale. Fu vana gloria?