Esiste un nesso di causalità tra l’aumento dei livelli di povertà o comunque di diminuzione del potere di acquisto dei cittadini italiani e il barometro del consenso di quegli stessi cittadini alla prosecuzione della fornitura di armi all’Ucraina? Nel nostro Paese circola la sensazione che, nonostante ormai la maggioranza non sia più d’accordo nel supporto militare al governo di Zelensky, il governo vada ugualmente avanti per la sua strada confermando gli impegni di fornitura di strumenti bellici all’Ucraina. Sostanzialmente infischiandosene del pensiero della maggioranza dei cittadini elettori.
Il razionale che lega i due aspetti citati risiede proprio nell’aumento della consapevolezza, nelle menti degli italiani, che una delle cause principali del loro impoverimento risieda proprio nelle conseguenze economiche della guerra scatenata da Putin. Non si tratta di un fenomeno caratterizzato da un pacifismo “dell’ultima ora” o da un cambiamento di partecipazione alla causa degli ucraini, ma semplicemente di non essere più disponibili a fare dei sacrifici che incidono pesantemente sul “fine mese” a fronte di una guerra di cui non si intravede l’auspicata fine.
Si continua a parlare di nuove campagne militari, della necessità quindi di nuove forniture militari al governo di Zelensky, all’importanza di una alleanza coesa nel resistere alle contro-sanzioni economiche dettate da Putin. Soprattutto gli italiani vorrebbero essere informati meglio e di più sul contesto internazionale, sulla durata di questa guerra insensata che sta producendo centinaia di migliaia di morti “inutili”, con contraccolpi economici in tutto il mondo e soprattutto il rischio di un’escalation militare che potrebbe portare all’apocalisse.
Gli italiani invocano il diritto di essere informati in maniera completa, adeguata e corretta sugli sforzi che il nostro Paese, e perché no anche il Vaticano, sta facendo a livello diplomatico per accelerare la fine di questo drammatico e disastroso conflitto. Proprio per misurare il termometro degli italiani su questo corto circuito tra l’impoverimento, la disinformazione o la manipolazione dell’informazione e la conferma degli aiuti militari, abbiamo estrapolato le conclusioni di alcune indagini realizzate nelle ultime settimane da diversi autorevoli istituti di analisi politica ed economica nazionali ed internazionali: abbiamo consultato l’indagine dell’ISPI sugli italiani e la politica internazionale; il sondaggio di Euromedia Research sulla reazione degli italiani alle decisioni del governo sull’invio di armamenti a Kiev; le relazioni della Banca d’Italia e dell’Istat sullo “stato del portafoglio” degli italiani all’inizio di quest’anno. Abbiamo infine letto le conclusioni della ormai tradizionale indagine realizzata ogni anno dall’Economist sullo stato delle democrazie occidentali, con la relativa classifica delle democrazie “più perfette” e di quelle “più fragili”.
Sondaggio ISPI 2023
Alla vigilia del primo anno dallo scoppio della guerra, aumentano tra gli italiani i timori di una crisi economica legata alla guerra e alla crisi energetica, così come l’incertezza circa l’esito del conflitto: di contro diminuisce la paura della pandemia. Esiste una preoccupazione sullo sfaldamento dei rapporti tra l’Occidente e la Cina ed è in forte decrescita la credibilità del Parlamento Europeo dopo lo scandalo del Qatargate. Aumenta da parte degli italiani l’auspicio sull’istituzione di un esercito europeo, più autonomo ed indipendente rispetto agli Stati Uniti, seppur sempre alleato con la NATO. Il report giunto al suo nono anno evidenzia quindi una forte preoccupazione degli italiani sul futuro e una paura che il conflitto possa ancora durare per parecchio tempo.
Euromedia Research
L’istituto condotto da Alessandra Ghisleri proprio la scorsa settimana ha certificato che ormai il 52% degli italiani è contrario agli aiuti militari in Ucraina. Il 68% si oppone all’intervento diretto della NATO nel conflitto. Un terzo degli intervistati è convinto che prima o poi si riuscirà a negoziare con i russi imponendo all’Ucraina una soluzione. Il 25% ritiene che, piano piano, si ridurrà il sostegno militare a Kiev mentre il 10% pensa che alla fine entreremo tutti direttamente nel conflitto militare!
Banca d’Italia e Istat
I report dei due autorevoli centri studi italiani registrano un forte impoverimento delle famiglie italiane anche e soprattutto nei confronti di quelle europee. Si parla di un milione di nuovi poveri! Le nostre famiglie sono mediamente più povere rispetto a quelle europee e americane già a loro volta fiaccate dall’inflazione e dai tassi di interesse delle banche in risalita. Il colpo più pesante è arrivato dall’immobiliare, il principale investimento degli italiani. Il settore è crollato dal 2012 e solo ora dà qualche segnale di ripresa.
Le attività reali sono aumentate del 3% a prezzi correnti soprattutto per l’effetto delle abitazioni il cui valore di recente è stato registrato per la prima volta in crescita dal 2012. Il valore degli immobili non residenziali si è invece ulteriormente ridotto proseguendo la fase di contrazione in atto dal 2012. L’unica buona notizia registrata dai due autorevoli istituti nazionali è che le aziende italiane sono poco indebitate. Siamo tra i più poveri ma non amiamo contrarre debiti!
The Economist
Il Democracy Index è realizzato ogni anno da un gruppo di lavoro dell’autorevole periodico anglosassone che fotografa lo stato delle democrazie a livello globale valutando complessivamente 167 paesi sulla base di cinque diversi parametri: (i) il processo elettorale e il pluralismo; (ii) il funzionamento del governo; (iii) la partecipazione politica; (iv) la cultura politica democratica; (v) le libertà civili. Ai primi posti della classifica ci sono storicamente i paesi del nord Europa.
L’Italia ha perso tre posizioni: pur avendo dei punteggi molto alti sul pluralismo siamo indietro in classifica su altri indicatori come la cultura politica, le libertà civili, la partecipazione politica. Ma il voto peggiore che ci abbassa la media è quello relativo al funzionamento del governo. Come non essere d’accordo? Da questo quadro emerge una fotografia che non è poi così sorprendente: gli italiani si stanno ponendo questo potente interrogativo. Stiamo pagando un prezzo troppo alto in termini di impoverimento generalizzato per una causa nobile ma lontana e di difficile soluzione? Soprattutto con dei tempi non compatibili con la nostra capacità di resistenza psicologica ed economica? Ne vale davvero la pena?