Il modello di business del mondo del calcio è in crisi. Non solo in Italia. E non solo per vicende giudiziarie. Le società fanno fatica a gestire dei conti economici con una struttura dei costi troppo elevata rispetto ai ricavi. Di qui i trucchi e le furbate per rettificare e nascondere le perdite reali. Inoltre, la differenza tra le cosiddette grandi, i “top team” per intenderci, e “le altre” si allarga sempre di più e il “gap” diventa sempre più incolmabile.

In questo contesto disastroso, pre-fallimentare, esiste però, in Europa, un’eccezione che merita di essere analizzata ed esportata: il caso del Bayern di Monaco. Un Top Team con i bilanci a posto, una rosa di giocatori di grande qualità, un settore giovanile invidiabile, una rete di osservatori nel mondo costruita negli anni con fatica, visione e professionalità. Vale la pena entrare nel merito dell’esempio del modello Bayern per capire quale sia la ricetta magica di questo fenomeno: chissà che non possa fornire qualche idea sana ai nostri miopi manager domestici.

Un club per veri tifosi

Partiamo da un dato che già differenzia di per sé sensibilmente, il modello tedesco da quello dei nostri club: come quasi tutti i club germanici, la maggioranza delle azioni del Bayern è di proprietà dei suoi tifosi. Nel 1999 il governo emanò una legge speciale, denominata Legge del “50+1”, che, per evitare che i destini delle società sportive più famose fossero legate alle vicende personali di mecenati non sempre parsimoniosi, fissava la regola che la maggioranza del capitale sociale dei club dovesse essere in mano ai tifosi attraverso una formula di azionariato popolare.

L’unica eccezione è costituita da due club (il Bayer Leverkusen di proprietà della casa farmaceutica Bayer e il Volksburg, di proprietà, come intuibile dalla radice del nome, della Volkswagen). Il capitale sociale del Bayern di Monaco è posseduto da 293.000 soci che detengono il 75% delle quote del capitale. I tre grandi sponsor della squadra, l’Audi, l’Adidas e l’Allianz hanno l’8,33%. Da notare che le tre grandi aziende che sostengono il team sono tutte ubicate in Baviera dove hanno il loro quartier generale.

Conti da sogno

“Quasi nessun altro club di spicco in Europa – ha dichiarato il vice presidente del Bayern di Monaco Dreesen – è stato in grado di produrre costantemente profitti come il Bayern, nonostante la pandemia. Questo ha a che fare con il Dna della nostra società che non spende mai di più di quanto guadagna”. Una lettura, anche superficiale dei dati del bilancio della squadra di Monaco, evidenzia una situazione contabile incredibile: 666 milioni di fatturato e 12,7 milioni di utile netto in crescita rispetto all’esercizio 2021. I costi dei calciatori sono sotto il 50%: teniamo conto che nella nostra Serie A, invece, sono in media superiori al 70%.

Sul fronte dei ricavi, sempre a differenza dei nostri club domestici, il Bayern al primo posto ha le sponsorizzazioni, al secondo la vendita di abbonamenti, biglietti, panini e bibite nei giorni della gara. Poi ci sono i diritti televisivi che rappresentano invece, per le squadre italiane, la principale voce di incasso. Pur osservando questa estrema oculatezza nella gestione economica, il club bavarese ha vinto tutti gli ultimi 10 campionati e ha chiuso per il 30° anno consecutivo il bilancio in attivo: nonostante ciò figura stabilmente nella classifica dei primi 10 club europei per fatturato.

Stipendi misurati, ma competitivi

Un’altra peculiarità della gestione della squadra tedesca è relativa proprio agli ingaggi dei giocatori più famosi: pur avendo mediamente, come detto, un costo degli stipendi sotto il 50% del fatturato, il Bayern non rinuncia a competere sul mercato offrendo stipendi di assoluto pregio ai migliori talenti in circolazione. Gli attuali esempi più eclatanti sono costituiti dall’attaccante Manè, ex del Liverpool, che incassa ogni anno 22 milioni di euro netti; il famoso portiere Neuer che ne incassa 21, sempre netti, e il centravanti Thomas Muller, 20,5 milioni di euro netti. Insomma, come ha giustamente notato Franco Vanni su La Repubblica, i tre top player della squadra con 63 milioni di euro netti all’anno guadagnano più dell’intera rosa del Milan o del Napoli… Per non parlare degli allenatori che sfiorano ingaggi annui a due cifre.

La sfida vinta dai dirigenti del Bayern (dopo il ventennio d’oro di Rummenigge che è terminato nel 2021, il timone del club è passato all’ex portiere Oliver Kahn) è stata quella di dimostrare a tutto il mondo che è possibile vincere dal punto di vista sportivo, in un mercato estremamente competitivo, anche con i conti a posto e con i tifosi soddisfatti e soci della squadra. Varrebbe davvero la pena che il modello virtuoso della squadra di Monaco fosse studiato nel nostro Paese dai nostri bizzarri spendaccioni.

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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